I - La Fuga

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Una figura sgattaiolò inosservata fuori dal corridoio, sapendo che se l'avessero vista sarebbero stati guai, guai seri.
I capelli neri come l'ossidiana erano sparsi sulle spalle disordinati.
Si avvicinò furtiva alla finestra del pian terreno, quella che veniva lasciata sempre aperta anche di notte.
La signora Emilienne, detta Emily, era una donna dai capelli biondo grano e gli occhi verdi molto grandi e pieni di fiducia, una cosa che la ragazza aveva perso da anni ormai, e non avrebbe mai e poi mai pensato che uno dei suoi cari ragazzi provasse anche solo a scappare.
Quella non era la prima volta che Antares usciva di nascosto dall'orfanotrofio, avvolta nel manto nero della notte.
Non sapeva il suo cognome, non glielo avevano mai detto, dicendo che non lo sapevamo nemmeno loro, ma da come la donna abbassava sempre gli occhi lei aveva intuito che non era vero, ma non insisteva.
Si riscosse dai suoi pensieri e saltò fuori dalla finestra, lo zaino nero in spalla, dove conteneva i suoi pochi averi.
Atterrò felpata sul terreno umido del giardino.
Si perse a guardare l'albero dove fino a qualche mese prima passava le sue giornate con il migliore amico, che era però stato adottato.
Lei lo considerava come un fratello, lo conosceva da quando era piccolissima.
Un rumore di passi la fece correre al riparo dalla luce del lampione, scorgendo la figura alta del "guardiano".
Il suo compito era quello di evitare che scappassero, ma fino ad allora non la aveva ancora notata mai una volta, neanche fosse invisibile.
Gli occhi grigi scrutarono attenti la via che si estendeva ai lati dell'edificio.
Imboccò quella che si intrufolava nel bosco vicino, trasformandosi in un sentirò sterrato.
Camminò per un tempo indefinito, ed alle prime luci dell'alba si fermò a guardarsi attorno, rendendosi conto di non sapere che cosa fare in quel momento.
Da più piccola si trovava abbastanza bene, la signora Emily la aveva presa sotto la sua custodia fino all'età cinque anni, quindi riceveva un trattamento diverso da quello che veniva riservato ad insaputa della direttrice agli altri.
Il guardiano aveva anche il compito di sorvegliare tutti gli orfani, solo che non li trattava bene, soprattutto la giovane dai capelli scurissimi.
L'aveva presa subito di mira perché era la preferita della donna e senza mai una precisa ragione la metteva in punizione.
Solo che non erano punizioni tipo pulire o cose del genere, consisteva nell'essere rinchiusi nella soffitta, quella stessa soffitta dove il sole non si posava mai e dove la polvere regnava sovrana.
Il buio era opprimente, rendendo le giornate della ragazza orribili.
Aveva cominciato ad essere rinchiusa lì sopra all'età di cinque anni, appena era stata sciolta dalla custodia della bionda.
Adesso ne aveva quasi undici, li avrebbe compiuti a breve.
I quegli interminabili pomeriggi, dove veniva rilasciata solo per poter andare a mangiare, anche se era un eufemismo dato che la sua cena consisteva in un panino, un bicchiere d'acqua e una fetta di formaggio, quando andava bene, per poi essere rinchiusa di nuovo lì, avrà scoperto delle cose stranissime.
Certe volte si concentrava talmente tanto, sperando di poter diventare un grande cane nero, in modo tale di poter scappare, e delle rare volte il suo desiderio era stato ascoltato, solo che poi si perdeva ad inseguirsi la coda e non scappava più.
Ancora si chiedeva come ci riuscisse, ma poi pensava fosse solo la sua immaginazione.
Ritornò bruscamente alla realtà, lontana dai ricordi orribili degli ultimi anni, passati quasi interamente al buio più totale.
La pelle pallida ne era la prova.
Eppure non aveva mai perso il portamento fiero che l'aveva sempre caratterizzata.
Saltò un tronco caduto che intralciava il passaggio, riprendendo a correre mentre intravedeva delle case una volta finita la grande distesa di alberi.
Una volta arrivata si fermò a guardarsi attorno, le sembrava impossibile essere finalmente fuggita da quel luogo che una volta considerava casa sua, ma che era diventata la sua prigione.
Una strana immagine le si parò davanti alla mente, dove un grande cane nero portava sulla schiena una bambina di si e no otto mesi neanche, mentre una donna urlava un nome, esasperata. Sirius. Così si chiamava il cane. Allora l'immagine cominciava a mutare, mentre un uomo prendeva il posto dell'animale, ridendo di gusto, con una risata simile ad un latrato, mentre la bambina si univa alla risata e la donna scuoteva il capo sordidente.
Non sapeva che cosa significa sarto quelle immagini, ma per lei erano molto importanti, le tenevano compagnia quando credeva di essere un mostro per le cose che capitavano in sua presenza, dalle finestre che esplodevano, ai lampadari che cadevano, ai vetri che sparivano, alle persone che cominciavano a volare.
Non si era mai spiegata quelle strane situazioni.
- Scusate, mi sapete dire dove mi trovo?- domandò ad una signora.
- Questa è Godric's Holloow, cara.
- Grazie signora. E mi sapreste dire se c'è un posto dove posso mangiare qualche cosa?
- Certo, puoi venire a casa mia, sono sola e non ho nessuno che mi tenga compagnia, nemmeno per un'oretta scarsa. Come ti chiami cara?
- Grazie mille. Il mio nome è Antares.
- Come la stella. È un bellissimo nome.
La ragazza arrossì al complimento ed era certa che fosse ben visibile data la carnagione pallida a causa della quasi totale assenza di sole nella sua vita.
- E lei signora? Come si chiama?
- Mi chiamo Eleonora.
Si incamminò assieme alla donna verso la casa di quest'ultima.
La colazione fu la migliore che la corvina avesse mai mangiato da anni e anni.
- Tu sei speciale, lo sai vero?
- In che senso signora Eleonora? Non capisco.
- Chiamami solo Eleonora cara.
- D'accordo Eleonora.
- Bene. Nel senso che tu sei una persona diversa da tutti i Babbani che abitano da queste parti.
- Chi sono i Babbani?
- Persone senza poteri magici. Antares, tu sei una maga.
- No, non e possibile- sussurrò, anche se non sembrava del tutto convinta di ciò che lei stessa diceva.
- Invece è proprio così. Ti sei mai chiesta come mai quando ci sei tu nei paraggi ne succedono di tutti i colori? Ecco appunto.
Antares sembrava che stesse per svenire. Voleva sparire, non essere riconosciuta dalla donna, poter andarsene a riflettere sulle parole della donna senza essere seguita.
Dopo poco al posto della ragazza comparve una grande cagna nera come la pece.
Fissò un attimo la donna che la osservava meravigliata.
- Un animagus- questo fu tutto quello che sentì poco prima di corte via, verso il bosco dal quale era arrivata.
Teneva lo zainetto nella bocca, evitando di farlo cadere. Quando diventava un cane si sentiva molto più libera, eccetto per le pulci che non la lasciavano respirare un momento, più in grado di lasciai tutto alla spalle.
Arrivò vicino ad un grande albero secolare e ritornò umana. Ultimamente stava diventando più brava a cambiare forma, tanto che orami quando si concentrava sulla figura dell'animale il suo corpo ne prendeva le sembianze.
Sospirò.
Non riusciva a credere alle parole della donna, anche se una parte di lei sapeva che aveva ragione, la parte più irrazionale, quella parte chiamata istinto.
Questo spiegherebbe il perché dei vetri esplosi e tutto il resto. Spiegherebbe anche il suo sapersi trasformare in cane.
Non ci aveva mai riflettuto più di tanto, aveva sempre pensato che fosse la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi.
Si sedette alle radici dell'albero guardando quel pezzettino di cielo visibile attraverso la folta chioma delle piante.
Almeno aveva fatto colazione, era questo il pensiero che la rassicurava un poco, sapendo che non avrebbe fatto pasti tanto abbondanti per molto tempo ancora.

La figlia dispersaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora