39

1.4K 68 4
                                    

Facendo avanti-indietro, senza sosta, nel mio piccolo e adorato salotto, cerco di tenere a bada l'agitazione che sento fino a dentro le ossa, tirando fuori tutta la mia buona volontà per placare i miei infiniti pensieri negativi uno ad uno.

Oggi è stata una giornata incredibilmente frenetica.
Il mio ultimo anno di college è appena iniziato, il che vuol dire che mi aspettano nuovamente tanti mesi in cui verrà messa alla prova la mia capacità di dividermi tra il lavoro e lo studio. E Dio solo sa quanto io, molte volte, tenda ad essere incapace di focalizzarmi sulle mie priorità.

Ma questa sera sono pronta a mettere le mie innumerevoli ansie da parte e godermi ogni momento per così come viene.
Clayton è tornato a New York due giorni fa e finalmente, dopo un paio di telefonate durate ore, abbiamo deciso di tirare fuori il coraggio e incontrarci per poterci guardare negli occhi, mentre mettiamo un punto alla nostra situazione lasciata in sospeso, dopo questo mese passato a concentrarci sulle nostre rispettive vite. È così strano che io stia sprizzando felicità da tutti i pori per il suo ritorno?
Non riesco a capacitarmene del perché io ne sia tanto estasiata, eppure mi ritrovo ad calpestare velocemente gli stessi pochi metri di pavimento in attesa di sentir suonare il campanello, senza riuscire a tenere a freno l'agitazione.

Naturalmente voglio che veda quello che è cambiato durante la sua assenza. Voglio che veda i miei passi avanti e che ne sia orgoglioso. Perché, conoscendo Clay, posso addirittura azzardarmi a pensare che, pur avendo fatto le mie scelte in totale autonomia, sarà contento tanto quanto lo sarebbe se ne avesse preso parte. Ha fatto un sacco di errori nella sua breve vita, ma resta comunque un'anima bella. Una di quelle come non se ne trovano spesso, pur cercandole disperatamente.

Ad ogni modo, presto la mia camminata nervosa viene interrotta dal tanto atteso suono del campanello.
In un battibaleno mi trovo davanti alla porta e la spalanco letteralmente, pronta a buttarmi a peso morto tra le braccia di Clay. Ma devo contenere ancora un po' l'entusiasmo, giacché le sue braccia, in realtà, sono impegnate nel tenere scatole e scatoline impacchettate a regola d'arte.

"Aprili al ritorno, quando sarai da sola." Si raccomanda con me, abbandonando i regali sulla prima superficie che incontra non appena mette piede in casa. Dopodiché, con un sorriso a trentadue denti, si volta nella mia direzione e allarga le braccia come per invitarmi a riprendere il mio posto. E io di certo non ci penso due volte prima di catapultarmici con la velocità della luce. Il suo profumo mi inonda le narici, portandosi con sé una bella ventata di nostalgia. Perché forse gli amori finiscono, ma i ricordi restano e resta anche la consapevolezza che, pur avendo intrapreso strade diverse, abbiamo trascorso un periodo abbastanza lungo da essere autorizzati a sentirci un po' a casa uno nelle braccia dell'altra.

"Ti trovo bene." Mi dice poi, analizzandomi dalla testa ai piedi, lasciando trapelare l'ammirazione attraverso i suoi occhi ambrati.
"Quindi, immagino che tutto vada per il verso giusto."
"Più o meno." Rispondo con fare vago, lanciandogli uno sguardo d'intesa. E, così come previsto, Clay afferra al volo la mia reticenza nel scendere nei dettagli e lascia cadere l'argomento, convincendomi a mostrargli la casa come se fosse una galleria d'arte. La felicità con cui tocca letteralmente ogni superficie e analizza ogni dettaglio, mi fa sorridere senza sosta. Sembra quasi più contento di quanto lo sia stata io quando ci ho messo piede per la prima volta.

"C'è una cosa che mi lascia perplesso." Asserisce, mentre abbandoniamo l'appartamento e ci avviamo nella direzione dell'ascensore. "Com'è che hai lasciato le pareti bianche? Pensavo te saresti sentita come se stessi in un ospedale."
"Mi conosci fin troppo bene." Asserisco semplicemente, scoppiando a ridere di gusto, mentre la sua mano mi circonda la vita in un modo che mi appare piacevolmente familiare. Dopodiché Clay, su mia (insistente) richiesta mi racconta delle sue avventure a Tokyo, però sempre evitando accuratamente di ammettere che quella metropoli l'abbia rapito a tal punto che ha deciso di abbandonare la sua vita qui. Ma, dal canto mio, preferisco lasciare che egli si prenda tutto il tempo necessario per decidere quando sia meglio ammettere l'ovvio. Pertanto, non mi sforzo di dargli alcuna replica che lo possa portare in quella direzione.

Semplicemente mi limito a chiacchierare allegramente di argomenti non troppo personali, in modo che nessuno di noi due si senta, in qualche modo, a disagio.
Me la sta godendo a pieno la sua presenza, ed è proprio per questo che insisto imperterrita affinché riesca a convincerlo a lasciare la macchina parcheggiata vicino al mio appartamento e raggiungere il nostro ristorante preferito a piedi.
Naturalmente, Clayton da persona incredibilmente pigra qual è, malgrado si tratti di solo qualche isolato, mi guarda come se gli avessi appena chiesto di correre una maratona. Ma nonostante ciò mi accontenta e, continuando ancora a circondarmi la vita con fare protettivo, camminiamo lentamente per le strade affollate senza smettere di parlare nemmeno per un misero secondo.

"Come va con Justin?" Mi chiede di punto in bianco, con un'espressione che non sembra realmente disposta ad affrontare l'argomento.
"Bene, credo." Ribatto, senza saper bene cosa dire e con una buona dose di imbarazzo nel vedere la sicurezza con cui egli suppone che io e Justin attualmente ci stiamo frequentando. "È circa una settimana che non ci vediamo, in realtà. Però è perfettamente normale, considerando che non c'è niente di serio tra di noi."
"E sei sicura che a lui vada bene questa situazione?" Mi chiede, inarcando un sopracciglio con fare scettico.
"Suppongo di si." Affermo un po' incerta, rendendomi conto che, in realtà, non abbiamo mai affrontato questo argomento in maniera diretta. "Pensi di no?"
"Ne sono sicuro." Replica in tono pacato. "Appena arriviamo al ristorante voglio farti vedere una cosa, e sono sicura che anche tu inizierai a pensarla come me."

Le sue parole provocano un po' di scompiglio nella mia testa che inizia quasi istantaneamente a cercare una spiegazione. Tuttavia, non insisto perché mi venga fornita subito, cercando di sbandierare un po' di quella calma che mi potrebbe far apparire più padrona di me stessa e dei miei sentimenti. Anche se la verità è un'altra, preferisco comunque non lasciar intravedere il panico che inizia a divampare dentro di me.
Perché, in un certo senso, ho una sorta di cattivo presentimento riguardo a ciò che sta per dirmi. Qualcosa mi dice che non mi piacerà affatto, a giudicare anche dall'espressione seria con cui ha messo in chiaro le sue intenzioni. Perciò aspetto volentieri ancora un po' di tempo prima di dover assistere impotente al abbandono improvviso del mio buon umore.
Fatto sta che il tragitto verso il ristorante dura maledettamente poco e Clay non ha la benché minima intenzione di lasciare la questione in sospeso per troppo tempo.

"Due giorni fa, quando sono arrivato a casa, ho trovato una busta sigillata." Inizia, portandosi la mano al petto, per poi tirare fuori una busta dalla tasca interiore del giacchetto di pelle.
"Fuori dalla porta?" Gli chiedo, prima che egli riprenda il suo discorso.
"Sull'isola in granito, in cucina." Ribatte, corrugando la fronte in un'espressione contrariata.
"Qualcuno è entrato in casa durante la tua assenza?" Chiedo esterrefatta, abbandonando il menù sul tavolo. "L'allarme è stato disattivato, quindi."
"Non una persona qualunque." Mi corregge, alzando le spalle, per poi passarmi la busta in questione. "Aprila e capirai da sola di chi si tratta. Ero indeciso se tenere il segreto per me, ma forse è decisamente più sensato che tu sappia come stanno realmente le cose."
"Mh, okay." Acconsento, facendo subito come mi è stato detto. E ci metto letteralmente meno di un secondo, visto che non è più sigillata, trovandomi immediatamente una piccola foto di me che dormo beatamente- scattata molto probabilmente a mia insaputa.
"Leggi quello che c'è scritto dietro." Asserisce, quasi scusandosi con lo sguardo.

Senza sapere cosa aspettarmi, giro la foto e poso lo sguardo su una frase che ha immediatamente un effetto nauseante su di me: "Non cercare di ritornare sui tuoi passi, ho già preso il tuo posto nel suo letto."
Come previsto da Clayton, l'autore di questo squallido tentativo di marcare il territorio mi appare immediatamente palese. Ma, inizialmente, quasi mi rifiuto di crederci, continuando a girare e rigirare la foto tra le mani, sotto lo sguardo compassionevole di Clay.

"Si sente minacciato dal mio ritorno. Probabilmente ha paura di perderti." Constata a voce bassa, quando capisce che non ho intenzione di dire niente al riguardo.

E le sue parole fanno partire un campanellino d'allarme nella mia testa.
Lentamente, dentro di me inizia a prendere sopravvento la convinzione che Clayton abbia ragione. Solo che, a differenza sua, comincio finalmente a rendermi conto che questo sia stato soltanto un modo per infastidirlo e io sono stata soltanto una pedina nel suo gioco sleale.

Ormai mi è tutto più chiaro: Justin ha visto in me solo un modo per annientare Clayton. Non so quale sia la ragione di questo bisogno, ma sono certa di non essere poi così lontana dalla verità.

Come ho potuto essere così cieca?

Phoenix Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora