Capitolo 21

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Mi muovo piano mentre entro in stanza di Paulo, cercando di non fare troppo rumore con gli oggetti di vetro - o cristallo - che ho poggiato sul vassoio.

Lui dorme ancora, stanco per la partita della sera prima e tutte le sensazioni vissute nel mentre.

Io, invece, ho dormito poco e nulla, preoccupata per le sue condizioni, impaurita da ciò che avremmo saputo nelle visite di oggi, così ho fissato il soffitto, facendomi anche un calendario mentale su quando tornare a casa e come organizzarmi su ogni cosa.
Perché se l'infortunio fosse grave, non ho idea di come fare a lasciarlo qui, ci sarebbe sicuro la sua famiglia, sua madre, ma non potrei lasciarlo così.

Perciò prego che vada tutto liscio, così da stare più tranquilla io stessa, potermi allontanare e potermi ridedicare allo studio, cosa che non facevo da un po'.

Con questi pensieri in testa perciò mi ero alzata prima di lui, avevo preparato i pancake e i cappuccini ed ero pronta a mangiare con lui, sul letto, come fanno i veri ricchi negli hotel.

Di certo, oggi avrebbe potuto fare un'eccezione nella sua disarmante dieta da calciatore.

Poggio il vassoio sul comodino di fianco al letto e mi avvicino piano a lui.

Come sempre, dorme a pancia in giu, ma questa volta, per via della gamba, sta messo un po' più di lato, così mi avvicino al suo orecchio.

"Paulo, dai svegliati. Ti ho portato una cosa", gli sussurro piano.

Di fronte al suo silenzio, comincio a dargli piccoli baci dietro l'orecchio, sul collo, sulla mascella, e lo sento sorridere.

"Lo so che sei sveglio" gli dico poi, scendendo dal letto e andando a spalancare le tende bianche per far entrare luce nella stanza e cominciando a cantare "C'è troppa luce dentro la stanza questo caldo che avanza e io non dormirò", facendolo ridere e svegliandolo completamente.

"Bueno, se prima pensavo che a svegliarmi fosse la mia ragazza, ora penso sia mia madre!", dice con voce impastata mentre con uno scatto del braccio si copre il viso con il cuscino per la troppa luce improvvisa.

Ha ragione, è una cosa da mamme, e odiavo quando mia madre lo faceva per me, tutte le mattine che mi rifiutavo di alzarmi per andare a scuola.
Era un dolore troppo grande ogni volta.

"Ma io sono tua madre" gli dico, facendolo scoppiare a ridere ancora.

"Non è vero, mia madre no me besa sull'orecchio, o sul collo... o sulla bocca", mi risponde, invitandomi ad avvicinarmi.

"E infatti chi lo fa!" ribatto, dandogli una carezza e un piccolo pizzicotto sulla guancia, una volta seduta vicino a lui.

Continua a ridere, e vederlo sereno mi tranquillizza da morire.

"Mamma, me lo dai un bacio qui?", mi chiede poi, indicandomi più volte con l'indice la guancia.

Mi avvicino piano e lo bacio nel punto in cui mi ha detto, ma poi lui continua, indicando l'altra guancia, il naso, il mento.
Seguo le sue indicazioni fino alla bocca, ma per quella non mi chiede niente, mi avvicina a lui mettendo una mano dietro la mia nuca.
Mi prende tra le braccia, girandomi con facilità dall'altra parte del letto.
Infilo le mani tra i suoi capelli, mentre intreccio le mie gambe con le sue.
Chiudo gli occhi quando con le mani mi accarezza la schiena, alzando piano la maglia per togliermela, ma lo fermo.

La sera prima ci eravamo toccati a stento, e non ci vedevamo da settimane, era normale avesse dei bisogni, ma avevo preparato una bellissima colazione, avevo stranamente fame e volevo che anche lui si cibasse, sicura che dopo la partita non avesse avuto la forza di mangiare nulla, lo conosco.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora