I'm sorry, but I don't know how to say sorry

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It's hard for me to say I'm sorry
I just want you to know
Hold me now
I really wanna tell you I'm sorry
I could never let you go

«Simò, 'o sai che ho paura dell'altezza, li mortacci.» solita spavalderia da coglione quale sono, scusa Simone, so che non te lo dico spesso, ma ti saresti stancato anche tu a sentirmi dire scusa tutte le volte che avrei dovuto, quindi rimango zitto come ho sempre fatto, e spero che tu colga dal mio silenzio tutto ciò che non ho il coraggio di dirti.

In fondo sei sempre stato tu la parte intelligente dell'associazione.

«Dobbiamo superare le nostre paure, prima o poi, no?» mi domandi e io non sono per niente convinto, però poi ti vedo seduto sul cornicione del tetto sul quale mi hai portato e — piuttosto che lasciarti lì da solo — mi faccio coraggio,

Un respiro.

Due.

Tre, per sicurezza.

mi avvicino, con passo lento, calcolato e mi siedo vicino a te.

«Non hai paura?» scusa, non ho capito la domanda, è che non ti sto ascoltando, troppo impegnato a osservare la punta rovinata delle scarpe ai tuoi piedi, che stai facendo dondolare ora avanti e ora indietro, con tranquillità, come se non ci trovassimo a quaranta metri d'altezza.

«Uh?» mi immagino la mia espressione, la vedo riflessa nei tuoi occhi e nel tuo sorriso — Cazzo! Il tuo sorriso, quanto mi era mancato. —

E scusa se appaio scemo, è che con te a meno di un metro di distanza il mio cervello non connette più, non lo faccio a posta, giuro! Mano sul cuore. (e dita incrociate, come gli infami, ma non perché sia una bugia, è che ormai sono abituato a farlo.)

«Dico,» e ridi, con la stessa risata di quando ti viene un esercizio difficile — aka. 'impossibile' —di matematica, una risata sincera, genuina, autentica, un po' come te, «non hai paura dell'altezza?»

Di brutto.

«Non troppa.» altra bugia, scusa. «Ma perché semo venuti qua?» tocca a me fare una domanda, mi accendo una sigaretta cercando di lottare contro il vento, m'hai portato in mezzo al maestrale, Simò.

«Perché m'ero stancato dello stagno nella piscina di casa mia, va bene?» chiedi e annuisco, che non mi importa dove, finché ci sei tu a rompermi i coglioni mi va bene ovunque.

Ti offro la sigaretta, più per educazione che per altro, ché di quella sigaretta ne ho bisogno e me la fumerei benissimo da solo, e tu sembri averlo capito e la rifiuti con un gesto della mano.

Tossisco appena, domani mi sveglierò con una febbre fulminante e sarà il tuo turno di venirmi a trovare in ospedale, ti sento sussurrare un «Fuma, fuma.» come se la causa della mia tosse fosse la sigaretta stretta tra le mie dita.

«Pari mi' madre, Simò.»

E io continuo a fumare, e quella sigaretta pare frantumarmisi tra le dita, lasciando dietro solo il sapore amarognolo e l'alone di nicotina sui miei polpastrelli.

Il silenzio è interrotto solo dalle macchine sporadiche che passano di tanto in tanto nella notte e dal vento che ogni tanto fa muovere le chiome degli alberi.

«Te ricordi al museo?» tasto dolente, scusa, però ho bisogno di parlarne, ho bisogno che tu sappia — che tu capisca.

«Nonostante il trauma cranico — purtroppo — me lo ricordo.» e i piedi ancora a dondolare, ancora avanti e indietro, ora avanti e ora indietro.

Tack tock, tack tock. È il suono che si sente ogni volta che i talloni impattano il muro. Tack tock.

«Ma che 'purtroppo', aò? Che 'nto'o voi ricordà er primo approccio de Simone Balestra al genere maschile?» rispondi di sì, ti prego, ne ho bisogno.

«Sinceramente?» sì Simone, con me devi essere solo sincero, e scusa se io non lo sono stato con te, «Sì, mo'o voglio ricordare.»

«Bene, perché anche io lo vojo fà.» lo vedo che mi guardi, mi basta la vista periferica per notare il tuo sguardo su di me, ti prego guarda avanti, non sporcarti gli occhi con me, non te lo meriti.

«Senti Simo, me dispia—» «Non lo voglio sentire.» mi interrompi, sei incazzato e te lo concedo, però capiscimi, se non parlo impazzisco, implodo, esplodo, non lo so, fammi parlare per favore.

«Non voglio sentire che ti dispiace.» ti strappi le pellicine delle dita, e io prendo le tue mani nelle mie, ché delle cose così belle 'nse possono rovinà per colpa mia, scusa.

«Allora te dico quello per cui me dovrei scusare, ma non te chiedo scusa, va bene?» ci siamo allontanati un po' dal bordo, ché ho paura dell'altezza, ma ho più paura del fatto che tu te ne sia accorto, non so nasconderti le cose molto bene.

Scusa, «Per averti detto quella marea de stronzate, al garage, a casa tua, da quando 'amo iniziato a parlare t'ho detto solo cazzate.» ti accarezzo il dorso delle mani, più per farmi forza che per confortarti, scusa se sono così egoista.

Scusa, «Per avere rifiutato il bacio al museo, è che m'hai preso alla sprovvist—» mi guardi male e c'hai ragione, c'hai ragione, cazzo! «Aspè, così pare che me sto a giustificà, no è stata colpa mia — così sembra che faccio 'a vittima —.» ridi, t'ho detto che quando mi sei vicino divento scemo. (non te l'ho detto, ma ho pensato di farlo, e questo a me basta.)

«Afferrato il concetto.» mi rassicuri come se fossi io quello ad averne bisogno al momento.

Scusa, «Per non averti detto queste cose prima, per aver aspettato tanto, troppo, tempo.»

Porto le tue mani sul mio viso, ho bisogno di te, delle tue mani, della tua pelle sulla mia, ho bisogno di fumarmi una canna e ho bisogno che tu mi dica che secondo te è inutile, che non ne capisci il motivo.

«E sc—scusa se sono un codardo e se per colpa mia non semo potuti sta' insieme, è colpa mia. Scusa, scusa, scusa.» non ce la faccio, tutte quelle scuse devono pur uscire da qualche parte.

Le mie lacrime hanno vita breve, vengono asciugate dalle tue mani prima che possano bagnarmi le guance, «È okay, va tutto bene.» mi rassicuri e mi sento inutile, sei tu quello che dovrebbe piangere, eppure non riesco a smettere, eppure mi sento meglio.

«Però dovresti dormì di più.» ridacchi e sento i tuoi pollici contornare le mie occhiaie.

«Perchè?» lo so il perché, ma faccio il finto tonto, sperando che il problema possa svanire magicamente.

«Stai iniziando ad avere le allucinazioni.»

Io chiudo gli occhi e ti annuisco, e improvvisamente sento il sapore salato delle mie lacrime, perché non c'è nessuno ad asciugarmele, e appena li riapro tu non ci sei, tu non ci sei mai stato.

E c'hai ragione, Simò, dovrei dormire di più, ma è da quando te ne sei andato che non riesco a chiude' occhio.

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It's hard for me to say I'm sorry (I just want you to stay)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora