9. Singularity

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Ci incamminammo lungo la strada sterrata; era fangosa, molto probabilmente aveva appena piovuto. Il clima era umido e ghiacciato, sentivo la pelle gelata e appiccicarsi ai vestiti. Intravidi una carrozza a lato della strada, era imponente, ma era... vecchia: il legno era logoro, le tendine ammuffite, persino i cavalli erano stanchi e malati, così come il conducente. Salimmo entrambe dentro il trabiccolo; sapeva di marcio.

«Perché sono qui?», domandai finalmente alla signora seduta di fronte a me. Fremevo dal farle quelle domande, per me di vitale importanza.

«Perché è il tuo destino». A quella risposta tanto semplice quanto idiota, io impazzii.

«Stronzate!», ribattei furente, fissandola negli occhi; ma anche dopo il mio scatto d'ira, non emetté sillaba. «Che vuol dire? Avanti, spiegamelo!».

«Sei destinata ad essere qui, in questo preciso istante. Non puoi farci niente». Si sgonfiò sul sedile come un fantoccio svuotato.

«Me ne frego del mio destino!», ribattei. «Sono destinata a morire, non è così?», chiesi inespressiva, osservando i suoi occhi opachi.

«Giovane Haley, il destino è trascendente e superfluo; conoscerlo potrebbe davvero modificare il corso delle cose? Pensaci bene: ogni azione disperata al fine di evitarne un'altra ti porta inesorabilmente verso la conclusione. L'atto finale della commedia», sussurrò, fissando un punto nel vuoto. «Tieni, bambina, il bracciò ti farà male». Mi lanciò per terra un fazzoletto, ma quando mi chinai per raccoglierlo, la carrozza sorpassò un dosso che mi fece volare in alto; urtai  un pezzo metallico che mi ferì il braccio, aprendone una ferita. Lo posai sul taglio con un'espressione sconvolta dipinta sul viso; era imbevuto di alcool: quanto tempo prima lo aveva preparato? «So cosa stai pensando: se non te lo avessi passato, ti saresti fatta comunque male? È uno dei grandi paradossi dell'universo. Se tu non avessi toccato quel buco nero, Helene Baudelaire sarebbe comunque morta?»

Boccheggiai, incapace di rispondere. «Come posso aver sfiorato quel buco nero? Ora sarei dovuta già essere morta», azzardai. Conoscevo le leggi della fisica, questo era innaturale.

«Cosa è successo dopo?» mi domandò, affilando lo sguardo.

«Mi sono svegliata», ribattei.

«Il buco nero dov'era?» insistette.

«Non c'era più; era scomparso», risposi, sempre più confusa.

«I buchi neri non scompaiono per magia, tesoro. A meno che una forza più grande non li inghiottisca», replicò criptica. Ogni tentativo da parte sua di spiegarsi, creava in me un senso sempre più enfatizzato di disagio e incertezza. «Sai cosa sono i buchi neri?», domandò ad un tratto; cosa voleva che fossero? Enormi pozzi senza fondo, ecco cos'erano. «Sono singolarità».

«Ah, ma certo, come ho fatto a non pensarci!», replicai, dandomi una pacca sulla fronte. Mi guardò impassibile. «Sarcasmo», chiarii, scuotendo la testa.

«Le singolarità si possono studiare sul piano matematico e fisico, ma a noi interessa quello fisico, non è vero?», mi chiese.

«Uhm... sì?», affermai per niente sicura. Odiavo con tutto il mio cuore le materie scientifiche.

«Oh, ma che brava! Visto? E ci sei arrivata tutta da sola!». Ah-ah-ah. Davvero, stavo per scoppiare a ridere. «Sarcasmo», chiarì, come se non l'avessi capito. Ma dai? «Sta' tranquilla tesoro, sei sempre più sveglia della ricca Baudelaire». Non era un vero e proprio complimento, ma nonostante ciò mi riempii d'orgoglio. Almeno avevo qualcosa in più di lei. «Comunque, riprendendo il nostro discorso... le singolarità sono dette tali poiché sono fenomeni singolari, contro la teoria della relatività».

«Aspetta, aspetta... ma Einstein in questo periodo non ha ancora pubblicato la teoria della relatività... no?», domandai, e per un momento parve vacillare.

«Non mi hai forse visto anche nel presente?», chiese. Giusto. «Una singolarità si forma con il collasso di una stella massiccia, ed è un punto dove la densità è infinita. Un buco nero deforma lo spazio e di conseguenza il tempo. Entrando in un buco nero potresti affacciarti in un universo con leggi della fisica totalmente diverse dal nostro». Si inumidì le labbra secche per il discorso; io, intanto, iniziavo stranamente a capirci di più. «Vediamo... dov'ero arrivata? Oh, sì. Si suppone che dentro i buchi neri rotanti esistano particolari cunicoli, detti wormhole; essi, sempre in teoria, sono canali che permettono di attraversare mondi paralleli, o giungere nel passato del nostro». Sbiancai.

«Perché mi stai rivelando questo?», asserii, deglutendo un fiotto di saliva.

«Perché non dovrei?», ribaltò la domanda, per nulla turbata. «Guarda, siamo arrivati», aggiunse serena, indicando con il vecchio dito bitorzoluto - era così nodoso e fragile da sembrare un rametto di un albero - la locanda in cui ci eravamo fermati il primo giorno di quell'assurdo viaggio. L'autostrada non era stata ancora costruita, perciò la taverna era il fulcro di un villaggio di contadini abbastanza spoglio. Non mi immaginavo così la famosa epoca vittoriana, ma certamente i libri di storia non facevano riferimento a un gruppo di tristi casette.

Entrammo nel locale, non più animato solo da quattro ubriaconi, ma animato da tanti, tantissimi ubriaconi. L'odore pungente dell'alcol mi inondava le narici, l'allegria e l'ebbrezza erano padroni indiscussi dell'atmosfera vivida e il rumore... non riuscivo nemmeno a pensare in quell'accozzaglia di suoni, colori e profumi.

«Ti preparo qualcosa da mangiare, va bene?», mi domandò la signora; mi accorsi in quel momento che non conoscevo ancora il suo nome.

«S-sì», risposi, pensierosa. «Scusa, ma... qual è il legame che unisce me ed Helene? Perché non ho ancora capito», ammisi. Buchi neri, wormhole, niente mi riusciva a spiegare appieno ciò che stava succedendo intorno a me, ciò in cui io ero stata coinvolta.

«Oh, lo saprai, lo saprai al momento adatto», biascicò, iniziando a preparare due uova strapazzate.

«Ma perché sono qui?», gridai, facendo calare un silenzio tombale intorno a me: gli ubriachi smisero di tracannare boccali di birra, la musica cessò, il chiasso cessò.
L'attenzione era rivolta verso di me, ma io la odiavo. Io ero ai margini, io ero la spettatrice silenziosa, non l'interprete. Ero stata trascinata nel bel mezzo della scena senza il mio volere. «Voglio ritornare a casa!». Sembravo una bambina capricciosa, ma io lo ero!
Ero un'acerba sedicenne immatura, piagnucolona e impotente; mi sentivo smarrita in quel luogo che non mi apparteneva. In quel momento avevo bisogno di un punto di riferimento, un'ancora a cui aggrapparmi. «Aspetta...». Tirai su con il naso, parlai con voce sottile «Tu come ti chiami?».

«Ti interessa davvero?», chiese, e i suoi occhi mi apparvero stranamente tristi.

«Perché non dovrebbe?». Sorrisi mesta, ma la donna non ricambiò: sembrava nervosa, sulle spine.

«Il mio nome è Louise. Louise Baudelaire».


Non pubblico da un po' e per questo mi scuso immensamente ^^' Vi volevo avvisare che sto iniziando a revisionare il tutto, purtroppo mi sono accorta che gli eventi iniziali si susseguono troppo velocemente e sono un pochino troppo corti. Oltre a cambiare i titoli dei capitoli (sono moolto volubile, quindi, scusate), lo capirete dalla R accanto ad essi. Purtroppo gli aggiornamenti saranno più lenti. Un bacio!

Marghe.

BlackholeOù les histoires vivent. Découvrez maintenant