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Non credo esista dipartimento scientifico più grande e dispersivo di quello dell'università degli studi di Torino.

In quelle prime due settimane mi ci ero persa già almeno tre, quattro volte.

Cambiavo aula per quasi tutte le lezioni che dovevo seguire, e spesso quelle che venivano una dopo l'altra si trovavano in edifici diversi, il che mi faceva correre come una dannata per arrivare in tempo.

Avevo conosciuto, oltre a Roberto, qualche nuovo collega, per la maggior parte studenti fuori sede del sud, siciliani e campani, come sempre.

Il più simpatico era Simone, napoletano doc e dalla fede azzurra, eternamente arrabbiato con la Juve che, però, quando avevo il telefono tra le mani per scambiare qualche messaggio con il mio ragazzo, sbriciava e chiedeva un saluto, sempre.

Ovviamente, a Paulo stava già sul cazzo.

Tornavo a casa la sera quasi stravolta, poiché mi rifiutavo di prendere la Jeep di Paulo per muovermi in città, il che mi faceva camminare molto e inseguire circolari per rientrare dopo le lezioni.

Quando mettevo piede all'ingresso di casa, mi veniva fuori sempre un sospiro di sollievo, accompagnato poi dal silenzio assordante che occupava la sua assenza.

Questa pausa nazionali non finiva più, era in mezzo agli arabi da oltre tre settimane, e dopo la discussione avuta la notte a Perugia non avevamo ancora chiarito del tutto, il che non ci permetteva di parlare, o di sentirci molto durante la giornata, come facevamo sempre.

I nostri messaggi vedevano qualche buongiorno o buonanotte, altri in cui insisteva sul prendere la sua auto tutte le volte che volessi, o chiedere al suo amico Nahuel di accompagnarmi ovunque, e lo scambio di qualche foto.

L'ultima che mi aveva mandato lo ritraeva in uno zoo che avevano visitato con la squadra, vicino ad una gabbia dietro la quale un piccolo scimpanzé gli teneva la mano.

Ero letteralmente impazzita, perché credo di provare un amore platonico e quasi folle, per quegli animali bellissimi.


<<No, mamma. Non mi serve un pacco pieno di cibo. Ho ancora le cose che mi hai preparato quando sono partita>> informo mia madre con un messaggio vocale, mentre esco dall'ascensore del palazzo e raggiungo il portone di casa, dopo l'ennesima, lunga giornata.

Tra le chat, un messaggio di Paulo, inviato da pochi minuti.

     Da: Paulo
<<Donde estas,
mi amor?>>

le sue parole, e sto per rispondergli con un altro messaggio vocale mentre apro la porta, ma un rumore di tv accesa dall'interno dell'appartamento mi fa bloccare.

Mancavano ancora cinque giorni al suo rientro a casa, ma se lo avessi trovato dietro la porta, sarei probabilmente scoppiata a piangere perché avrei voluto abbracciarlo dalla fine della videochiamata in cui avevamo litigato, e la distanza tra noi, anche se di poco tempo, non riuscivo più a viverla, né sopportarla, da quando mi ero trasferita da lui.

Perché Paulo era una persona facile da amare, e non averlo con me sempre, a volte arrivava a farmi impazzire.

Apro la porta titubante, con le chiavi in una mano e il telefono ancora aperto sulla sua chat nell'altra, trovando Nahuel e Florencia, la sua nuova ragazza, seduti sul divano di fronte alla tv accesa.

"Nahuel?", lo saluto, probabilmente con un sopracciglio alzato fino all'attaccatura dei capelli.

"Ciao Bea! Non abbiamo le chiavi di casa, tranquilla", esclama ridendo, alzandosi per salutarmi mentre gli vado incontro.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora