I - Tela bianca | Dov'è finita la Pace?

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Scritto per il contest di: sailor-viv
Terzo tema
-crushcvlture isxobel l-lovely-

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Ezio ultimamente non ne capiva molto del mondo, sapeva che erano in guerra, sapeva che spesso i muri urlavano, sapeva che loro dovevano scendere le scale e nascondersi sotto terra; sapeva anche che erano in guerra, e sapeva che avevano perso tutto ciò che c'era prima, o almeno, questo era ciò che diceva sua nonna sospirando le poche volte che l'andavano a trovare; Ezio invece non ricordava qualcosa di diverso da quella situazione, ma capiva che molte persone avevano vissuto meglio, e che lui non aveva - ancora - potuto assaporare quel privilegio chiamato Pace.

Dall'alto dei suoi sei anni, si chiedeva dove fosse finito il padre e dove quei signori vestiti di verde avessero portato la sua fidanzata dalla stella gialla; l'aveva chiesta anche lui, quella stella, ma a quanto pare era riservata solo a pochi eletti; si domandava spesso perché la sua piazza puzzasse sempre di carta bruciata e perché nessuno avesse più il coraggio di dire niente; la cosa poi finiva li, perché quella era la sua normalità e non conosceva nient'altro.

Ma come tutti, aveva cominciato a desiderare la Pace; a chiedersi come sarebbe stato essere felici, essere insieme, essere senza paura.
Come sarebbe stato mangiare qualcosa di diverso da una zuppa schifosa e senza gusto, cosa che stavano facendo proprio in quel momento.

"Ezio, muoviti a mangiare", gli disse la madre mentre lanciava uno sguardo teso al piatto pieno del figlio, "Non sprecare il cibo", aggiunse con un sospiro, gli occhi che si chiudevano per qualche secondo.

"Tanto non lo mangerà comunque", osservò la sorella con aria cinica, il piatto vuoto e lo sguardo che indugiava su quello del fratello, come a voler magiare anche quello, di certo l'avrebbe fatto se avesse potuto.

Ezio le mostrò la lingua e riprese a mangiare, il cucchiaio affondava in quella densa brodaglia, aveva un sapore davvero orribile, ma era da tempo che mangiavano solo quella; dopo neanche qualche minuto era di nuovo perso nella sua testa, i pensieri che vagavano indisturbati.

"Ezio, vedi di-".

"Dov'è finita la Pace?", chiese il bambino alzando gli occhi verso la madre; la sorella alzò uno sguardo confuso verso la donna, come a cercare di capire come avrebbe risposto, o magari lo voleva sapere anche lei, dove fosse finita questa fantomatica Pace di cui parlavano in molti.

La madre abbassò lo sguardo sul piatto, poi sul volto le comparve un grosso sorriso, e si alzò di scatto in piedi, cominciando a girare intorno al tavolo.

"Vedi", disse con la voce radiosa, "La Pace è piccola così", disse simulando la distanza di qualche centimetro fra l'indice ed il pollice, come se fosse li in quel momento.

Ezio spalancò gli occhi, "Così piccola?", chiese, allora non doveva essere molto importante.

La madre annuì, "Certo, così piccola", disse con un sospiro, "È un uccellino così piccolo, ma così importante", aggiunse dopo qualche secondo, "Ed è molto fragile".

"Una colomba", disse sbuffando la sorella. "Un piccione bianco".

La madre non ascoltò il chiaro cinismo e annuì con un grosso sorriso, anche se i suoi occhi stavano diventando lucidi, "Una piccola colomba", disse, "E dentro porta tutto ciò che c'è di bello", aggiunse mentre girava intorno al tavolo, le mani chiuse l'una sull'altra, "Per esempio?", chiese.

"Elena!", urlò Ezio pensando alla sua ragazza scomparsa, una stella gialla cucita sul suo bellissimo cappotto verde, "Elena è bellissima!", disse pensando ai suoi lunghi capelli scuri, al suo piccolo naso ed ai suoi grandi occhi azzurri, non vedeva l'ora che tutto questo finisse, voleva tornare da lei.

"Certo", disse la madre, continuando a girare con calma intorno al tavolo, "Tu hai in mente qualcosa, Sara?", chiese rivolta alla figlia.

"Il mio bellissimo vestito", disse la ragazza sbuffando; l'avevano dovuto vendere un po' di tempo prima, in cambio avevano avuto qualche chilo di farina stantia, ma il punto non era quello, "E papà", aggiunse, poi chiuse la bocca, perché sentiva la sua gola bruciare.

"Benissimo", disse la madre, poi aprì le mani con uno scatto, fermandosi al lato del tavolo, "La colomba racchiude tutto questo", disse tendendo le due mani aperte.

"E dov'è?",chiese Ezio sporgendosi in avanti, la voleva subito, voleva quel piccolo uccellino, ma non l'aveva mai visto da nessuna parte.

La madre sembrò pensarci un'attimo, "La teniamo tutti noi", disse, poi si portò le mani al petto, "La stringiamo, la proteggiamo, la coltiviamo".

Ezio imitò il gesto della mano, poi sbirciò fra le sue mani strette al petto, "Ma io non la vedo", disse con aria triste.

Sara sbuffò scocciata, "Perché non esiste nessun uccellino magico", poi si alzò con uno scatto, diretta nella camera in cui dormivano.
Ma non lo fece veramente, si fermò invece dietro alla porta, voleva sentire come continuava la storia, voleva sapere anche lei dove diavolo fosse finita la Pace.

"Certo che esiste", disse la madre, ignorando la figlia che se ne andava; riabbassò lo sguardo su suo figlio, che la guardava con occhi sognanti.
"Ma ora non è qui".

"E dov'è?", Ezio si sporse ancora di più sul tavolo, la zuppa ormai quasi fredda dimenticata, rinviata ad un secondo momento.

"Delle persone l'hanno mangiata", disse sua madre con un sospiro, le mani che si allontanavano dal petto; poi si sedette con calma al tavolo, davanti al figlio.

La sorella, da dietro alla porta, ascoltava con gli occhi chiusi; lei voleva andare a scuola, voleva diventare qualcuno di grande, ma sapeva che ormai tutto quello era scomparso; finita o non finita, vinta o persa, quella guerra si era portata via la sua infanzia, e con quella, la sua istruzione, le sue speranze, i suoi amici, la sua vita.
Si era chiusa in se stessa, in una bolla di cinismo e di distacco, ma lei voleva qualcosa meglio; voleva stringere quell'uccellino al petto, pensò con rabbia.

"M-mangiata?", Ezio non riusciva credere alle sue orecchie, si lasciò cadere con un tonfo sulla sedia, mentre lo sguardo si fissava sul tavolo sporco, "Chi?".

"Quelli che ora stanno facendo la guerra", disse la madre mentre poggiava una mano sulla testa del bambino, "Sai, a loro quel piccolo uccellino può fare malissimo", gli disse, poi deglutì per tenere ferma la sua voce, "Quindi loro lo rubano a tutti, e lo mangiano", scompigliò i capelli al bambino, che stava per mettersi a piangere.

"Quindi io non ce l'ho?", chiese lui mentre sentiva una lacrima calda scivolargli sulla guancia, in mente solo l'immagine del suo petto vuoto e triste, "È morta?".

"No, certo che no", disse la madre, "È dentro di te, loro ne possono mangiare quanto vogliono, ma non morirà mai davvero".

Il bambino tirò su col naso, e si asciugò le lacrime, "Davvero?", chiese piano.

"Certo", la madre gli sorrise, "Gli serve un po' per riprendersi, ma vedrai che fra poco sarà bella come prima", la madre sospirò mentre pensava a suo marito perso in chissà quale campo di battaglia. "E il papà sarà di nuovo qua, con noi".

Ezio annuì felice, mettendosi finalmente a mangiare il suo piatto di zuppa, se l'uccellino doveva crescere, anche lui doveva farlo, per rendere più forte la colomba.

Sara si buttò con un sospiro sul loro letto matrimoniale, dove dormivano tutti insieme; poi si racchiuse le mani al petto, che si stava alzando e abbassando velocemente; forse non era proprio finita, forse dopo la guerra lei sarebbe potuta tornare al liceo, avrebbe potuto studiare, avrebbe potuto avere ciò che voleva, forse sarebbe diventata qualcuno, se coltivava quella piccola colomba.

Quella notte, Ezio sognò una grande persona che rubava un piccolo uccellino bianco dalle mani di sua mamma; poi se lo portava in bocca, rimanendo fermo i denti bianchi che scintillavano al buio mentre l'uccellino ci rimaneva calmo sulla lingua; quella parte del sogno era molto confusa in realtà, ma ricordava perfettamente il momento in cui lui aveva rubato quella piccola colomba, ed era scappato via tenendosela stretta al petto; nel sogno, la sua ragazza dalla stella gialla gli aveva sorriso, e l'aveva ringraziato.

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