Introduzione

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Ho sempre trovato sorprendente quanto dei semplici oggetti, insignificanti agli occhi di altre persone, possano riportare alla mente dettagli dimenticati da anni.
Una fotografia sbiadita, lo schizzo di un corpo a carboncino, delle lettere ingiallite dal tempo e un orecchino a forma di stella: sono stati questi oggetti a far riaffiorare tutti i dettagli di quell' estate che i miei genitori avevano cercato di farmi dimenticare.

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Era il 1969, avevo solo sedici anni, tuttavia non avevo idea di quanto sarei cambiata durante quell'estate afosa.
Come tutti gli anni io, mio fratello maggiore e i miei genitori eravamo fuggiti dal caldo soffocante della città di B. per passare i mesi estivi al mare. Nonostante fossimo andati sempre nello stesso luogo per dieci anni io non ero riuscita a farmi nemmeno un'amica, al contrario di mio fratello Ettore, due anni più grande di me, che usciva ogni sera e passava le giornate a giocare a pallavolo con i suoi amici in spiaggia.
Mentre lui si dava da fare per sedurre ogni ragazza della spiaggia, io rimanevo sotto l'ombrellone nascosta dietro ad un libro o in acqua. Ero consapevole di non essere una bella ragazza, anzi all'epoca non lo sembravo nemmeno: i miei capelli ricci biondo cenere mi arrivavano a mala pena alle orecchie, non avevo curve e il mio seno era praticamente inesistente.
Spesso quando andavo in bicicletta a comprare il pane usavo i vestiti vecchi di mio fratello e non era una novità sentirmi chiamare "ragazzino". A me faceva ridere, invece mia madre si indispettiva ogni volta e mi riprendeva dicendo: "Se solo ti lasciassi crescere i capelli e ti vestissi un po' più femminile... Non capisco come qualcuno ti possa scambiare per un ragazzino con quel nasino alla francese e le tue ciglia folte!" Infatti nonostante il mio fisico fosse tutt'altro che femminile, il mio viso aveva dei lineamenti dolci e delicati: guance paffute, occhi grandi e azzurri e labbra sottili e rosee.
Oltre a non essere di grande bellezza ero anche molto timida e silenziosa, e il mio atteggiamento schivo e ombroso aveva scoraggiato le poche persone che in passato avevano provato a parlarmi. A differenza di molte persone il silenzio non mi turbava e non sentivo il bisogno di riempire ogni secondo con parole inutili e prive di significato.
La pensava allo stesso modo il vecchio pescatore che tutti i giorni sedeva sugli scogli a pulire ami, sciogliere reti annodate o a riparare un remo spezzato. Si faceva chiamare da tutti "il Capitano" nessuno in paese conosceva il suo vero nome, né si sapeva da dove venisse e i pochi che avevano provato a chiederglielo erano stati fulminati da uno sguardo freddo come il ghiaccio. Giravano molte voci su di lui, alcuni dicevano che in passato fosse stato il comandante di una barca chiamata S. Barbara, altri raccontavano che in realtà fosse un pirata ricchissimo in pensione. Lui non smentí mai nessuno di questi pettegolezzi e secondo me si divertiva a sentire quelle storie assurde.
Quasi ogni giorno mi sedevo con lui sugli scogli con i piedi in acqua a leggere o semplicemente a guardare l'orizzonte, ero l'unica che apprezzava il suo silenzio e lui una delle poche persone che accettava il mio. Nonostante per le persone del luogo fosse ormai di routine vedere me e il  Capitano insieme, mia madre mi ricordava ogni giorno che era sconveniente che passassi così tanto tempo con "un vecchiaccio burbero come lui". Io però ero sorda ai suoi rimproveri e mi ero affezionata molto a quel signore silenzioso dalla barba bianca e gli occhi profondi. Sentivo che in qualche modo mi comprendeva e mi ascoltava anche senza bisogno di parole.
Intuiva dal mio passo o dal mio modo di tenere il libro se avevo litigato con mia madre o mio fratello, ma non faceva mai domande e si limitava a dire guardando l'orizzonte "Passerà, passa sempre tutto."
Ero con lui il primo giorno in cui la vidi.

Ricordo di un'estate Donde viven las historias. Descúbrelo ahora