19.2 - Lui sta nelle cose che più amiamo

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Galassia, Asgard.

Si stavano fissando sin dal momento in cui Lilith aveva varcato la soglia di quella porta. Nessuna delle due sembrava intenzionata ad abbassare lo sguardo o ad aprire bocca per prima.

La bambina era seduta a gambe incrociate su quel materasso morbido, attorno a lei solo il disordine di quella camera. Aveva cercato qualcosa, fino a pochi minuti prima che la Strega entrasse. Chiunque avrebbe potuto capirlo, perché una stanza non si mette a soqquadro in quel modo senza un buon motivo di base. E Lilith già sapeva quali erano state le ragioni che avevano spinto la bambina a compiere quel gesto.

«Suppongo che qualcuno dovrà mettere in ordine questo disastro e non sarò di certo io a farlo» alla fine, la Dea decise di parlare per prima. Voleva fare un po' la finta tonta, farle credere che non sapesse nulla dei sospetti che Elin nutriva su di lei. Voleva vedere la sua reazione.

«Hai voluto che ci trasferissimo a palazzo, ci sono delle persone addette a sistemare i casini degli altri» rispose Elin, lanciandole uno sguardo di sfida. «Mi chiedo, se non l'hai fatto per la comodità della servitù, allora cosa ci facciamo qui?» domandò retoricamente, alzando un sopracciglio.

Ancora una volta, Lilith aveva piacevolmente notato che la bambina non era una persona che si faceva prendere in giro facilmente. Sorrise divertita, muovendo qualche passo sul pavimento lucido e addentrandosi in quella stanza.

Scavalcò un cassetto del comodino, che era stato sfilato via dal mobile e abbandonato sul tappeto rotondo. Stette attenta a non pestare i vestiti, anch'essi sparsi sul pavimento e si fermò poi davanti alla finestra, che le donava una nitida vista sui giardini curati.

«Tu che risposta ti daresti?» le chiese, decidendo di stare al gioco e prendere la situazione con calma.

Elin aggrottò la fronte, non aspettandosi quelle parole e quel tono pacato. «Che sei voluta venire qui per uno scopo ben preciso. Uno scopo che non ha nulla a che vedere con le comodità della vita da sovrani» rivelò, senza però far trasparire troppo di tutto quello che in realtà pensava.

Nella sua mente c'erano una miriade di altre ipotesi, ma non era sicura di nessuna di quelle, perché non aveva trovato informazioni che potessero aiutarla. Niente di niente era nascosto in quella camera, nessuno sembrava sapere nulla di più su quella donna. Perciò, l'unica cosa che le era rimasta, erano le sue supposizioni, tutte fondate sulla frase che aveva udito.

«Esatto» commentò Lilith, smettendo di osservare quello splendido giardino curato e tornando a voltarsi verso la bambina. Stava per dire altro, quando venne interrotta.

«Sei voluta venire davvero qui per conto di Thor?» chiese Elin, non guardandola nemmeno negli occhi. «E perché mi hai portata con te?» aggiunse, senza darle il tempo di parlare.

La Dea prese un lungo respiro, poggiandosi con la schiena al muro e mordendosi il labbro, mentre rifletteva sulla risposta migliore da darle. Ma il prolungato silenzio bastò per far capire alla bambina che i suoi dubbi non erano poi così infondati.

«Oh mio Dio... allora è vero che stai mentendo a tutti, quei due avevano ragione» appurò la piccola, sentendosi pervasa da un turbinio di emozioni. «Almeno la storia di Thor è vera?» le chiese speranzosa.

Lilith sospirò, staccandosi da quel muro e avvicinandosi a lei. Si sedette sul bordo del letto, guardandola in modo enigmatico. Dopo tutto quel tempo, si era ormai affezionata a quella bambina. Un po' perché ci aveva vissuto assieme e un po' perché, sotto certi aspetti, le ricordava lei.

Elin era forte, determinata e sola.
Aveva dovuto imparare a cavarsela per conto suo, perché dopo la morte dei suoi genitori, nessuno si era più preoccupato di lei. Una morte che non era stata casuale. Questo lei lo sapeva e ormai lo sapeva anche Lilith. Ma soprattutto, chi meglio di tutti lo sapeva, era proprio Odino.

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