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Ormai, se mettevo piede in una chiesa, non poteva che trattarsi di funerali.

E quelli, quelli sono una delle cose più lunghe e stressanti che possano mai esistere.

Subire una perdita, ingoiare il colpo, non perdere la lucidità.

Attivarsi subito per "liberarsi" della persona venuta a mancare, che due giorni prima guardi sorridente, mentre ci parli, e due giorni dopo sei a seppellirla in un cimitero.

Quanto fa schifo, tutto questo?

Poi gli abbracci, i baci, i saluti, le strette di mano, le parole e le frasi fatte, i ringraziamenti finti.

Odiavo, con tutta me stessa, i funerali.

E non vivevo la perdita di un nonno dai tempi delle scuole elementari, quando venne a mancare il mio nonno materno.

Ero troppo piccola per capirne le dinamiche, per capire realmente che quella persona non avrei potuto vederla mai più, e che mi sarebbe mancata, negli anni a venire, senza la possibilità di riaverla mai indietro.

Eppure ricordo le lacrime, e il dolore che mi circondava, e circondava le mura di casa mia, in quei giorni così tristi.

Non capii mai il dolore di mia nonna che, forse troppo presto, perdeva l'uomo con cui aveva trascorso più della metà dei suoi anni di vita insieme.

Finché non lo provai, proprio sulla mia pelle, un dolore del genere.

E riprovare un dolore del genere, quello della perdita, era una cosa che proprio non mi era mancata.

Mia nonna ci aveva lasciati poco dopo che io fossi andata via da casa sua.

Poco dopo avermi dato l'ennesima lezione di vita, e d'amore.

Amore infinito, come quello che provavo per lei.

Mia mamma me l'aveva fatto capire con uno sguardo, ed io avevo annuito, abbassando la testa in silenzio, e con il groppo in gola.

Non avevo reagito, a differenza della mia migliore amica, che mi si era lanciata addosso per abbracciarmi forte, non ricevendo in cambio nemmeno le mie braccia attorno alla sua schiena, per sentirla più vicina.

Perché tendevo a non esternare nulla, in questi casi.

Perché tendevo a tenermi tutto dentro, in questo genere di situazioni.

Non mi piaceva piangere davanti agli altri, e non riuscivo a farlo di fronte a perdite del genere.

Paradossalmente, mi capitava di piangere e agitarmi per cose meno importanti.

Una lite, una discussione accesa, un esame non passato.

Il nulla, di fronte al dolore che si provava in questi casi.

Erano stati due giorni infiniti, fatti di chiamate, ringraziamenti, viaggi da casa mia a casa di mia nonna, sempre piena di gente, pagamenti, firme.

Tutto era cambiato nel giro di qualche ora, quando da fare la valigia per tornare dalla persona che amavo, ero passata a disfarla per dover stare vicina ad altre persone che amavo.

E a doverne salutare per sempre una.

Non avevo dormito molto, perché chiudere gli occhi una volta a letto significava ripensare a tutto.

Le parole sussurrate fino agli ultimi minuti, l'abbraccio tanto forte da poterlo quasi ancora sentire, lo sguardo intenso ricambiato fino all'ultimo saluto sulla soglia della porta d'ingresso di casa sua.

Más que nunca - Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora