Capitolo 15

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"Buongiorno Benedetta Parodi", annuncio mentre raggiungo la cucina di casa Marchisio, trovando Roby nel mood di mamma incasinata, alle prese con i fornelli, tazze di latte e uova strapazzate in padella.

I bambini sono seduti sugli sgabelli della penisola, già pronti, lavati, vestiti e profumati, in attesa della loro colazione preferita, quasi all'inglese.

Studiando biologia, avevo scoperto che quella con uova e latte o succo di frutta, era una delle colazioni migliori e più consigliate, soprattutto nel mondo sportivo o per chi deve affrontare giornate intense di lavoro e studio.

Ma per me era letteralmente impossibile. La mattina aprivo a malapena bocca per parlare e bere una tazzina di caffè, figuriamoci per masticare qualcosa, di salato, per giunta.

"Buongiorno Bea", mi rispondono in coro tutti e tre.

La affianco ai fornelli, porgendo i bicchieri con il latte ai piccoli, per poi girarmi e mettere su il caffè per me e Roberta.

Volevo rendermi utile e fare qualcosa, e poi modestamente sono capace di fare un caffè di una bontà non indifferente, quindi non ci penso due volte e mi metto all'opera.


***


"Ti vedo più serena del solito, questa mattina", mi dice Roby, una volta sole in macchina, dopo aver lasciato i bambini a scuola per gli ultimi giorni prima di Natale.

"Cosa vuoi sapere, impicciona?", ribatto subito, spostando il mio sguardo divertito su di lei, concentrata sulla strada.

"Immagino che l'altra sera dopo la cena sia andato tutto bene", continua, ricambiando il sorriso per qualche attimo, divertita.

"Fin troppo bene..." rispondo poi, sorridendo ed evitando il suo sguardo indagatore, mentre nella mia testa riaffiorano le immagini di noi due insieme.


Lui con me, lui sopra di me, lui dentro di me.

Le sue mani attente, le sue parole dolci, i sospiri.

Le nostre parole, le confessioni.

Tutto mi stava devastando la mente.


"Aaah lo sapevo! Sono così felice per voi, per lui, per te! Ah lo sapevo lo sapevo lo sapevo!" continua a ripetere, scatenando la mia risata, ma allo stesso tempo la voglia di nascondermi sotto il sedile dell'auto, in completo imbarazzo.

"Dai, non fare così. E' una cosa bella, e ti dirò un'altra cosa. Stasera ci porterà lui ai quarti di finale, me lo sento. E sarà merito tuo!" aggiunge poi, continuando a sorridere mentre fissa la strada, soddisfatta della situazione quasi come una scommessa vinta.

Scuoto la testa, sorridendo anch'io e capendo che davvero lei crede in noi più di chiunque altro.

E' stata quella che più ha spinto entrambi a venirci incontro l'un l'altra, senza fermarci di fronte alle paure e alla distanza.

Dio Roby, ti voglio davvero bene, vorrei urlarti.


***


Quella sera c'era più gelo del solito.

Mai ho sentito così freddo in vita mia e, se non fosse per il box di Claudio e Roberta in cui possiamo ripararci un po', e il calore dello stadio in generale, credo che davvero potrei morire congelata.

In questo momento Roby mi sta salvando la vita, prestandomi per l'ennesima volta qualcosa di suo.

"Tu sei completamente pazza a venire così" mi aveva urlato poco prima di uscire di casa per raggiungere lo Stadium.

In effetti aveva ragione. Indossavo un giaccone nero con un pellicciotto interno, poco più pesante di un giubbino in pelle, ma lasciando casa di Paulo solo la sera prima, non mi ero saputa regolare bene per il giorno successivo.

"Tieni questa, è caldissima - aveva aggiunto poi, porgendomi un pellicciotto marrone scuro, corto e con cappuccio.
"E' sintetica", aveva concluso, di fronte al mio sguardo perplesso, prima di afferrarlo tranquillizzata dalle sue parole.

Anche con questo freddo agghiacciante, lo Stadium era qualcosa di magico, e le nuove luci e la musica riempivano di calore l'immenso prato verde e il cuore di tutti i presenti.

Cantavamo tutti insieme, sventolando le bandierine bianche e nere, aspettando l'uscita della squadra.

Una volta fuori, quattro occhi chiari si puntano sulla nostra direzione, e mentre Paulo mi fa un occhiolino e un sorriso, Claudio, con la fascia da Capitano al braccio, manda il solito bacio alla famiglia.

Più sguardi del solito si focalizzano su di noi, ma in fondo è normale.

Da quel poco che mi aveva detto Roby, i social stavano impazzendo per inquadrare e conoscere la nuova fiamma di Paulo Dybala, perciò tutti seguivano e scrutavano ogni movimento dell'attaccante.

La partita procede bene, più volte si va vicini al gol e Paulo è scatenato.

Ma il meglio deve ancora venire, perché a pochi minuti dalla fine del primo tempo Bernardeschi fa un assist pazzesco al numero dieci che stoppa, dribbla, si gira e tira.

La palla entra in rete e lo stadio esplode, io salto dalla sedia, mentre Roby urla felicissima ed emozionata per il ritorno al gol del suo amico.

Quest'ultimo, nel frattempo, si rialza dopo la caduta durante il tiro, allontana tutti coloro che vogliono saltargli addosso e corre come un pazzo nella nostra direzione.

Batte forte il pugno sul cuore e indica le nostre postazioni, poi ritorna ancora con la mano sul cuore.

Ha gli occhi fissi su un unico punto: me.

E io sono immobile, intenta semplicemente a fissarlo, seria, così come fa lui con me, ed è nei nostri sguardi che c'è scritto tutto.

Sorride dolcemente una volta più vicino, perché Roby mi sta saltando addosso, abbracciandomi da dietro e muovendo per me le braccia a ricambiare il saluto a lui.

Poi lui si gira verso la panchina, sulla quale i suoi compagni stanno esultando al suo posto, ancor più entusiasti e felici di lui.

Corre ad abbracciare anche loro, per poi riprendere il suo posto in campo, dopo un lungo sospiro, in cui scarica fuori tutta la merda degli ultimi mesi che gli era stata buttata addosso.

E' tornato, il numero dieci della Juventus è tornato.

Il mio cazzo di numero dieci.

"Ci sa fare, eh?", mi sussurra Roby, una volta calmate e ripresi i nostri posti a sedere.


No, non ci sa fare. Mi uccide proprio.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora