2. Grigio

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Attraverso l'ingresso del parco rovistando nella mia borsa nera alla ricerca della mia copia ormai consumata di "Delitto e Castigo". Non appena le mie dita smaltate di rosso scuro si chiudono sulla copertina consumata, afferro il libro e lo estraggo dai meandri della mia tracolla. Lo stringo al petto e mi risistemo la sciarpa per ripararmi da un'aggressiva ventata d'aria fredda. Sono ormai sei giorni che Milano è sferzato da vento insolitamente freddo per la stagione, ma questo non mi ha mai fermata. Anzi, uscire a leggere quando il tempo è brutto implica solitudine, e non vi è nulla di più bello di un parco quasi deserto. 

Le mie gambe percorrono automaticamente la strada per raggiungere la mia altalena. Eppure quando arrivo a tre metri da essa mi fermo, fissando dritto davanti a me con uno sguardo misto tra l'assente e l'interrogativo. La mia altalena, quella che mi ha cullata durante le mie lunghe letture, è occupata. Occupata da un ragazzo che sta chino su un blocco per appunti e fa correre la penna su di esso come se non potesse proprio lasciar sfuggire la sua improvvisa ispirazione. Tossisco per attirare la sua attenzione, perché santo cielo, quella è la mia altalena! Non ricevo risposta. Il nervosismo sta già minacciando di impadronirsi di me, mentre tamburello sulla copertina del mio libro e, quasi spazientita, lascio che il mio piede cominci a picchiare ritmicamente a sua volta per terra.

"Scusa?" chiedo con un tono abbastanza alto. Ha delle cuffiette nelle orecchie, proprio come me, proprio come ogni adolescente solitario e creativo. Proprio come chi, senza musica, non riesce nemmeno a mettere in ordine i propri pensieri.

"Si?" risponde senza nemmeno alzare lo sguardo dal foglio. Mi stupisco sempre di più della maleducazione di certe persone.

"La mia altalena. La stai occupando." Pronuncio, rendendomi perfettamente conto di quanto possa sembrare patetica questa frase, ma ancora più consapevole del fatto che no, lui non potrebbe capire perché per me è così importante quel seggiolino da cui lui non sembra aver intenzione di alzarsi.

Allunga il braccio destro nella direzione dell'altra altalena.

"Non vedo nessun nome. In ogni caso, quella è libera." Risponde, sempre evitando di ruotare il collo verso l'alto.

Non lo degno nemmeno di una risposta. Incrocio le braccia sul petto e resto lì, a fissarlo intensamente sperando che capisca di doversene andare, perché quello è il mio posto segreto, e non sono disposta a condividerlo con un'estraneo. È mio. Mio.

Dopo circa due minuti in cui sto dritta di fronte a lui, a fissargli la nuca e urlandogli mentalmente tutti gli insulti che conosco, finalmente, alza la testa e posa i suoi occhi nei miei. Non appena lo guardo capisco già che non c'è battaglia da combattere qui. È ancora il ragazzo di quattro o cinque giorni fa. Mi sorride e io alzo gli occhi al cielo, voltandomi e ripercorrendo il percorso che costantemente affronto tutti i giorni da ormai quasi due mesi. Mi siedo su una panchina abbastanza malridotta, posizionata proprio di fronte alle altalene. Prima di cominciare a leggere da dove mi ero fermata il giorno precedente, lancio un'occhiata di fronte a me, dove il ragazzo dai capelli scuri mi sta ancora fissando. Sbuffo e abbasso lo sguardo sulle righe che ormai potrei trascrivere a memoria, con tanto di virgole piazzate nel posto giusto.

"Mhmh", avevo mugugnato in risposta.

"È tutto così grigio, come fai a sopportarlo?"mi aveva chiesto con voce assente, lasciandosi sfuggire una nuvola di fumo. Si era voltato verso di me e mi aveva fissata con i suoi occhi neri. Completamente neri. Dopo qualche secondo in cui i nostri sguardi erano entrati in collisione, ho ritratto i miei occhi in fretta, evitando di rispondere alla sua domanda. Tre sospiri dopo, stava già parlando di nuovo.

swing | #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora