Capitolo 806: ...si facessi un Doge all'uso viniziano.

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"Allora?" Lucrezia non salutò nemmeno il marito, nel momento in cui lo vide rincasare: "Chi ha vinto? Cosa avete deciso?"

Jacopo Salviati sollevò le sopracciglia e poi, una volta che il servo ebbe preso il suo cappello e la sua bisaccia colma di carte per riporli, guardò la moglie e riferì: "Si farà un Gonfaloniere a vita, del tutto simile con il Doge di Venezia."

La Medici si accigliò e chiese: "Del tutto simile? Dovrà venire anche lui da fuori? Dovrete votarlo con quelle regole assurde che usano a Venezia..?"

"No, no..." rispose, stanco, il marito: "Possiamo andare in camera? Sono stato fuori tutto il giorno, non ho mangiato e sono stanco morto..."

"Certo." annuì la donna, precedendolo.

Jacopo non aveva alcuna intenzione di tenere la consorte sulle spine, ma veramente quella giornata l'aveva stremato. Per di più l'umidità che perseguitava Firenze quel giorno pareva essere diventata ancora più opprimente e l'uomo era stato tormentato fin dal mattino da un tremendo mal di testa che, invece di affievolirsi era andato acuendosi. Con pazienza, Lucrezia fece portare la cena per entrambi, aiutò il marito a indossare abiti più comodi e poi ripose la domanda che aveva fatto all'inizio.

Sorbendo qualche sorso di vino fresco, il Salviati sollevò un sopracciglio e riportò: "Alla fine, ma non è stato semplice, si è votato per un Doge sul modello veneziano."

Alla Medici non sembrava una cattiva notizie, ma il marito aveva parlato con tanta cupezza da indurla a chiedere, apprensiva: "Non è quello che volevamo?"

"Certo." ammise Jacopo: "Anche se adesso abbiamo circa un mese di tempo per far sì che passi la nostra linea... Ne ho già parlato anche con mio cugino Alamanno e..."

"Andrà tutto bene." lo rincuorò Lucrezia, capendo infine l'origine della mestizia del proprio sposo, ossia la stanchezza mista alla costante paura di non riuscire a coronare appieno il progetto designato.

Nel rassicurarlo, la donna aveva passato con fare protettivo una mano tra i capelli di Jacopo che, vinto da quel gesto dolce, l'abbracciò e affondò il viso nel suo collo, borbottando: "Mi sembra tutto così difficile..."

La Medici andò avanti ad accarezzarlo, senza dire nulla. Suo marito, per tutti, era un uomo pacato, quasi freddo, e sempre impassibile. Anche se in molti non avrebbero saputo spiegarne appieno la linea di pensiero, di certo tutti – sia i suoi detrattori sia i suoi amici – si sarebbero sorpreso nel vederlo in un momento di sconforto come quello, specie dopo una vittoria come quella ottenuta alla Signoria quel giorno. Lucrezia, invece, negli anni aveva conosciuto ogni lato del Salviati, anche quello più vulnerabile, e si sentiva una privilegiata, nel poter essere testimone anche dei momenti di debolezza, come quello che stava vivendo quella sera.

"I nostri figli come stanno?" chiese dopo un attimo l'uomo, cercando di ricomporsi e si lasciarsi scivolare via la fatica e la tensione accumulate durante la riunione fiume di quel 26 agosto.

"Stanno tutti bene, stai tranquillo." sorrise la Medici, staccandosi un po' e guardando il viso segnato del marito.

Le piccole rughe che gli si erano formate vicino agli occhi e la linea più severa delle sue labbra le ricordavano la loro discreta differenza d'età, tuttavia non vedeva altro in lui, perfino in quel momento, se non il giovane uomo che l'aveva presa per moglie molti anni prima, conoscendola secondo i suoi ritmi, amandola giorno per giorno, andando a smussare con la sua dolcezza e la sua bontà d'animo gli spigoli che lei aveva mostrato nel tentativo di difendersi dall'ignoto. Anche il Salviati aveva dei difetti, come chiunque, ma per Lucrezia non poteva esistere uomo che le fosse più adatto di lui.

"Maria ti ha cercato..." soggiunse la donna, ricordandosi della strana insistenza con cui la figlia di tre anni aveva chiesto del padre quel pomeriggio: "Ma poi si è calmata e ha fatto la brava."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (Parte V)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora