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Tornare a casa significava sempre felicità, per me.

Sarei potuta essere sposata.

Mamma.

Nonna.

Ma mettere piede a casa mia, frequentare i posti in cui sono cresciuta, passare giornate intere con la mia famiglia e i miei amici, avrebbe sempre rappresentato la mia felicità.

Mia madre aveva lucidato la mia stanza e rimesso le lenzuola con il piumone del mio cartone preferito, Toy Story.

Probabilmente pensava avessi ancora 15 anni, se mi immaginava dormire nel mio storico letto.

Aveva gentilmente buttato fuori mio fratello che, da quando non vivevo più con loro, usufruiva del mio materasso, che trovava cento volte più morbido e comodo del suo.

Mi aveva accolta tra quelle mura con un sorriso grande quanto l'intera casa, per poi cominciare a svuotare la mia valigia dopo pochi secondi e sistemare le cose nell'armadio affinché non si rovinassero.

Non aveva fatto domande.

Non aveva un viso preoccupato.

Non aveva fatto niente.

Aveva semplicemente capito il mio bisogno di tornare a casa.

Così come lo aveva capito Paulo.

Mi mancava, e tanto anche.

Eppure lasciare quell'atmosfera che stavo vivendo in quelle settimane senza di lui mi era davvero difficile.

Mi mancava, anche se lo sentivo spesso, e lo vedevo molte più volte su uno schermo della tv, sul campo, che su quello di un cellulare in videochiamata.

E lo vedevo molte più volte di quanto probabilmente riusciva a vedermi lui.

Mi mancava, e ogni volta in cui, nel corso di una partita, lo intravedevo, in panchina o in campo, il mio cuore perdeva un battito.

Stava continuando con i suoi alti e bassi, con il suo lavoro.

A volte viveva serate da protagonista, altre volte nemmeno ci si rendeva conto fosse in campo con gli altri.

A volte era sereno, scherzava, sorrideva, mentre ci sentivamo, altre volte riusciva a malapena a rispondermi.

Ma non potevo affatto biasimarlo.

Mi stava supportando, e soprattutto sopportando.

E non era una cosa facile, stare dietro questa mia decisione.

Perché stavamo così bene, e perché negli ultimi mesi starci lontano ci era diventato davvero difficile, perché eravamo capaci di mancarci anche in quei pochi giorni di separazione durante le trasferte.

Mi mancava, non potevo affatto negarlo.

E questo era decisamente un buon segno.


Un rumore di vetri sbattuti mi distrae dai miei pensieri, riportandomi alla realtà.

Mia nonna posa il vassoio con le tazze del the di nuovo sul marmo della sua cucina, sospirando disturbata.

Lo faceva sempre, quando non riusciva a portare a termine qualcosa.

Perché non sopportava, non riuscire più a fare alcune cose semplici.

Le vado incontro, invitandola a sedersi e afferrando io tutto ciò che serviva.

Quella mattina era particolarmente stanca.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora