Gigli arancioni

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«Papà non mi sento tanto bene» mormorò Melody, con la sua dolce vocina mentre si stringeva la pancia con una smorfia accigliata sul viso angelico. Suo padre, troppo preso dal lavoro, non si curò di ascoltarla, continuò a leggere i fascicoli ed appuntare su un taccuino i problemi inerenti alla consumazione eccessiva di petrolio della zona; senza pensare invece all'eccesivo tempo buttato e ai bisogni della sua unica figlia. La piccola, non volendolo disturbare ulteriormente, decise di lasciarlo da solo e si diresse verso la grande cucina, alla ricerca di qualche medicina che l'avrebbe potuta far stare meglio. Sapeva che suo padre ne possedeva una valanga di quei flaconi rossi, arancioni, verdi o blu, e si ricordava anche a quale cura ognuno di quel colore corrispondesse. Fu costretta a fermarsi, mentre una fitta allo stomaco la faceva piegare in due, si sentiva come se un coltello le stesse squarciando l'addome e non riusciva a capirne il motivo. Non aveva mangiato niente di strano, solo qualche caramella in più del dovuto, ma nonostante avesse solo nove anni sapeva benissimo che un po' di zucchero in eccesso non poteva provocarle tanto dolore. Quando quella sensazione orribile si affievolì cercò di fare il più in fretta possibile per raggiungere la sua salvezza e finalmente riuscì a varcare la stanza, dirigendosi verso lo scaffale contenente tutte le pillole; quell'impresa si rivelò più ardua del previsto, dato che la fonte si trovava molto più in alto di lei e quindi doveva per forza salire su una sedia. La spostò avvicinandola al bancone, e vi si arrampicò  mantenendo l'equilibrio, -è a questo che serve essere piccoli- pensò quando finalmente prese tutti i flaconi e ritornò a toccare terra. Li guardò attentamente; aveva visto spesso suo padre usarli, un giorno quello rosso, un altro quello blu, le aveva anche spiegato brevemente a cosa servissero, ma in quel momento di sofferenza non riusciva a pensare lucidamente e su quale colore avrebbe dovuto fare affidamento. Alla fine optò per l'arancione, era quello che le ispirava di più oltre ad essere il suo colore preferito, ma quando provò a svitare il tappo le scivolarono tutti i tubetti di mano, sentendo nuovamente e con più intensità il dolore che ormai non le lasciava tregua, persisteva anzi, obbligandola ad accasciarsi a terra, mentre calde lacrime le bagnavano il viso contratto da quella angoscia che sembrava volerla tormentare. Quel coltello non aveva alcuna intenzione di ritrarsi, affondava con forza, mozzandole il respiro e riempendole i polmoni di sangue, catapultandola in un oblio di disperazione e sofferenza, solo il dolore regnava sovrano; non credeva che alla sua età avrebbe mai provato una sensazione simile, ma le rimaneva un'unica cosa da fare per salvarsi: gridare aiuto. Suo padre era nella stanza a fianco, l'avrebbe sentita e sarebbe corsa subito da lei, facendole passare ogni cosa. Allora lo fece, lo chiamò una, due, tre volte, ma la voce le usciva flebile, in un soffio, voleva gridare ma le sembrava di essere in uno dei suoi incubi dove anziché urlare si udiva solamente un leggero sussurro, consumandole volontariamente la voce, ora arrochita dal male che subiva. Decise di non arrendersi, di riprovarci e in un momento di minor malessere buttò fuori con tutta la forza che aveva in corpo quelle quattro lettere che l'avrebbero salvata: «Papà!» Si sforzò il più possibile per poter dire qualcosa di appena percettibile, ma non bastò; suo padre era uscito un attimo in veranda a fumare una sigaretta a causa del nervosismo, ed era troppo perso nei suoi problemi per sentire la figlia in pericolo. A quel punto Melody, sopraffatta da quel dolore lancinante, sentendo gli arti molli, la testa leggera e la vista appannata, capì realmente cosa le stesse accadendo. Si sentiva distrutta, in balia di un tormento che non le dava pace, costretta ad assistere a quel momento come se fosse fuori dal suo corpo e vedesse il male che provava, ma non poteva fare niente per impedirlo, non sapeva cosa fare per sentirsi meglio, perché meglio non poteva stare, non c'era più alcun modo.

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«Papà non mi sento bene» non appena udì quelle parole Victor si alzò velocemente, accorrendo in aiuto alla figlia che lo guardava con gli occhi lucidi. La prese in braccio, portandola a mo' di sposa, e la fece accoccolare al petto, accarezzandole i morbidi capelli biondi e posandole un dolce bacio sulla fronte calda, mentre si dirigeva verso la cucina dove teneva tutte le medicine necessarie. 
«Cosa ti senti tesoro, uhm? Male al pancino, alla testa, alla gola? Ti fa male una gamba, o un braccio? Hai per caso il torcicollo?» le chiese a raffica Victor, mostrandosi preoccupato ma mantenendo un tono di voce pacato e dolce, afferrando nel frattempo i flaconi di colori diversi dallo scaffale più alto della credenza. Sentì la piccola accucciarsi meglio, mentre una lacrima le scendeva sul visino.
«Mi fa male la p-pancia» chiuse gli occhi con forza «tanto tanto» riaprì momentaneamente gli occhioni celesti umidi, puntandoli in quelli del padre dispiaciuto per quel suo malessere, e si strinse con forza l'addome, mentre un'altra scossa la faceva quasi tremare dal dolore. Victor allora, sempre più preoccupato, svuotò il tubetto arancione e ne fece uscire due pillole candide, riempì in fretta un bicchiere d'acqua e fece dapprima ingoiare le medicine alla figlia per poi accompagnarle con l'acqua fresca. Melody cercò sollievo in quelle due pasticche che le erano scese a fatica lungo la gola, sperando che quella lenta tortura finisse il prima possibile, e quasi non pianse di gioia quando sentì il suo stomaco contorcersi molto meno; quella sensazione non era ancora scomparsa del tutto ma adesso le risultava più sopportabile. Nel frattempo suo padre non aveva smesso un solo secondo di osservarla apprensivo, passando lo sguardo da lei alle chiavi della macchina; non ci pensò due volte e quando Melody diede segno di stare un po' meglio, uscì dalla casa dirigendosi verso l'auto, con la figlia sempre tra le braccia, e si avviò verso la clinica, convinto di dover fare effettuare dei controlli alla piccola per il suo prepotente mal di pancia. Attesero qualche decina di minuti, in cui Melody rischiò di addormentarsi due volte, e quando fu il loro turno finalmente poterono accomodarsi all'interno dello studio, dove ad attenderli c'era una giovane dottoressa dall'aria gentile ma professionale. 
«Prego accomodatevi, allora come posso aiutarvi?» chiese con sorriso, puntando immediatamente lo sguardo sulla piccola, tra le braccia del padre, immobile e con un'espressione dolorante e sul suo volto spuntò una smorfia di disappunto, che si amplificò quando incrociò lo sguardo del padre: irrequieto, timoroso, confuso. La dottoressa si alzò dal posto, si avvicinò a loro e appoggiò il dorso della mano sulla fronte della figlia, scottante al tatto, e chiese all'uomo di distenderla sul lettino di fianco a loro, mentre le sue sopracciglia si aggrottavano maggiormente, segno negativo che non sfuggì a Victor. Con lo stetofonendoscopio le ascoltò il battito del cuore, che di certo non era nella norma, intervallandosi con momenti di massimo ad altri di minimo batticuore. «Il mio nome è Margareth, come ti chiami tu, tesoro?» domandò riferendosi alla bambina, lanciando un'occhiata al padre come a rassicurarlo. 
«Melody, lui è il mio papà» rispose con tono basso, puntando un dito verso Victor, «mi fa tanto male la pancia, papà mi ha dato delle medicine ma adesso sento d nuovo molto dolore» mormorò. Margareth non attese altro tempo, le fece una piccola carezza sul visino, e prima le diede una caramella al miele contente una piccola dose di morfina, dopo prese in disparte suo padre e cercò di essere il più chiara possibile. 
«Dunque signor..?» lasciò in sospeso la frase per permettergli di continuare «Jonshon» rispose l'altro solamente, mantenendo la sua espressione corrucciata 
«D'accordo signor Jonshon, adesso la manderò nel reparto malattie intensive, per poter fare della analisi ben accurate a Melody, così da capire il vero motivo del suo dolore. Ha fatto bene a darle delle pillole, sono riuscite ad affievolire i crampi, ma purtroppo non bastano; dunque, adesso le firmerò un documento grazie al quale faranno ricoverare la piccola, in modo da tenerla sotto controllo, cercheremo di fare il prima possibile per trovare la causa di questo malessere.» terminò la dottoressa, con parole che Victor non seppe interpretare del tutto; doveva tranquillizzarsi o preoccuparsi ancora? Non lo sapeva, l'unica cosa di cui era certo è che sua figlia non stava bene e avrebbe fatto il possibile per farle passare ogni cosa.

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Gigli, i gigli arancioni spruzzati di nero erano i preferiti di Melody, ogni qualvolta ne trovasse uno si coglieva raccoglierli, con delicatezza, come se non volesse farvi ulterior male, cosciente del fatto che li stesse strappando dalla loro innocente vita. Ogni volta si riprometteva che se ne avesse visto un altro l'avrebbe semplicemente ammirato, magari scattando qualche foto, ma si ritrovava a fallire ripetutamente; non riusciva a non avvicinarsi maggiormente per annusare quell'odore che le piaceva da morire, e dopo non poteva di certo tirarsi indietro dal prenderlo e potarlo con sé, felice di poter avere un profumo tutto suo tanto buono quanto bello. Era proprio un bel mazzo di gigli arancioni quelli che Victor teneva in mano, così belli e profumati, che non facevano altro che riportarlo a quei momenti in cui l sua bambina correva spensierata tra i prati, e lui grigliava le bistecche sul barbecue osservandola gioiosa, quando ancora quel suo meschino lavoro gli permetteva di vivere una vita serena, lasciandogli del tempo da passare con sua figlia, preoccuparsi di lei e non solo dei suoi problemi finanziari. Una lacrima gli solcò il viso scarno, distrutto, seguita poi da una seconda, una terza, fino a diventare un flusso infinito, un fiume di disperazione e astio per se stesso. La crudeltà di quel fato, l'incredulità di quel gesto, ogni ricordo lo spezzava dentro, risucchiandolo in una voragine di nostalgia e agonia, una tristezza che non aveva provato neanche per la perdita di sua moglie, nove anni prima. Adesso era solo, davanti a una lapide di pietra, contornata da fiori, fiori anonimi, portati per tradizione dai pochi parenti che gli rimanevano; nessuno di loro sapeva che a Melody piacevano solo i gigli arancioni a pois neri, lui era l'unico, come era il solo che avrebbe potuta salvarla, portarla all'ospedale, farla ricoverare, pagare ogni operazione possibile affinché sua figlia potesse guarire. Ma così non era stato: aveva passato tutto il giorno seduto ad analizzare i documenti di lavoro, senza fare caso a quei mormorii provenienti dall'altra stanza, aveva lasciato perdere, preferendo uscire a fumarsi una sigaretta che andare a controllare cosa stesse succedendo. Solo quando gli venne sete decise di recarsi in cucina, dove lì lo attendeva la sua colpa che l'avrebbe perseguitato per tutto la sua esistenza: il corpo di sua figlia, stesa inerme sul pavimento e di un colore bianco cadaverico, senza dare alcun segno di vita. Era stato inutile chiamare l'ambulanza, farla operare d'urgenza, pregare perché la sua unica ragione di felicità potesse tornare a sorridergli come solo lei sapeva fare, abbracciarlo con un amore che solo lei poteva esprimere. Scoppiò a piangere nuovamente, cadendo sulle ginocchia tremanti, pensando al suo viso inespressivo e alle parole del medico: «Ci dispiace infinitamente signor Jonshon, sua figlia non aveva più alcuna speranza per continuare  a vivere; ormai da tempo covava dentro di lei una malattia di cui ancora non se ne conoscono le cure, sarebbe stato possibile rimandare l'inevitabile, ma prima o poi sarebbe successo. Le mie condoglianze» Forse il medico aveva ragione, forse davvero sarebbe dovuto accadere, ma se lui se ne fosse accorto prima, se lui l'avesse ascoltata e cercato di aiutare, ora non si sarebbe trovato in quella sala d'attesa vuota, dove da attendere non c'era più nessuno. Poggiò il mazzo di fiori sulla parte superiore della lapide, vicino a dove era stata incisa una frase personalizzata per la piccola: "dove tu ti perderai, io sarò la tua luce". Erano le parole che aveva pronunciato sua madre a Melody, appena nata, poco prima di morire e il marito sapeva che sarebbe stato compito suo rispettare quel desiderio, ma neanche quella promessa era riuscito a mantenere. Era uno strazio, si sentiva perso come mai prima d'ora; sua moglie era morta, sua figlia anche, e ora la sua anima andava a pezzi, piano piano, portando il ricordo di un amore che non sarebbe stato più in grado di provare. La sua luce si era spenta, e non l'avrebbe mai più ritrovata.

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