Capitolo 67

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Australia, 6 gennaio 2043

Il crepuscolo era sceso come di consueto e le stelle avevano fatto la loro comparsa in cielo ravvivando il manto scuro. Parte del team era andato a dormire, esausta per il lavoro di un'intera giornata, mentre John se ne stava seduto all'esterno vicino al fuoco, dove spiccava un'animata fiamma, e gli occhi puntati alla strada deserta.

"Cosa ci fai ancora sveglio?" domandò Pablo uscendo dalla tenda con un pacchetto di sigarette tra le mani. "Pensavo fossi già crollato, vista la faticata di oggi."

"Non posso riposare" spiegò chiedendo una sigaretta con un cenno della mano. Non era mai stato un gran fumatore, ma quando era agitato e, in quel momento lo era, sentiva il bisogno di avere qualcosa tra le mani per scaricare la tensione.

"Perché non puoi?"

"Devo aspettare che tornino" rispose facendo un tiro.

"Non ti sembra di esagerare?" replicò l'archeologo sedendosi al suo fianco. "Sono adulti."

"Saranno anche adulti, ma siamo in una situazione complicata e non posso permettermi di stare tranquillo.

Con un movimento spazientito diede unìocchiata all'orologio che portava al polso, per sua fortuna era digitale con le numerazioni fosforescenti al buio. "Maledizione! Dovevano già essere qui" imprecò a denti stretti, prima di sbuffare una nuvola di fumo.

"Non essere catastrofico! Può essere che si siano fermati in città per la notte."

"Non è possibile", confutò sicuro, "Adam sa che lo sto aspettando. Queste sono le basi nelle zone di guerra, si esce e si rientra come stabilito, se così non succede, significa che ci sono stati dei problemi."

"A che ora ti aveva detto che sarebbero rientrati?" domandò l'altro iniziando a preoccuparsi a sua volta.

"Mezzanotte. Tenendo conto dell'ora di margine, dovevano essere qui massimo un'ora fa."

"Capisco" mormorò tirando un'altra boccata.

"Tu come mai sei sveglio?" lo interrogò John a sua volta. "Cosa non ti fa dormire?"

"Oltre al russare di Kenneth?" replicò con una punta di ironia che scemò un attimo dopo, quando sentirono il rumore di un veicolo in avvicinamento.

*****

La testa di Kate ciondolava in avanti quasi senza possibilità di tenerla dritta. Le tempie pulsavano talmente tanto da impedirle quasi di aprire gli occhi e il dolore ai polsi e alle spalle stava cominciando a essere insopportabile. Le lacrime agli occhi e la voglia di arrendersi allo sconforto erano insistenti e forzavano con audacia quell'ultima barriera di coraggio.

"Adam?" chiamò con voce smorzata, mentre la bocca impastata le proponeva un sapore amaro.

"So qui, accanto a te."

Con un notevole sforzo la giovane tentò di schiudere le palpebre gonfie per guardarsi intorno e quando ci riuscì, faticò non poco a voltarsi nella direzione della voce.

"Cosa ti hanno fatto?" biascicò il quesito con voce strozzata. Non lo aveva mai visto in quelle condizioni, con il volto gonfio e spaccato, grondante di sangue e, cosa peggiore, non sapeva capacitarsi di come e quando fosse successo.

"Si sono divertiti un po'" rispose cercando di alleggerire la sua preoccupazione con un tono leggero, ma il dolore che alla mandibola non gli permetteva di fare grasse risate.

"Come ho potuto non accorgermene?" domandò più a se stessa che a lui. Sentendosi in colpa per essere rimasta priva di sensi, mentre lui veniva picchiato senza pietà.

"Non ci pensare", minimizzò con un tono tranquillo, "posso sopportare di peggio."

"Tu forse, ma non io" gracchiò iniziando a guardarsi intorno.

Senza occhiali era un'impresa titanica e la visione distorta delle cose non faceva altro che aumentare la sensazione di disagio.

"Maledizione!" imprecò a denti stretti, odiando la propria miopia e quella maledetta situazione.

"Cosa succede?" si allarmò l'uomo appeso al suo fianco.

"Non vedo niente."

"I tuoi occhiali sono su un tavolinetto alla tua destra."

"Cosa c'è sul tavolinetto, oltre ai miei occhiali?"

Adam avrebbe voluto chiederle il perché, ma non aveva molta voglia di parlare, così preferì rispondere. "Alcuni utensili."

"Cose che hanno usato per torturarti?"

"Non mi hanno torturato."

"Vedremo" sbuffò soffiando via i capelli dal viso.

"Cosa?"

"C'è qualcosa che posso usare per liberarti?" lo incalzò evitando di rispondere.

"Sì, le chiavi."

"Stai scherzando?" continuò Kate, stupita da una tale mancanza.

"No. Sono lì. Tanto, non possiamo certo prenderle."

"Io, forse, potrei" alitò sottovoce.

"Sul serio?" la interrogò sollecito, sentendo tutto a un tratto il dolore svanire, sostituito dall'adrenalinica speranza.

"Sì" confermò la donna muovendo i polsi e le mani al fine di sfilarli dalla polsiera di ferro. La fortuna, per lei, fu che quegli arnesi non fossero regolabili, quindi, con un po' d'impegno poteva davvero scivolare via.

"Aspetta."

La bloccò l'uomo con un tono talmente secco che la donna non osò nemmeno chiedere spiegazioni. Per fortuna non lo fece, perché solo un attimo dopo entrò una guardia per controllarli, fare una battuta sciocca e svanire oltre la porta nuovamente chiusa.

"Abbiamo circa dieci minuti prima che torni" spiegò Adam e Kate riprese a muoversi.

La pelle delle mani bruciava a ogni strattone ma non poteva arrendersi. Doveva assolutamente riuscire a liberarsi.

Faticò e non poco, ma proprio quando era a un dito dalla libertà Adam la fermò di nuovo.

Si ripetè il medesimo teatrino del controllo precedente ma, non appena furono soli, Kate si lasciò cadere al suolo. Le braccia liberate da quella posizione scomoda erano capricciose, ingestibili e quasi le venne da piangere perché non le sentiva attive ed energiche come era abituata.

"È solo la circolazione, Kate" provò a tranquillizzarla Adam dalla sua prigionia. "Ora cerca le chiavi e liberami prima che arrivi."

Il momento di smarrimento della donna doveva attendere, perché dalle azioni che avrebbero seguito quel momento ne dipendeva la loro vita.

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