10- Justin

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Non credo che Jennifer sia nel pieno delle sue facoltà mentali, anzi, sono convinto che si sia data un po' troppo alla pazza gioia con lo champagne. Lo vedo dal modo in cui continua a buttare la testa indietro per rilasciare una fragorosa risata provocata da Dio solo sa cosa le stia dicendo quell'uomo.

E' lecito o, quantomeno, normale provare una buona dose di invidia nei confronti di un uomo sulla cinquantina che la sta chiaramente trattando come se fosse sua figlia? Tutto questo è semplicemente assurdo.

Me ne sto qui in macchina come un coglione, ad una trentina di metri da casa sua, con il finestrino abbassato per sentire la sua risata cristallina. Questo non è regolare, questo è semplicemente e fottutamente assurdo.  Me ne convinco di più con ogni secondo che passa.
Ma allo stesso tempo, divento sempre più impaziente di vederla salire nella mia macchina ed ammirare da vicino il modo perfetto in cui quel vestitino rosso aderisce al suo corpo minuto.

So che mi ha notato ma la presenza del padre di Clayton la costringe a comportarsi come se niente fosse. Ma scommetto che dentro di sé sta morendo dalla voglia di scagliarsi contro di me per non aver seguito alla lettera le sue indicazioni.
E non m'importa, sono contento di non averle dato ascolto. Non lascerò che vada in giro da sola a mezzanotte passata solo per il suo bisogno di nascondere a tutti i costi questo incontro.

Tuttavia, quando Patrick risale nella sua Maserati, per poi aspettare che Jen rientri in casa, non posso che tirare un lungo sospiro e prepararmi mentalmente all'uragano che mi colpirà da lì a poco.

Jen attende qualche secondo prima di uscire e avviarsi nella mia direzione, in modo da assicurarsi che se il padre di Clayton, per qualche strana e improbabile ragione, dovesse tornare indietro non la coglierà in flagrante.

"Tu!" Esclama, aprendo lo sportello dal lato del passeggero con forza. "Io ti ucciderò.",
"Stai cercando di intimidimi?" Le chiedo in tono divertito, guardando l'eleganza con cui prende posto sul sedile. Pur essendo arrabbiata, ogni suo movimento resta molto composto e preciso.
"Sto cercando di ucciderti per non avermi aspettata a qualche isolato da qui, così come ti avevo detto." Ribatte in quello che dovrebbe essere un tono minaccioso.
"Sai che mi sembri una gattina spaventata? Ti manca l'aria minacciosa." Continuo a stuzzicarla, sbrigandomi a mettere in moto e partire prima che possa cambiare idea. Jennifer, come risposta, mi tira addosso la sua piccola pochette nera per poi incrociare le braccia al petto e arricciare le labbra in una smorfia che la rende adorabile.

"E comunque, non ti avrei mai lasciata camminare da sola di notte, soprattutto vestita così." Riprendo a parlare in tono più serio, continuando a guardare attentamente la strada davanti a me.
"Sei troppo paranoico, è un quartiere sicuro." Ribatte, e posso quasi vedere, con la coda dell'occhio, come il suo corpo si rilassa man mano e l'espressione corrucciata abbandona il suo viso. Forse lasciandole intravedere il mio lato iperprotettivo, potrei guadagnarmi la sua fiducia. Ma,in realtà, non mi sto comportando da papà orso per ingannarla. Sono sinceramente infastidito dal pensiero che possa correre ancora più rischi per colpa mia.

"È per quello che ci sono stati almeno sette stupri negli ultimi due anni? E questi sono quelli denunciati, chissà quanti altri ce ne sono stati veramente." Ribatto, ancor prima di riflettere sulle mie stesse parole.
"Come fai a saperlo?" Mi chiede, lanciandomi un'occhiata inquisitoria.

Merda. Pensavo di aver già imparato a tenere la mia fottuta boccaccia chiusa. Ed ecco che, invece, sparo al vento la prima cosa che mi passa per la testa senza pensare a quanti dubbi potrebbero sorgere in quella testolina acuta.

"L'ho sentito dire." Rispondo con fare vago, sperando che non mi venga rivolta nessun'altra domanda. E, per mia fortuna, nonostante sia piuttosto evidente che non se la sia bevuta, Jen si limita ad accendere la radio per poi iniziare a canticchiare una canzone di Katy Perry.
Mi sorprende vederla così rilassata, sebbene sappia per certo che la sto portando a casa mia dove, ancora una volta, non ci sarà nessuno che la fermi dal compiere quello che sicuramente lei definirebbe un guaio per la sua relazione.

Sta guardando fuori dal finestrino con attenzione, probabilmente notando di essere portata lontana dal caos della città, eppure non proferisce alcuna parola al riguardo, continuando a cambiare le stazioni radio finché l'abitacolo viene riempito dalle note malinconiche di Wonderwall . Ancor prima di rendermi conto di quello che sto facendo, allungo la mano e alzo il volume per poi prendere a canticchiare  insieme a lei.

Il sorriso che Jen mi lancia, prima di ritornare a guardare fuori dal finestrino, mi fa girare la testa più dell'eroina di Jace. Seriamente, non pensavo potessi adorare così tanto qualcosa che non sia un bel sedere sodo, una quarta di reggiseno o delle gambe chilometriche.

"Oh, wow!" La sento esclamare sottovoce quando fermo la macchina di fronte al cancello in ferro battuto, che faccio aprire grazie ad un telecomando.
Il suo sguardo salta da una parte all'altra, come se non volesse perdersi alcun dettaglio e, giuro, darei qualunque cosa per poter infiltrarmi nella sua testa e captare ogni suo più piccolo pensiero. Qualcosa mi dice che abbia capito che c'è qualcosa di strano nell'aria, e il modo in cui il suo sguardo diventa sempre più attento e vispo mi dà un'ulteriore conferma.

"Colori scuri, quasi tetri, arredamento moderno..." Constata, camminando piano attraverso il salotto. " Mi piace, è tutto così adatto a te. Tranne il profumo alla lavanda. Ecco, non pensavo fossi il tipo da lavanda."
"Non lo sono." Rispondo, soffocando una risata.
"Se lo dici tu..." Replica, inarcando un sopracciglio. La sua diffidenza mi fa capitolare e scoppiare a ridere finché sento gli angoli degli occhi inumidirsi. Asciugandogli velocemente con il dorso della mano, reprimo la voglia di specificare che io stesso sono rimasto sorpreso quando, qualche ora fa, dopo un anno che non mettevo piede in questa casa, le mie narici si sono riempite di un familiare profumo alla lavanda che, francamente, non mi ha mai fatto impazzire ma che, allo stesso tempo, non ho mai disdegnato perché mi ricorda la mia infanzia e gli abbracci soffocanti di mia madre.

Dall'ordine maniacale che regna in tutta la casa, ho subito capito che quella donna ci passa le giornate a spolverare e pulire la mia casa, nonostante io non vi abiti già da un po'. Quando ci ho rimesso piede, un pesante senso di nostalgia mi ha invaso nuovamente e per qualche secondo ho sentito come il peso sulle mie spalle stesse diventando più gravoso, quasi insopportabile.

"Fammi fare un tour della casa. Magari scopro che qualche stanza odora addirittura di fragola." Mi provoca Jen, liberandosi velocemente dai suoi tacchi vertiginosi.
"Ai suoi ordini." Proferisco, afferrandola per la mano, per poi iniziare a guidarla attraverso ogni stanza della casa, accettando passivamente le sue battute sul mio attaccamento eccessivo al nero e al grigio. Eppure, potrei giurare che quest'atmosfera un più oscura la faccia impazzire.

"Questa è la tua stanza da letto, vero?" Chiede, avvicinandosi spedita alla finestra per poi spostare le tende e lanciare uno sguardo al cortile posteriore. "Quella piscina è immensa. Sappi che non me ne andrò da qui finché non ci farò un tuffo."
Restando appoggiato allo stipite della porta, mi limito a guardarla mentre si muove con destrezza attraverso la camera, guardando ogni foto e toccando ogni oggetto che attira la sua attenzione. Ma capisco che qualcosa stia andando storto quando, una volta che il suo sguardo ritorna a posarsi su di me, il suo sorriso di scherno viene sostituito da un'espressione seria.

"Justin, tu non abiti qui." Constata, incrociando le braccia sul petto.
"Questo posto è mio." Rispondo con fare evasivo,sforzandomi di mantenere la stessa postura rilassata.
"Si, ma non vivi qui. Questa casa non è abitata da un po' di tempo..." Continua, e i suoi occhi azzurri vengono attraversati da un lampo di delusione. Quasi fosse una rivelazione, capisco quasi all'istante cos'è  che la turba: è convinta che io abbia voluto tenerla lontana dalla mia vera casa. E' convinta che io non voglia lasciarle invadere il mio spazio personale.

"Non abito qui, ma ci ritorno sempre quando voglio essere da solo e ritrovare la mia tranquillità." Dico, decidendo di confessarle una mezza verità.
"E' il tuo luogo sicuro?" Ribatte, inarcando un sopracciglio.
"E il mio posto sicuro...il mio posto preferito." Concordo, abbandonando la mia posizione e facendo qualche passo nella direzione.

Il sorriso che ritorna ad illuminare il suo delicato viso mi fa sentire come un piccolo bambino che è stato catapultato in un negozio pieno dei suoi giocattoli preferiti.
Improvvisamente sono contento di aver trasgredito nuovamente alle mie stesse regole. Lei non ha più pallida idea del fatto che io le abbia appena fatto conoscere qualcosa del vero me, ma io ne sono stranamente estasiato. E non so assolutamente spiegarmi quale sia la ragione di questa reazione.

N.a
Ed ecco a voi il capitolo 10. Arrivata a questo punto, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate. Sarebbe fantastico se qualcuna volesse darmi qualche dritta...perché al momento sto brancolando nel buio e non so se sto andando nella direzione giusta o meno.
A presto! xx

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