Capitolo 50

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Mezz'ora dopo o poco più, mi guardo allo specchio del suo armadio, dando un'ultima sistemata alla camicetta bianca incastrata nella gonna a campana nera, che mi arriva poco più sopra del ginocchio, e guardo dal riflesso dello specchio rientrare Paulo, anche lui pronto ad andare, mentre dal suo comodino afferra l'orologio, per poi metterselo al polso.

"Sei pronta?" chiede, continuando a tenere lo sguardo su varie zone della stanza, senza posarlo su di me, neppure per sbaglio.

"Paulo..." lo chiamo, cercando di avvicinarmi a lui.

"No, non dire nulla... non serve, davvero" afferma disinteressato lui, interrompendomi e continuando a muoversi nella stanza, alla ricerca delle chiavi della macchina.

Le vedo sul mobile di fianco allo specchio, così le prendo per passargliele.

Le afferra mugugnando uno stentato "grazie", poi esce fuori dalla stanza.

Lo seguo dietro di lui, godendomi il suo buon senso e la buona educazione con cui mi fa passare prima per uscire di casa e poi in ascensore.

Ma per il resto, mi ignora.

"Ti prego – dico in un sospiro – puoi, almeno, guardarmi?".

Vorrei essere più arrabbiata, delusa dal suo comportamento da bambino insoddisfatto per un regalo non ricevuto, ma non riesco.

E la mia voce ricorda quella di Andrea Barzagli in lacrime dopo la sconfitta con la Germania nell'ultimo europeo del 2016.

Non si gira verso di me, ma abbassa lo sguardo, cercando di trattenere un sorriso per la mia richiesta patetica.

Non so se amaro o divertito.

"No" sussurra, sotto il suono dell'ascensore che ci avvisa dell'arrivo in garage, mentre lui posa distrattamente una mano alla base della mia schiena, salutando una coppia di ricconi, residenti nel suo stesso palazzo, mentre raggiungiamo veloci la sua auto.

Disturbata dal suo gesto, sposto via la sua mano da me.

Il viaggio è silenzioso, se solo non fosse per la radio, impegnata a trasmettere varie canzoni italiane.

Lo sguardo di Paulo è fisso sulla strada, la mascella serrata, le sopracciglia corrugate.

Dopo un po', comincio ad essere infastidita anch'io.

Non esiste, non può comportarsi così da bambino, per un no a un discorso molto più delicato di quel che sembra.

Non posso dire subito sì ad andare a vivere con lui, come il sì che si dice alla proposta di prendere un gelato.

Ma di cosa stiamo parlando?

Alla fermata di un semaforo rosso, la voce di Ed Sheraan riecheggia nell'abitacolo, mentre canta la sua amata "Perfect", dedicata alla donna della sua vita.

Porto tutta la mia attenzione alle sue parole, mentre osservo Paulo portare lo sguardo sui comandi della radio, indeciso sul da farsi, se cambiare stazione, o lasciarsi andare a quelle stesse parole.

Poi sbuffa, sconfitto.

"Cazzo di coincidenze..." dice, sulle labbra il riflesso di un sorriso.

Rido piano, cercando istintivamente il suo sguardo.

Ma lui si limita a poggiare pochi secondi la sua mano destra sul mio ginocchio.

Poi, riparte.

***

"Sei bella anche stasera... e mi dispiace", dice sospirando, mentre spegne il motore della sua auto, proprio di fronte casa dei nostri amici.

Mi giro verso di lui, che mi sta già guardando, e i suoi occhi da bambino mi spingono a sporgermi di più, prendendogli il viso tra le mani.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora