43- Cwtch.

89 19 248
                                    

Cwtch: (n.) more than a cuddle or a hug, when you give someone a cwtch, you figuratively give them a safe place.

── ⋆⋅ ☾☼ ⋅⋆ ──
Julian.

«Non ha accettato?»

«Non ha accettato» confermai al mio migliore amico, che mi osservava sistemare i documenti nel mio ufficio con una fretta disumana. «Ed è fastidioso non poterle dire niente, perché ha ragione».

«Hai chiesto alla tua vecchia psicologa di fare domande a tutti i suoi colleghi per scoprire se abbiano mai avuto in cura Lilith Andersen; è folle, lo sai?»

«Sapevo che avrebbe rifiutato, ma dovevo provarci» alzai le spalle. «Loro e quel segreto professionale del cazzo» biascicai.

«Anche gli avvocati ne hanno uno» rifletté il biondino, seduto comodamente sulla mia sedia girevole dietro la scrivania. «E in teoria ne hai uno anche tu».

«Lo rispetto sempre, non puoi dire il contrario».

«Non ci capisco un bel niente, quindi non fa molta differenza per me» sospirò. «Come procede il processo per il caso Kelly? I giornali dicono che siano stati trasferiti in una comunità, per adesso».

«Già».

«Pensavo ci fossero stati dei risvolti dopo il colloquio con quel Davis» sembrò genuinamente deluso, quasi quanto me.

«Novità ci sono, ma Josh vuole aspettare» sbuffai. «Quei bastardi degli avvocati di controparte potrebbero appellarsi al fatto che Rachel abbia fornito informazioni false dicendo di essere scappata, quando è stata rilasciata. È una situazione delicata, così dice Josh».

«Inutile spiegarmi i dettagli, non capisco» ridacchiò. «Ma sembra una pessima situazione».

«Lo è».

«E tu?»

«Io cosa?»

«Come stai, Julian?»

«Bene».

«Sei sicuro?»

«Sì, ne sono sicuro».

La sua ombra si muoveva sul pavimento mentre si alzava e faceva il giro della scrivania per raggiungermi. Una mano si posò sulla mia spalla, l'altra si adagiò sulla pila di documenti che stavo sistemando, interrompendomi.

Mi costrinse a voltarmi verso di lui e a guardarlo negli occhi. Sospirò, e sembrava in attesa di qualcosa.

«Dico davvero, Andrew» alzai le spalle. «È tutto nella norma, sono solo impegnato con il lavoro e non ho tempo per svagarmi e uscire con te e Kris, mi spiace essere assente».

«Non stavo parlando di me e Kris» scosse il capo. «Sei come un fratello per me, sono soltanto preoccupato... Parli poco, ti chiudi in te e nel tuo lavoro. Non ti fa bene».

Le sue parole mi fecero tirare fuori un timido sorriso di riconoscimento, anche se la gioia era lontana. Il lavoro riempiva le mie giornate e, in teoria, avrei dovuto esserne contento, ma ormai era diventato una fuga dai miei pensieri, un peso che sentivo ogni volta che affrontavo i documenti del caso Kelly.

Non avevo cercato Lilith, né di persona né da remoto. Pensavo fosse troppo presto, considerando le circostanze dell'ultima volta, e, in parte, non sapevo neanche cosa dirle.

D'altro canto, lo studio legale di Josh era diventato una sorta di secondo ufficio per me, e finivo per fare avanti e indietro da un edificio all'altro per scartoffie e questioni burocratiche che non interessavano a nessuno.

MIZPAHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora