Rose.

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Il cielo quel giorno era scuro, molti credevano che fosse per l'accaduto secondo alcune leggende. Io sapevo benissimo che il cielo, mi stava ricordando quello che avevo fatto. Era il riflesso della mia anima ma ehi, non c'è essere vivente che si rispetti che non abbia l'anima del colore catrame, quindi non ebbi neanche un po' di senso di colpa o preoccupazione, tanto in paradiso non ci avrei mai messo piede neanche piangendo disperata e, beh, all'inferno ci vivevo già, quindi ero a posto. Guardavo quel mio riflesso dalla mia finestra nella camera che mi era stata assegnata al compimento dei miei dieci anni, una camera nella soffitta della nostra amabile casa di campagna, uno schifo al cubo. Faceva freddo anche lì, anche troppo. da piccola pensavo che quella camera si trovasse in un universo parallelo, in un posto talmente lontano da quello che mi succedeva attorno, nel quale mi sentivo sicura, tipo come stare a Narnia. Tenevo le mani congiunte dietro la schiena,com'era mio solito fare quando pesavo, e potevo tirare le ciocche dei miei capelli mossi che fortunatamente mia madre era riuscita a districare e ad acconciarli. le due ciocche davanti legati, dietro la mia testa, creando così un piccolo ciuffo che si univa al resto della chioma scura. Abbassai lo sguardo notando le varie macchine laccate nere fiammanti, parcheggiare nel grande semicerchio davanti alla casa, mi chiesi da quando i miei famigliari avessero così tanti parenti e amici; di solito la casa era sempre stata vuota, cupa e triste. - Rosy vieni giù? - sospirai alzando e riabbassando le spalle, era il momento di entrare in scena. Indossai il cappotto nero sopra al mio vestito rigorosamente del medesimo colore. Mi aggiustai i capelli togliendoli da dentro il capotto e facendoli cadere dolcemente sulle mie spalle. Scesi le scale, ritrovandomi solo al secondo piano, le mie zie e mia madre erano già scese, meglio per me non avrei sentito i loro pianti pateticamente finti. Guardai verso il corridoio destro, nessun segno di vita; voltai la testa a sinistra, neanche lì probabilmente erano già tutti al primo piano. Non mi restava che scendere e partecipare al quadretto della famiglia addolorata per la perdita. Mi sembrava un enorme scocciatura, io non rimpiangevo nessuno, non mi mancava nessuno ed ero certa che neanche agli altri mancasse davvero. Sentivo le voci basse, piagnucolose e isteriche delle mie zie mentre scendevo l'ultima rampa di scale. Parlottavano della povera disgrazia accaduta alla nostra famiglia, disgrazia poi era stata una benedizione per me, diciamo un miracolo fai da te. Camminai per il corridoio stando attenta a non urtare nessuno, erano intrattabili i licantropi, mi incutevano terrore alcune volte, pur essendo cresciuta tra loro. - la cerimonia sta per iniziare, sei andata a vedere Lucius? - mi affiancò mia cugina minore, la ragazza con cui passavo il mio tempo quando non dovevo diventare una cuoca provetta o una mamma iperprotettiva, mi prese sotto braccio sorridendo. - sinceramente non me ne può importante di meno - risposi secca, guardando e chinando un po' la testa per salutare alcuni nobili che ci passavano accanto. - come sei fredda, Rosy. - mia cugina era una ragazza sul metro e settanta, grandi occhi azzurri e capelli corti fino alle orecchie color rame scuro. Possedeva un sorriso disarmante in certe occasioni e in altre incuteva una paura tale da farti pisciare sotto. - se parliamo di freddezza, Angel, mi batti dieci a zero - feci un sorriso ad un licantropo con la puzza sotto il naso. - puoi ben dirlo. Ah zia Marghi ti sta cercando, credo sia molto importante visto che il suo tono di voce supera quella di un gallo la mattina. - rise debolmente mettendosi una mano alla bocca. Annuì e mi staccai da lei, una solita conversazione tra cugine. La casa piano piano si stava riempiendo anche molto velocemente, lupi di tutti i tipi, da quelli enormi a quelli piccoli, dai potenti ai subordinati. Chiacchieravano, si schernivano e facevano battute non molto consone all'ambiente. Intravidi alcuni miei cugini di primo grado ma prima che potessero vedermi, passai dietro ad un uomo dai capelli neri tirati indietro con un gel evidentemente scadendo, visto che l'odore non era dei migliori e lasciava dei residui bianchi. Trattenni un conato continuando a vagare senza una meta precisa, andare da mia zia? Neanche morta. Ogni volta che andavo da lei o voleva sgridarmi per via del mio abbigliamento oppure per cercare il mio compagno, come se potesse deciderlo lei. Preferivo stare per i fatti miei almeno quel poco tempo che mi era concesso dai miei famigliari, sempre in agguato. Notai una donna con delle unghie lunghissime, almeno quanto due mie falangi, quindi più o meno dieci centimetri. Le guardai per qualche secondo poi continuai il mio percorso, non volevo provocare l'ira di una di quelle signore. Uscì in giardino, essendomi trovata di punto in bianco davanti alla portafinestra, il vento soffiava anche se molto piano. Si infilava sotto il vestiti accarezzandomi la pelle e facendomi rabbrividire. Poco più avanti alcuni ragazzi, capitanati da mio cugino più grande, iniziavano a montare l'altare di legno. Le teste erano chine, in segno di rispetto e tristezza, e vedendole un senso di odio mi pervase, loro sapevano cos'era successo, cosa aveva fatto e avevano deciso di stare in silenzio. Erano suoi amici. Loro erano colpevoli quanto lui, dovevo meritare la stessa fine ma purtroppo il fato non è stato della mia stessa idea e questa cosa mi faceva infuriare. Mi piantai le unghie nel palmo della mano cercando di reprimere i nervi, di reprimere il mio istinto. - vedo del sangue, Rose cara - la voce di mia madre mi distolse dai miei obbiettivi, mi afferrò le mani con un gesto rabbioso, osservando il palmo la cerato. Ad un certo punto rise sommessamente alzando un sopracciglio:- come mi aspettavo. Sei così prevedibile. - ritrai le mani, odiavo quel contatto, il contatto con mia madre. La donna che mi aveva dato alla luce, fin da piccola avevo questa strana sensazione nei confronti della donna. La sua faccia mi diceva solo una parola falsa. I suoi occhi, la sua voce, i capelli, il suo modo di comportarsi mi ricordava una bambola, si una bambola assassina.

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