7. Non bastava chiederlo?

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Entro nel bagno e controllo che non ci sia nessuno. Apro ogni porta, guardo in ogni angolo. Deserto. Meno male, ho davvero bisogno di solitudine.

Apro una doccia girando la manopola al massimo sul caldo ed inizio a svestirmi.

Quando sono nuda, mi tuffo sotto il getto d'acqua bollente. Il caldo mi avvolge, mi scalda, mi scotta. Mi vengono i brividi, ma non importa.

Fa male, ma non importa.

Il dolore mi serve.

Serve a trovarmi, serve a capirmi.

Stringo i denti ed i pugni e cerco di abituarmi a quel calore straziante.

Senza uscire dal getto, allungo una mano verso il pacchetto di sigarette, che ho sistemato a portata. Mi accendo una lucky strike vinta con una scommessa e cerco di rilassarmi nonostante il dolore provocato dal calore.

L'odore del fumo verrà assorbito dalle ventole del bagno. Non ci sono finestre in questo posto e gli odori devono costantemente essere risucchiati. Nessuno si accorgerà mai che qualcuno ha fumato qui.

Aspiro lentamente il fumo mentre inizio a sentire la pelle scottare. L'acqua bollente è una delle cose che più mi è mancata in isolamento.

Mi chiedo che cosa mi stia succedendo con Macarena. Mi sento così provocata da lei.

Da una parte, mi sembra di avere bisogno di scappare da lei. Di fuggire dal suo ego così raffinato e puro, di voltarle le spalle ed andarmene il più lontano possibile.

Dall'altra invece, mi sento attratta da lei come un magnete. Ogni volta che la vedo avvicinarsi a me, mi rendo conto di non riuscire a fare altro se non rimanere pietrificata, immobile. Altro che fuggire, mi sembra di stare sulle montagne russe.

Non mi sentivo così da quando ero adolescente e questa cosa mi mette paura, perché mi fa sentire anche vulnerabile.

Ho costruito la mia vita e la mia personalità in modo da cancellare o nascondere qualsiasi fragilità, ma ora, davanti a Macarena, sento le mura di me stessa cedere sotto i suoi sguardi.

Bagno quello che resta della mia sigaretta, in modo che si spenga e allungo il braccio per prenderne un'altra, ma non faccio in tempo a raggiungere il pacchetto perché sento la porta che si apre. Mi immobilizzo, cercando di capire dai passi chi possa essere. Prego tra me e me che non sia una guardia, oppure addio sigarette, addio docce e addio libertà per almeno altri tre giorni.

In realtà, quando capisco chi si sta avvicinando ci ripenso, spero di sbagliarmi ed inizio a preferire che sia un secondino. Non appena vedo la sua chioma bionda spuntare da dietro l'angolo mi corre un brivido lungo la schiena.

Spengo in fretta l'acqua ed afferro l'asciugamano, coprendomi immediatamente.

Macarena, però, continua la sua camminata rivolgendomi solo uno sguardo fugace, per poi infilarsi in un bagno dicendomi:

- Continua pure a fare quello che stai facendo, non mi interessa. Devo solo fare pipì. -

Rimango interdetta ed immobile, su due piedi, guardandola chiudere la porta davanti a me.

Mi rivesto nervosamente ed esco dal bagno, facendo più in fretta possibile per evitare di doverla vedere uscire prima di me ed incrociare il suo sguardo di nuovo.

Mi chiedo se mi stia pedinando, ma perché dovrebbe?

Torno in cella lanciando qualche cuscino e distruggendo qualche sedia dal nervoso. Per fortuna, non so come, riesco a non attirare l'attenzione di nessuno.

Tutto questo tsunami emotivo mi sta distruggendo. Non provavo emozioni simili da anni.

Il resto della giornata trascorre tranquillo. Non incrocio più Macarena e questo mi solleva. Mi degno anche di presentarmi in mensa all'ora di cena, nonostante soddisfare la fame non sia tra le mie priorità oggi. Mi siedo a fianco a Saray e faccio finta di ascoltare le futili conversazioni delle mie compagne di cella. Non mi capacito di come, dopo anni passati in carcere, siano in grado di intavolare ancora conversazioni così insensate.

Torniamo in cella e la sirena annuncia che è ora di andare a dormire. Pochi minuti dopo le luci si spengono e Cruz del Norte si trasforma in un santuario silenzioso.

Eccetto per gli echi russanti provenienti dalla maggior parte delle celle.

Fatico a prendere sonno e, come se non bastasse, Goya da il meglio di sé. Il fracasso assordante delle sue narici è inconcepibile e non so come facciano le altre a trovarsi in un sonno così profondo nonostante quel concerto assordante.

Mi volto verso il muro e fisso il cemento, cercando di pensare all'ennesimo modo per evadere da questo posto di merda.

Poi, improvvisamente, mi accorgo che il letto comincia a muoversi e poi sento dei passi. Mi volto, cercando di non fare alcun rumore, e faccio appena in tempo a vedere Macarena che esce silenziosa dalla cella.

Senza pensarci due volte, la seguo. Stavolta sarà lei a sentirsi pedinata.

Prima di uscire do uno sguardo al letto di Lidia. Sembra dormire tranquillamente.

Osservo Maca percorrere l'intero corridoio. Poi, scendere le scale. Sembra dirigersi verso la biblioteca. Scendo a mia volta le scale e la vedo voltare l'angolo proprio in quella direzione. È strano però. Dovrebbe essere chiusa di notte.

Giro anch'io l'angolo e mi ritrovo davanti al cancello automatico della biblioteca. Chiuso.

Ma Macarena non c'è più.

È impossibile che sia entrata. Non ho sentito nessun rumore di porte o celle.

Dove cazzo è andata?

Poi, qualcuno mi afferra da dietro e mi tappa la bocca con una mano. Cerco di divincolarmi, tirando una testata e cercando di mordere contemporaneamente la mano, ma la persona dietro di me schiva il colpo e mi strattona, sbattendomi con la schiena contro il muro e staccando la mano dalla mia bocca prima ancora che io possa ferire chiunque mi abbia attacca. Anche se, ho pochi dubbi a riguardo.

Nonostante la penombra riesco a distinguere i tratti del viso di Maca. Istintivamente le tiro una ginocchiata, obbligandola ad indietreggiare, per poi avventarmi su di lei come una furia ed atterrarla al suolo, schiacciandole la gola con il gomito.

- Pensavi di potermi ammazzare così? Prendendomi alle spalle come una codarda? -

- Zulema, calmati. Volevo solo parlarti. -

Rido.

- Non bastava chiederlo? -

- A quanto pare parlare con te è sempre un problema. -

- Sei tu il problema, bionda. - le sussurro, ad un soffio dal viso.

Rimango immobile per qualche secondo a fissarla, rendendomi conto che ha smesso di divincolarsi da un pezzo. Nonostante questo, non ho il coraggio di lasciarla.

Non per paura, ma per qualcos'altro. Qualcos'altro che non voglio nemmeno lontanamente immaginare.

Lei mi sorride e dice:

- Volevo parlarti in un posto in cui nessuno potesse sentirci. -

- Ripeto: non bastava chiederlo? -

Lei fa spallucce, continuando a sorridere.

Scuoto il capo e la lascio.

Ci mettiamo entrambe sedute a terra, con la schiena contro il muro, in un angolo cieco per le telecamere.

- Avanti, dimmi. - la incalzo.

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Buongiornoooo!

Che bella questa tensione Zurena.

Ciao.

Gina.

I wanna be your-s(lave)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora