𝟏𝟐 | 𝐁𝐮𝐭 𝐲𝐨𝐮 𝐛𝐞𝐥𝐨𝐧𝐠 𝐭𝐨 𝐦𝐞

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CAPITOLO DODICI

CAPITOLO DODICI

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Vanessa

Ero a casa di Isobel, o perlomeno a casa di Terence nella stanza di Isobel.

Nella mia stanza.

«Mi piace come hai sistemato qui» dissi camminando intorno alla stanza, era la prima volta dopo un mese che la vedevo senza scatoloni in giro.

Mi fermai davanti alla libreria che una volta era piena delle mie cianfrusaglie.

«Tutti questi libri e diari, non li ho mai avuti».

«Non ti piace leggere?» mi domandò.

«No, per niente».

Sicuramente farlo non era il mio hobby preferito, anzi, solitamente quando avevo del tempo libero non lo utilizzavo mai per fare una cosa produttiva come leggere, ma mi limitavo a dormire. Amavo dormire.

«E questa? Cos'è?» le chiesi. Lei era sdraiata a pancia in giù sul letto e leggere non so cosa.

Alzò gli occhi dai fogli che teneva in mano. Sorrise. «La mia scatola dei ricordi» mi disse semplicemente.

«Posso scuriosare?» le chiesi.

Lei alzò le spalle. La aprii e si rimasi incantata dalla quantità di cose e colori presente dentro una così piccola scatola.

Acchiappai tra le mani la cosa più colorata che i miei occhi vedevano. Aggrottai le sopracciglia.

«Sono occhiali a forma di fenicottero?» ero perplessa.

Lei ridacchiò. «Si, adoro i fenicotteri» disse annuendo. «Sono il mio animale preferito, dopo la farfalla» si mise una mano dentro al collo della maglia tirando fuori dal tessuto una collana. C'era un fenicottero rosa. « "Pink Floyd" è anche il nome della mia band preferita».

Lei era senza ombra di dubbio la ragazza più strana che avessi mai incontrato. La più particolare, la più solare che nonostante quello che stesse vivendo lei comunque era contenta, si accontentava dei piccoli momenti di felicità che viveva. La ammiravo tanto.

«E questa?»

Presi tra le mani una piccola clessidra che era riposta su una delle due mensole sopra alla scrivania.

La ammirai, la sabbia al suo interno era dorata e sul vetro c'erano come dei ricami di foglie e di fiori. Sembrava preziosa.

«Rimettila a posto per favore» tuonò Isobel.

Feci come mi aveva detto. Cercando di capirne l'importanza.

«Me l'ha regalata mia mamma prima di morire, è l'unica cosa che mi è rimasta di lei» sospirò.

Abbassai lo sguardo forse era meglio se stavo ferma.

Non mi piaceva parlarne con lei, non solo perché ogni volta la vedevo triste, ma perché non riuscirei mai ad immaginare la mia vita senza mia madre. Era già troppo dura con un padre assente.

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora