5-Mamme e bambole di tulle

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La quinta volta mamma ottenne un lavoro come medico in un orfanotrofio di Tokyo. Avevo cinque anni e conobbi dei nuovi amici, erano uniti come una famiglia e mi permisero di entrarci. Loro condivisero la loro vita con me, ed io condivisi la mia con loro. Mi sentii amata e felice, per una delle prime volte nella mia vita.

Mavis

Tirai fuori le chiavi dalla tasca della gonna, le inserii nella serratura e girai due volte in senso orario, facendola scattare.

Mi tolsi le scarpe, gettandole alla bell'e meglio per il soggiorno. Stessa sorte toccò allo zaino.

Andai in camera mia, nonostante mi facesse ancora strano chiamarla così.

Quella stanza piuttosto piccola, con le pareti giallastre, un piccolo letto che ricordava a grandi linee quello di un ospedale, un armadio in legno e una piccola scrivania in legno bianco tenuta in ordine.

La mia vecchia stanza era molto più grande, allegra, sapeva di casa.

Ricordavo bene quell'enorme letto a castello, le pareti bianche piene di poster di calcio, le due scrivanie ai lati opposti della camera, una bandiera italiana attaccata alla parete e un'immancabile borsone pieno di roba sudata appartenete a mio fratello.

Emettei un piccolo sospiro lasciandomi cadere sul letto, finendo a guardare il soffitto.

Avrei dovuto fare i compiti, ma non mi andava di rimettermi con il naso sui libri dopo un'intera giornata passata a non fare altro.

Avrei dovuto chiamare Celia e dirle che ero arrivata sana e salva a casa, ma non mi andava parlare con nessuno.

Però presi il telefono e aprii Facebook, mettendomi a cercare Silky. Non c'era nulla di male nel seguire una propria amica sui social media, no?

Così la trovai, sotto un banalissimo nome utente. Silky.Blaze.

«Fantasia portami via» Borbottai ironicamente.

Non che io potessi giudicare, dall'alto di MavBK. Molto scontato.

Non ci volle molto affinché la bicolore accettasse la mia amicizia sul social e la ricambiasse.

Così lo poggiai di nuovo, ma non feci in tempo neppure a rilassarmi totalmente che sentii il cellulare vibrare, segno che qualcuno mi stava chiamando.

In un primo momento pensai a Celia che, dandomi per dispersa, mi aveva chiamata per sapere se ero riuscita a trovare la sua casa.

Poi, alzando il cellulare per poterne guardare il display, il mio sguardo s'incupì.

Non era la mia amica a chiamarmi, era mia madre.

Accettai con riluttanza la chiamata, ben sapendo quali tremendi presagi potessero incombere su di me se quella donna mi stava chiamando.

Appena risposi sentii dall'altro capo del telefono una voce femminile ovattata, come se stesse parlando da lontano. Mi chiamava sempre e solo mentre guidava. Era un classico che non avesse tempo per la sua stessa figlia.

«Ciao Signorina»

Disse, e potevo sentire le sue labbra cozzare fra di loro coperte dall'orribile rossetto rosso che metteva da quando avevo memoria.

«Lascia i convenevoli in ospedale, cosa vuoi mamma?» Domandai, infastidita quanto incuriosita.

«Non essere scortese signorina, ti ho educata per bene» Storsi le labbra. Quel nomignolo tanto affettuoso pronunciato da lei diventava un impasto melenso di zucchero e veleno. «ora riformula la tua domanda con un linguaggio consono»

𝕀𝕝 𝕄𝕚𝕘𝕝𝕚𝕠𝕣 𝔼𝕣𝕣𝕠𝕣𝕖 𝕕𝕖𝕝𝕝𝕒 𝕞𝕚𝕒 𝕍𝕚𝕥𝕒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora