SPICCHIO TRE | MELA MARCESCENTE , MAGRA E BRUNA

333 45 10
                                    

Un quarto a mezzanotte.
Genitori sibariti. Anzi, madre sibarita.
Quest'ultima era venuta col compagno Bianco.
Taehyung non aveva due genitori come me e probabilmente quello era il suo patrigno.
Jared, la signora Kim e Taehyung erano in salotto sotto alla polvere e cenere del lampadario di legno di faggio.
Era il turno della loro riunione.
Riunione Kim.
Io e mia madre li spiavamo dalla cucina. Quest'ultima d'inglese non sapeva nulla se non Fuckin' bitch.
── Come on, kid. You wanna stay here?
── Yeah. Got problems with it?
Taehyung guardò di sbieco l'uomo. Era il compagno canadese della madre.
── Don't get me wrong, Taehyung. But, God. This place ain't it. Your mom will get your ass out of here.
── And I'll make sure to ruin your cringe love affair.
── You're playing dirty, kid.
── Not as much as you, old creep.
Okay, non capii molto. Però l'inglese di Taehyung mi procurò un certo piacere.
── Taehyung! Don't be such a brat!
La madre del biondo si alzò dal divano artigianale. Lo richiamò corrugando le sopracciglia toccate da un chirurgo americano.
── Jared, honey. I'm so sorry for his behavior.
E si scusò per il comportamento del figlio.
── Don't worry about me but your kid. This place sucks. We should take him to Seoul.
Disse Jared.
── I know for sure Taehyung won't be comfortable around these people. They are a little bit frightening. Aren't they?
Chiese la signora Kim e Jared annuì e basta.
── Oh my God, mom! ── si interpose il biondo.
Era carino quando si arrabbiava.
── Taehyung, baby. Stop. Tomorrow morning you're moving out and you're going to your granny's house, in Seoul. Got it?
── Lo sai che odio quel coglione di Jared, vero? Non lo voglio più tra le palle!
Il biondo sbottò in coreano.
── Non osare dire queste cose davanti a lui, son.
Gli bisbigliò sua madre.
Io mi girai verso mia madre.
── Jungkook-ah, ti sei trovato proprio un bel ragazzo. Taehyung mi piace.
── In ogni caso, hanno per caso parlato di noi? Se sì, che hanno detto?
Soggiunse poi.
Io non le dissi nulla.
Taehyung se ne sarebbe andato via domattina.
Mezzanotte e mezza.
La signora Kim e Jared erano andati via in città per pernottare.
Una di mattina.
Feci arieggiare la stanza del biondo che piangeva sulle ginocchia. Sedeva sul pavimento di piastrelle cotte. Sedeva di fronte al letto.
Piangeva come un bambino.
Se fosse stato qualcun altro, senza dubbio lo avrei calunniato.
Ma quello era Taehyung.
Un mulo di diciassette anni di Los Angeles, di preciso di Beverly Hills, che mi aveva dato una sembianza di grande peccatore.
Certo, ero un grande peccatore che frequentava i ragazzi della Chiesa anche prima ma Taehyung viveva nel mio spirito ora.
── La tua famiglia ha offeso la mia. Fortunatamente loro non lo sapranno mai, Taehyung.
Un certo sdegno colpì il mio sguardo.
I coreani che vivevano all'estero, perbacco, avevano un complesso di superiorità.
Micioni che si credevano leoni.
Certo, là, all'estero, lo standard di bellezza era di gran lunga meglio ma ciò non li dava il diritto di denigrarci (solo perché qui preferivano la carnagione del Fantasma Formaggino ad una abbrunita).
── Credevo non sapessi tutto questo inglese.
Farfugliò il duemilaquattro.
── Taehyung, ci sono delle volte in cui preferisco fingere di non capire che capire e di conseguenza avere attorno gente che mi chiede scusa perché si sente obbligata.
Mi spiegai burbero.
── Mi dispiace, hyung.
── Va tutto bene.
── Ti va di andare in un posto?
Gli domandai. E mi abbassai alla sua altezza.
── A quest'ora?
Mi chiese. In seguito si soffiò il naso con un panno giallastro.
── Beh, ieri abbiamo scopato alle tre di mattina. Andare da qualche parte alle una di mattina non sarà nulla.
Gli offrii la mia mano.
E mi premurai di asciugargli le lacrime.
Una e un quarto di mattina.
Eravamo sotto a una cupola sconfinata, trapunta di stelle grandi e piccole. Qui, a Cheonsando Island, gli astri ci erano vicini.
Alcuni nembi contornarono ancora gli agglomerati di idrogeno, elio, carbonio, ossigeno e azoto.
Eravamo sotto un salice piangente di cinque metri con rami che piangevano. Per i celtici era una divinità in grado di moderare i cicli lunari.
Tutt'e due le mie mani tremarono quando i miei occhi scorsero un'ombra esile e secca che si contorceva al fischiare del vento.
Ah, cavolo, era un pupazzo.
Lo spaventapasseri sopra un terreno arato e sette ciottoli.
Lo spaventapasseri che avevo costruito a nove anni, quando sotto questo salice piangente avevo piantato dei fagiolini credendo di essere Giacomino della favola Jack e la pianta di fagiolo.
── I miei due nonni materni hanno consacrato il loro amore qua. Si sono incontrati qua, mentre fiori di ciliegio piovevano sulle loro spalle.
Gli narrai io.
── Davvero?
Si soffiò ancora una volta il nasino con un cencio.
── No, Taehyung. Me lo sono appena inventato perché volevo rendere speciale questo posticiattolo. Lo fanno tutti nei film, perciò...
Borbottai.
Seriamente, credeva che nei pressi di un salice piangente avessero albergato degli alberi di ciliegio? Il mio salice piangente ne sarebbe stato indignato.
── Possiamo consacrarlo noi, se vuoi.
Mi ammiccò con gli occhi.
── Non male come idea, caro dongsaeng.
Scherzai.
Dopodiché parlammo.
Parlammo di cose così... scuola, vita, futuro, divertimento, ricordi, infanzia, cinema, attori e personaggi di fumetti.
Insomma, una barba.
Però Taehyung non era una barba.
E non lo erano neppure le mie attrici preferite, Kim Da-mi e Park Shin-hye.
── Ti amo, hyung.
Mi baciò.
── Taehyung, credo sia troppo presto.
Gli appuntai.
── Vero, quasi due giorni sono un periodo di tempo cortissimo. Ma in queste nostre quarantuno ore quanti minuti siamo stati separati? Secondo la ricerca scientifica, ci vogliono solo quattro minuti per innamorarsi. Hyung.
Spiegò lui.
Sbattei le palpebre, distesi le membra e mi voltai verso il biondo.
── Hai contato le nostre ore insieme? Stranone.
Volevo credergli ma molto probabilmente parlava a vanvera perché sapeva che l'indomani non ci sarebbe più stato.
Aveva non di più diciassette anni e che ne poteva sapere dell'amore? Alla sua età, alla nostra età, avremmo dovuto solo pensare a farci amici.
Non a conciarci in due personaggi di un romazetto abborracciato.
── Sì, potrei averlo fatto.
Ridacchiò.
Anch'io risi.
Dopodiché, il biondo si coricò di nuovo sulle mie magre coscie.
── Sai, questo era il desiderio di mia madre. Avere uno studente dall'estero che portasse allegria alla nostra famiglia. Non credo si sia realizzato però sono certo che le sei piaciuto.
Passai le dita tra le sue ciocche bionde.
Odoravano di albicocca.
── E io ti sono piaciuto, hyung?
Domandò.
── È evidente, no? Sennò non ti avrei permesso di fottermi in quel modo.
Sbottai.
La consapevolezza che domattina tutto sarebbe finito mi attanagliò il cuore.
Percepii il ragazzo, i suoi capelli di un color terso, come un eco nei miei ricordi.
── Mi piaci, Taehyung. Cazzo, sì.
Ficcai due dita nella tasca del pigiama, prelevai il mio Huawei tarocco e gli feci degli scatti da Dio.
Sei di mattina.
Taehyung si stava preparando per andarsene via.
Io non volevo vederlo andarsene via.
Sette di mattina.
Entrai, col mio solito modo di fare da rozzo contadino, senza bussare e gli diedi il buongiorno.
── Ehi.
Mi salutò sorridendomi.
Aveva solo una borsa con sé, il resto dei bagagli se lo erano portati via la madre e il compagno di quella.
── Tieni.
Gli passai una finta bomboletta spray artigianale.
Dopo aver trascorso del tempo con lui al retro della casa, ero andato a dormire per poi svegliarmi alle cinque di mattina, al levar del sole, e andare alla bottega del signor Yoo per comperare una finta bomboletta bruna, dove il biondo avrebbe potuto preservare dollari e monetine.
Chi gli avrebbe rubato una bomboletta credendo fosse un portafoglio?
Nessuno. E i suoi soldi sarebbero stati al sicuro.
Sì, modestamente ero l'intelligentone della famiglia.
── È il mio regalo di addio. Fa' in modo di ricordarmi perché io, Jeon Jungkook, sono una persona indimenticabile. Un eco nei tuoi ricordi di diciassette anni.
Pavoneggiai il mio essere un pagliaccio.
Lui mi abbracciò.
Un abbraccio di addio.
Non credevo ci si potesse affezionare ad una persona in così poco tempo.
Cazzo se non lo sapevo.
Sette e un quarto di mattina.
Jared e la signora Kim erano qui con un'auto costosa. Si accostarono di fronte alla casa e rimasero dentro il veicolo.
Snob del cazzo.
Quella donna, la quale non chiamavo più quella donna, dunque mia madre, proruppe in un pianto sonante.
Mia madre non andò in Chiesa, mio padre non bevve e mio nonno si svegliò presto solo per salutare Taehyung.
── Abbi cura di te stesso, oesonja. È stato bello farti vedere il mio YouTube Premium. Ah, grazie per avermi fatto vedere come ci si fa un selfish.
Intendeva selfie.
Mio nonno gli diede delle pacche sulle spalle.
Taehyung non lo corresse e lo abbracciò.
── Non ti conosco ma sii fiero nella vita. Non essere uno squattrinato come mio figlio. E sta' attento una volta a Seul: non è idilliaco come dicono sul web. C'è gente brutta, aigoo, veramente brutta lì.
Mio padre gli accennò un sorriso.
Taehyung ricambiò.
── Dio, se so sto piangendo. Taehyung, caro. Credevo avremmo avuto modo di conoscerci e almeno passare un bel fine estate insieme... ma va bene così. Questi due scarsi giorni sono stati una benedizione. Abbi cura di te, va bene? Mangia tanto che sei bellissimo.
Mia madre gli diede un cesto di mele.
Così caratteristico di lei.
Poi lui si piantò di fronte a me.
Che dovevo dirgli? Che dovevo fare?
Io gli sventolai la mia mano davanti alla faccia.
Gli sorrisi, gli sorrisi come un ebete. E continuai a sorridergli come un ebete.
Lui, sotto gli sguardi indiscreti di mia madre, di mio padre e di mio nonno, mi disse: ── Hyung, sei bellissimo. Mi mancherai.
── Anche tu mi mancherai, mulo.
Lo attrassi tra le mie braccia davanti agli sguardi omofobi di mio nonno. Mio padre era incurante.
Lo strinsi fino a soffocarlo.
E solo allora il mio cuore si usurò. Il mio cuore si infranse sulla nostra effusione.
Sì, sì. Sì mi sarebbe mancato da morire.
Mezzogiorno.
Lui non c'era più.
Amore provetto non fu il nostro e, bianco come un cencio, non versai neppure una lacrima. Acre e astringente fu dunque il nostro addio.
No. In realtà, scoppiai in lacrime sulle spalle di mia madre. Mia madre che preparava la zuppa di tofu per farmi passare l'angoscia.
Cercai di essere poetico ma fallii.
Io provavo troppe cose per Taehyung.
Allora uscì di casa, salutai mia madre e col trattore di mio nonno, che pisolava nella veranda, andai in città. In città, là dove la sua famiglia si sarebbe un attimo fermata.
Un quarto alle una di pomeriggio.
Il sole mi ustionò.
Lo trovai. Finalmente, lo trovai. Finalmente, trovai il mio biondo vespigno. Corsi da lui come un alcolista, una cocainomane o un decrepito Prete avrebbe fatto.
── Taehyung! Io ti amo. Sì, non m'importa se è presto o no o... quello che è. Tu mi piaci veramente tanto, tanto e tanto e questo è il mio numero.
Agitato, gli passai un bigliettino rosa. Ci avevo disegnato una mela rossa, una schifezza, ma c'era anche il mio numero di telefono.
── Hyung.
── Chiamami, okay? Il meleto resterà qui per noi due.
Timido, sorrisi io.
Vidi lui che cercava di non sbottare a piangere.
Vidi lui che cercava di scorgere sua madre e Jared, persi fra il gracchiare dei mercanti.
Vidi lui che cercava di guardarmi ma non ce la faceva.
Guardami, Taehyung.
I suoi occhi però trapelavano tristezza.
Probabilmente sapevano già del nostro destino.
── Stammi bene, hyung.
Mi lasciò con un bacio sulla gota.
Se non fosse stato per la gentaglia alle calcagna sono certo che mi avrebbe lasciato con un bacio sulla bocca.
Aveva pianto così tanto questa notte perché sapeva già che non ci saremmo rivisti.
Aveva pianto così tanto questa notte perché sapeva che era solo una storia di cinquantaquattro ore d'estate al meleto dei miei genitori.
E aveva pianto così tanto questa notte perché mi amava.
E anch'io lo amavo? Sì.
Ma il fatto che fossimo nel ventunesimo secolo, in questo secolo di tecnologia, mi dava speranza.
Perché Taehyung non sarebbe stato solo nel mio cuore ma anche nella galleria delle foto del mio Huawei tarocco.
Tarocco, come il mio cuore.
Dio, perché tremiladuecentoquaranta minuti insieme ci avevano cambiati così?
── Magari un giorno ci rivrederemo, hyung.
Due di pomeriggio.
Lui non c'era più.

WHERE APPLES FALL, TAEGGUK Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora