Povera mente.

3.4K 223 101
                                    

"E credi che a me piaccia lo schifo che fai?!"
"Aspettavo il momento in cui avresti rovinato tutto."
"Non m'interessa quello che fai durante la settimana, ma queste porcate tienitele per te in famiglia!"

Famiglia.

Famiglia.

Quella parola gli faceva schifo.

Famiglia?

Quale famiglia?

Quella disastrata che erano? Quella dove un genitore non sapeva chi era il figlio?

I genitori di Marco non conoscevano un cazzo di niente della merda che avevano messo al mondo, e se ci pensava nemmeno i suoi.

Nemmeno i suoi di genitori sapevano quanto schifo avesse fatto nei bar durante il fine settimana, e cazzo, voleva che lo sapessero.

Voleva che sapessero quanta merda avesse fatto il figlio, voleva che sapessero quante ragazze aveva scopato e le aveva lasciate indietro come fossero nulla, e tutto solo per giustificare quell'espressione disgustata che aveva visto sul volto di suo padre.

Suo padre lo guardava da anni in quel modo, per questo si era zittito in quel modo quando lo aveva guardato in faccia.

Da anni, era sempre stato così.

E lui da anni cercava di dare un motivo a quell'espressione.

Da anni cercava di essere la merda che suo padre credeva lui fosse solo per dirsi che aveva ragione, che non c'era mai stata cattiveria nel loro rapporto, e tutti i litigi che c'erano stati fra loro erano dovuti al fatto che dentro, Christian, qualcosa che non andasse, ce l'aveva davvero.

Da anni cercava di giustificarlo, e quella mattina, quand'era entrato in quella casa sentiva che qualcosa era cambiato.

Nonostante il disagio, nonostante le solite vecchie facce da rimprovero, nonostante tutto, credeva che almeno i suoi genitori avessero un minimo riguardo di lui.

Credeva che fossero felici che almeno sapeva gestirsi da solo, che in quei due anni non aveva mai chiesto nulla economicamente, che se l'era vista sempre lui da solo a soli diciannove anni, che si era comprato una macchina con i suoi e solo suoi di sacrifici, rinunciando a tutto e a tutti per i primi mesi.

Ma invece no.

Loro non sapevano un cazzo.

Loro non sapevano niente e nemmeno se ne fregavano di tutto quello che c'era dietro, perché l'unica cosa che avevano visto erano i segni che confermavano le loro teorie: solo il ritardo, solo i succhiotti.

E chissá cosa credevano lui facesse durante il fine settimana.

Ma lo sapevano che cos'era stato in grado di fare?

Ma lo sapevano di come stava imboccando una strada giusta nonostante lui provenisse da un ambiente tossico?

Ma lo sapevano delle corse che faceva nella vita per trovare il tempo per il suo amore e per i suoi amici? Tempo da dedicare loro come persone, e non come svago.

Christian aveva trovato per chi amava ciò che i suoi genitori non avevano mai trovato per lui: tempo e parole.

Lui lo aveva fatto cazzo.

Lui lo aveva fatto per il sangue che non era il proprio, e loro invece no.

Loro non erano stati capaci di fare un misero sforzo per parlare a tavola con un figlio che loro avevano voluto, che loro avevano messo al mondo, a cui loro avevano scelto un nome.

Christian non voleva giochi da piccolo e non gliene fregava un cazzo se non cambiava vestiti con la frequenza di altri bambini: l'unica cosa che lui guardava da piccolo era che in mezzo al pubblico, negli stupidi tornei di calcio organizzati dai paesi, suo padre non c'era mai a guardarlo.

Come le Maschere di Pirandello. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora