Capitolo 778: Gutta cavat lapidem.

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Cesare Borja aveva ancora lo stomaco sottosopra e si chiedeva come mai non arrivasse, dalla galea di suo padre, l'ordine preciso di scendere finalmente a terra, malgrado il mare stesse tornando a farsi agitato.

Quel viaggio, che doveva essere breve e meno pericoloso di una cavalcata via terra, si stava dimostrando una mezza tragedia. Si erano imbarcati il primo del mese, ed era già il 5 marzo e ancora non era giunti a destinazione. Quella notte, mentre cercavano di recuperare un po', una tempesta tremenda si era abbattuta su di loro e il Valentino aveva vomitato in continuazione, così come metà equipaggio. Aveva rimpianto moltissimo di non aver portato con sé Michelotto, rimasto a Piombino come Legato Generale, perché almeno lui, con il suo volto impassibile, avrebbe saputo rassicurarlo mentre la nave rollava senza tregua dando a tutti l'impressione che si dovesse rovesciare da un momento all'altro.

Adesso che il cielo cominciava a scurirsi di nuovo e le acque a muoversi, Cesare si malediceva per essere stato tra quelli che non avevano voluto per nessun motivo tornare verso Piombino, dopo la prima mareggiata, ostinandosi a raggiungere Corneto via mare. Avevano finito per restare bloccati al largo di Porto Ercole per un giorno intero. Lì avevano trovato una nave inglese, una di quelle agili, piccole e veloci, e il Duca di Valentinois aveva già preso un mezzo accordo col Capitano, per farsi portare a Corneto con quella, invece che con le imponenti e poco maneggevoli galee volute dal papa, ma ovviamente Alessandro VI si era opposto.

Ora, dopo essere ripartiti, si trovavano ormai abbastanza lontani da Porto Ercole, ma non ancora in vista di Corneto, e il tempo instabile minacciava di farli affondare ben prima di poter arrivare a destinazione.

Per il momento, l'unico ordine arrivato dal pontefice era stato quello di fermarsi. Il figlio avrebbe voluto o tornare indietro, o poter sbarcare, ma pareva che una tattica attendista fosse quella prescelta da Rodrigo, e nessuno osava mettersi contro il volere pontificio.

Era da poco passato il mezzogiorno e se qualcuno tra i marinai più navigati iniziava a proporre di mangiare qualcosa, Cesare non doveva nemmeno pensare al cubo, se non voleva tornare a dar di stomaco. Aggrappato con entrambe le mani al parapetto, scrutava il cielo sempre più nero. Il vento gli scompigliava i capelli portati lunghi e l'odore pungente del sale si mescolava a quello più dolce, ma pericoloso, della pioggia. 'Di certo – pensava il Valentino – non lontano da qui sta già diluviando.'

"Se voi volete rimanere a bordo per paura di quello che potrebbe dire o fare mio padre – fece a un certo punto il Duca, rivolgendosi in modo generico a tutto l'equipaggio – non mi interessa. Voglio che mi prepariate una barchetta: raggiungerò subito la costa."

Mentre qualcuno si affrettava a fare com'era stato richiesto, e qualcun altro non alzava un dito, temendo di contrariare il papa anche solo pensando di aiutare Cesare, il Valentino cominciò a fissare con intensità crescente la costa. Era vicina, ma non vicinissima: non aveva più tempo da perdere, doveva a tutti i costi scendere da quella galea prima che iniziasse la tempesta.

"E poi cosa farete?" gli chiese uno dei marinai che non aveva avuto il coraggio di prendere parte attiva alla richiesta del Valentino.

Cesare non aveva pensato alla seconda parte del suo piano, tuttavia rispose con molta prontezza, come se avesse ben chiaro un programma: "Comprerò un cavallo... Anzi, uno per me e uno per chi mi seguirà, e andrò così a Corneto via terra."

"Chi Dio v'assista." commentò il marinaio, sollevando un sopracciglio.

Cesare, scansandosi di malagrazia i capelli dal viso, combattendo inutilmente contro le folate di vento sempre più forti e fredde, ribatté: "Che Dio assista voi, povero sprovveduto!"


"Come mai sei qui?" chiese Caterina, quando si vide arrivare dinnanzi Francesco Fortunati.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte V)Where stories live. Discover now