YEOLNET | SPICCHIO QUATTORDICI

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«È urgente, non è vero?» domandò Taehyung.

Il mese di luglio si andò scorciando e culminò col sesto mese del calendario romano, o con l'ottavo mese del calendario gregoriano, agosto.
Augusto perché in onore di Augusto, cioè Cesare Ottaviano.

Sembrava ieri che Shin-hye avesse iniziato le vacanze d'estate.
Sei settimane non bastavano affatto.

Dunque, era già agosto.
Snobbare l'estate, da giugno ad agosto, del Giappone era per i turisti oltre misura opportuno.
Costava l'iradiddio andare a spasso sotto il cielo di mezzogiorno.
Certo, l'estate del Giappone voleva anche dire Hanabi, i fiori di fuoco, Kakigori, la granita giapponese, il suono dei Fuurin (campanelle del vento) nei templi, lucciole, cicale, grilli e tanti festival come quello di Natsu Matsuri, musica, ballate (bon-odori), rituali, bancarelle e carrozzoni.

Anata ni aete shiawase desu dicevano ai loro grandi amori.
Sono felice di averti incontrato (o incontrata).
Insomma, tutto ciò che vedevano negli anime shōjo era realtà.
Insomma, tutto ciò che né pel di carota e né il ventiduenne pornodivo avevano mai delibato.
Nessuno dei due, inoltre, aveva mai visitato il monte Fuji.
Una delle tre montagne più sacre per i shintoisti.

Poiché fosse già agosto voleva anche dire che fra qualche giorno il cielo della capitale del Paese del Sol Levante, Tokyo, si sarebbe acquerellata di almeno ventimila fuochi d'artificio.

E con tutto ciò, Taehyung fumava.
L'acuminato odore di Mac Baren soffocava il sorrisetto del suo bodyguard.

Quest'ultimo, Jungkook, mangiato della crema di uova di gallina con succose verdurine, aveva invitato Taehyung alla lavanderia del quartiere, Wash&Dry, per parlare.

Quando era spuntato il giorno, Jungkook si ricordava, aveva lanciato blasfemie a sé stesso per aver messo sotto i piedi Taehyung.

Lo aveva malmenato.
E tanto a suo giudizio.

Taehyung era l'ultima delle persone che avrebbe desiderato mortificare.
Una figura di merda dopo l'altra.
L'esiguo autocontrollo, c'era da dire, era una sua inadempienza.

Jungkook poi si acconciò i risvolti dei pantaloni grigi da tuta.
Si faceva quasi sempre i risvolti prima di lavarsi i piedi.
Ma stavolta li aveva fatti, perché faceva tanto caldo non perché fosse una moda del duemilasedici.

«Dico, hai ancora i pantaloni da tuta e la canottiera.»
Sì, pel di carota quella mattina si era infilato una canotta bianca e i pantaloni da tuta un po' alla Central Cee.

Era sceso giù nella lavanderia a gettoni un po' come un clochard, un barbone, perché aveva avuto fretta.

«Vuoi della Coca? Coca Cola?» domandò il ventisettenne.

Srotolarsi dalla sua tana era stato veramente palloso quella mattina dei primi di agosto.

Avrebbe preferito stravaccarsi sul divano anziché far fronte al genere umano.

Le iridi quasi gli andarono affondando nelle occhiaie infossate.
Ma sapeva che Taehyung era, forse, importante.

«A quest'ora, Jungkook? Alle dieci di mattina?» domandò.
Taehyung portava occhiali da vista a mo' di rettangolini assestati sul naso e, proprio come pel di carota, si era infilato qualche cosina di casalingo.
Anche lui una tuta della Nike.

Ovviamente, aveva già buttato il mozzicone di sigaretta Mac Baren.

«Una lattina non ti ucciderà.»
L'ombra pigra del bodyguard si accostò di fronte ai distributori.
Il viso gli era ammantato di luce color malva.

UNDER YOUR BREATH, TAEGGUKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora