CAPITOLO 3

44 14 13
                                    

La pallida alba si insinuava fra le feritoie della fortezza, rischiarando lentamente le mura grezze. L’aria, ancora umida di rugiada, vibrava del battito incessante di migliaia di cuori. 

Lungo le merlature, figure scure si muovevano come ombre. Uomini duri, abituati alla violenza, scrutavano l’orizzonte, sempre in guardia. 

Nelle corti interne, le reclute si addestravano con fervore e il clangore delle spade risuonava nell'aria.

Il cozzare delle armi si intrecciava con i colpi ritmici dell'incudine del fabbro, creando una sinfonia marziale. Il canto degli uccelli, una melodia più dolce, si levava dagli alberi, un contrappunto delicato a quella cacofonia di ferro. 

Servitori, simili a formiche indaffarate, si muovevano tra le stanze, trasportando pesanti vassoi carichi di vivande. Il tintinnio delle stoviglie si mescolava al fruscio della seta e al profumo inebriante dei fiori che adornavano le sale. 

Nei giardini, un'atmosfera di ozio e raffinatezza aleggiavano nell'aria. Nobili e dame, maschere di porcellana dalla bellezza fragile, intrecciavano conversazioni piene di veleni e di adulazioni, mentre i loro occhi, come vipere, scrutavano attentamente ogni movimento. Sotto la patina di civiltà, si celavano passioni, ambizioni sfrenate e un'insaziabile sete di potere.

La roccaforte, in posizione sopraelevata, si ergeva al centro di una fiorente città dove il tessuto urbano era vivace e pulsante, con case di pietra, botteghe di ogni genere, taverne accoglienti e un mercato cittadino animato dalle grida dei commercianti e dal frastuono degli acquirenti.

Il centro abitato era cinto e protetto da mura che formavano un ottagono perfetto. Massicce e imponenti, sorreggevano torri cilindriche ad ogni angolo. 

L'entrata principale, un enorme cancello in ferro, veniva sollevato o abbassato mediante catene azionate da argani a ruota. Oltre a questa, vi erano altre tre porte che permettevano l'accesso e l'uscita dalla città fortificata. Sebbene più piccole, queste aperture erano altrettanto vigilate e ben protette, ognuna con il proprio contingente di guardie e sistemi difensivi, garantendo una gestione equilibrata e fluida del traffico dentro e fuori dalla cittadella. 

Fuori dal baluardo, l’aurora portava con sé l’energia di un nuovo giorno, risvegliando la terra e i suoi abitanti. I contadini, dalle mani dure e i volti segnati dagli stenti, si preparavano per la loro rituale lotta quotidiana. Gli arnesi che usavano, aratri trainati da cavalli vigorosi, vanghe e zappe robuste, erano strumenti di una saggezza antica, testimoni di generazioni di fatica e dedizione.

I solchi, tracciati con precisione, accoglievano i semi come una promessa di vita, gesti sapienti e precisi lanciavano la semenza nell'aria, affidandola al grembo materno della terra. Un rituale antico che si ripeteva da generazioni, un atto di fede nella natura e nelle sue infinite possibilità. 

Tutto questo era una cerchia pulsante di energia, dove le diverse classi sociali si intrecciavano in un'armonia di gesti, parole e suoni.

La luce filtrava attraverso ampie finestre, diffondendo una luminosità calda e avvolgente nella grande sala. Al centro, un tavolo rettangolare di pietra levigata si ergeva con la sua presenza imponente e solenne. Lungo i lati più lunghi, cinque figure attendevano con calma meditativa: due donne e tre uomini, i cui abiti, pur nella loro semplicità, esprimevano una sobria austerità.

La porta si aprì e rivelò due figure.

Un uomo, con i capelli grigi e ondulati che incorniciavano un volto segnato dal passare del tempo, aveva un pizzetto dello stesso colore che delineava una bocca tesa in una linea sottile. 

Al suo fianco, un soldato alto e robusto, con barba e capelli scuri, lo seguiva come un'ombra. Un mantello nero avvolgeva le sue spalle, mentre la spada nel fodero sembrava pronta a essere sguainata in qualsiasi momento.

Il Grimorio Delle TenebreWhere stories live. Discover now