1. The one with the blue bandana.

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Il rumore della pioggia che batteva contro le finestre era l'unico suono udibile in quella casa. Nessun movimento. Nessuna parola. Niente. Così come niente era ciò che Harry aveva scritto sul diario che si portava praticamente ovunque. Da un paio di ore ormai, Harry era seduto sul divano col diario aperto e poggiato sulle sue gambe. Di tanto in tanto quella pagina bianca veniva riempita da brevi frasi che poi il minuto successivo Harry cancellava con una linea netta e decisa. Se in un primo momento pensava a parole, frasi che in quell'attimo considerava perfette, il minuto successivo quelle stesse parole gli risultavano invece banali, scontate, stupide. Era da qualche mese che andava avanti in quel modo. Il suo album di debutto di sei anni prima consisteva in canzoni scritte da lui e lo stesso valeva per il secondo album. Per il terzo, invece, Harry non mise mano a nessuna delle canzoni presenti nell'album e si limitò a cantare quelle scritte da altri per lui. Tutto ciò perché aveva perso l'ispirazione da ormai un paio di anni e in quei mesi stava cercando di scrivere di nuovo, senza però avere alcun successo. Perché Harry a quel punto avrebbe già dovuto avere nel suo diario qualche canzone completa ma a distanza di cinque mesi di tentativi, non aveva ancora un bel niente. Era come se non ne avesse più la voglia, anche in giornate come quelle in cui la pioggia avrebbe potuto aiutarlo a formulare i pensieri e trovare le parole giuste come sempre era accaduto con lui, ma quella volta le sue mani non trascrivevano nulla. Ed Harry non aveva il coraggio di accettarlo definitivamente. In sei anni di carriera aveva sicuramente avuto alti e bassi, ma non si era mai sentito così tanto prosciugato, vuoto, apatico. Pensava di non avere più nulla da raccontare attraverso le sue parole, pensava che non ci fosse più nulla di particolare e importante di cui parlare, canzoni che valessero il tempo che le persone avrebbero impiegato per ascoltarle.

«Fanculo» mormorò, chiudendo il diario e lanciandolo sul divano, nello spazio libero al suo fianco. Harry si portò poi entrambe le mani in faccia e sospirò profondamente, scuotendo piano la testa. Si stava arrendendo e non era da lui, non poteva farlo accadere. Non poteva e soprattutto non voleva darla vinta a chi lo aveva portato a quella situazione, a chi aveva la colpa di tutto ciò. Ecco perché si alzò dal divano e andò nella sua camera da letto a recuperare il cellulare, chiamando l'unica persona che in momenti come quelli sapeva come aiutarlo a trovare una soluzione.

«Ehi, amore mio!»

Harry sorrise immediatamente non appena la solita voce allegra della madre gli arrivò all'orecchio, facendolo così sospirare di sollievo. «Ciao mamma, come stai?»

«Bene tesoro, e tu? Cos'era quel sospiro? Qualcosa non va?»

«Non sto proprio bene e si, qualcosa non va» ammise, sedendosi ai piedi del letto e sospirando ancora una volta, chiudendo gli occhi.

«Che succede?» la voce di Anne adesso era preoccupata ma calma, perché la donna sapeva che Harry aveva bisogno dei suoi tempi per spiegargli ogni cosa e sapeva che non amava quando gli si metteva fretta.

«In realtà non è nulla di nuovo e niente che tu non sappia già» rispose, riaprendo gli occhi e abbassando lo sguardo sulle sue gambe coperte da una tuta grigia. «Stavo cercando di scrivere ma non ci riesco più. È assurdo pensare di non saperlo più fare? Di non avere più niente da dire?» chiese quasi sussurrando, come se dirlo a voce bassa avrebbe fatto meno male.

Anne dall'altro capo del telefono respirò profondamente alle parole del figlio. «Non è assurdo e nemmeno strano Harry, perché sei un'artista e capita a tutti gli artisti avere questi periodi, sai? E poi tutto questo ha un motivo ben preciso e lo sai, non dipende soltanto da te.»

«E come faccio a risolvere questo problema?!» chiese tristemente, supplichevole.

Harry sapeva che la madre adesso stava sorridendo tristemente. «Innanzitutto non è un problem-»

Somewhere in Southern Italy.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora