▫️5. Lacrime, sangue e bugie

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Chiudo la porta e appoggio la schiena ad essa, le faccio fare il lavoro che dovrebbero fare le mie gambe

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Chiudo la porta e appoggio la schiena ad essa, le faccio fare il lavoro che dovrebbero fare le mie gambe.
Butto fuori il fiato un paio di volte.
La mia priorità più grande?
Mettere più distanza possibile tra me e l'individuo fuori da casa mia, che in poco più di un'ora è stato capace di distruggere quel po' di vita che mi ero creata in questi mesi e, sì, anche buona parte della mia sanità mentale.

Le zampette rassicuranti di Macchia corrono nella penombra della stanza fino a raggiungermi e saltellano sulle mie gambe in cerca di attenzioni.
Accarezzo la sua testolina pelosa cercando di trarre un conforto, che purtroppo neanche lui stavolta è in grado di darmi.

«Sono nella merda, palla di pelo. E ora che faccio, uhm?»
Mi lascio scivolare finché il sedere non cozza con il pavimento.
La bestiolina salta sulle mie gambe leccandomi dal viso quelle lacrime che nemmeno mi ero accorta di star versando.
«Io non ti voglio lasciare.»
Lo abbraccio forte e uso il suo pelo come fosse un enorme fazzoletto su cui smocciolare senza ritegno.
«Potremmo andare via, io e te. Ma dove? Come minimo mi fa spiare ventiquattro su ventiquattro quel... quel pezzo di...»
Serro le labbra.

«Ehi!»
Prendo tra le mani la testa di Macchia e lo guardo intensamente.
«Promettimi che lo sbranerai se mai dovesse entrare in questa casa.»
I suoi occhioni da cucciolo mi osservano attenti, ma sappiamo bene entrambi che non sarebbe capace di far male a una mosca.
«Ti voglio bene anche se sei un fifone che mi venderebbe per un biscottino.»

Le sue orecchie scattano sull'attenti e riprende a leccarmi la faccia tutto scodinzolante. Almeno mi fa ridere di cuore.
E per quell'attimo mi fa scordare dei guai.
Di Ferrante.
Dei suoi occhi.
Della sua bocca a un soffio dalla mia.
Quelle labbra così belle per uno che non sa usarle per altro che non siano velate minacce.

°°°
«Mmh...»
La vibrazione del cellulare disturba quei cinque minuti di sonno, che ero riuscita a conquistare dopo una notte passata a fissare il soffitto e a recriminare su quanto io abbia fatto solo pessime scelte nella mia giovane vita.

«Pronto chi sei?» biascico ancora con la bocca impastata e gli occhi semichiusi, la testa mi sta esplodendo nel cranio.
«Ma come chi sono? La tua Lidia, no?»
«Che vuoi?»
«Sempre così carina appena sveglia tu?»
«Per favore erano i miei primi cinque minuti di sonno, cosa c'è? E perché mi chiami anziché entrare come al solito e prepararmi il caffè?»
«È mercoledì.»
«Embè?»
«Sono in palestra, sciocchina. Non ho tempo per prepararti il caffè.»
«Però hai tempo per chiamarmi e rompere le palle.»
La sento sbuffare.
«Il tuo zainetto è tenuto in ostaggio da Susanna, che tra l'altro sta preparando dei muffin da perderci la testa. Passa da lei appena ti alzi, okay?»
«Così mi viziate.»
Ridacchia facendo sorridere anche me.
«Appena torno pranzo e poi aperitivo. Io e te abbiamo molto di cui parlare, tipo... tu e Diciotto che uscite insieme dal night...»
Il suo tono allusivo mi fa venire voglia di piangere.
«Ciao, Lid, adesso chiudo.»

𝕀'𝕞 𝕟𝕠𝕥 𝕐𝕠𝕦𝕣𝕤Where stories live. Discover now