𝐋𝐀 𝐌𝐎𝐑𝐓𝐄 𝐒𝐈 𝐀𝐒𝐂𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐔𝐍𝐀 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 𝐃𝐈 𝐍𝐎𝐓𝐓𝐄

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somebody stole my car radio

and now I just sit in silence.




Erano le quattro del mattino e io me ne stavo disteso sul nulla, i pensieri avvinghiati al soffitto e le braccia ormai gelide appiccicate al pavimento. Il taccuino mi era caduto in faccia, lo avevo tenuto in mano e improvvisamente mi era scivolato dalle dita. Adesso giaceva lì, accanto a me.

A circa dodici anni le maestre si stupivano di come la mia scrittura irregolare volesse sfiorire sulla carta, troppo stretta per essere letta e comunque troppo storta per entrare fra una riga e l'altra. Scrivi con troppa foga, mi dicevano. E puntualmente ad ogni tema il foglio mi si spezzava sotto la penna.

Con il tempo, però, mi accorsi che la scrittura sfioriva proprio perché io nascevo da essa. Lei cenere ed io fenice. E come la fenice sarei tornato cenere, sarei tornato a scrivere.

In quel momento fuori dovevano essere all'incirca zero gradi e per un attimo m'immaginai ricoperto dalla neve, seppellito nel bianco. Il bianco ed io. Io e il bianco. Il nulla.

Il freddo mi era sempre piaciuto, quello che t'intorpidisce le ossa, ti atrofizza i pensieri. Strisciava nelle assi di legno come un serpente dalle spire di ghiaccio, di notte mi accarezzava il ventre, si appiccicava alla pelle, e quando raggiungeva il mio viso si trasformava in lupo. Voleva che il mio sguardo si piantasse nel suo e io mi ci riflettevo, mi ci vedevo perso, mi sembrava di poter toccare me stesso.

Avevo cinque anni quando lo vidi per la prima volta; gli occhi gialli dalle pupille allungate, così rette che mi ero domandato se avvolgessero l'intero bulbo oculare. Lui, però, mi aveva risposto che no, le sue pupille finivano esattamente dove finiva il mio sguardo. Come fai a saperlo?, gliel'avevo chiesto infastidito, le sopracciglia aggrottate e le braccia paffute incrociate sul petto.

Il lupo aveva sorriso e mi aveva risposto che molte cose non si potevano sapere, era impossibile, però le si poteva sentire. L'unica soluzione è imparare ad ascoltare, aveva sussurrato, uno sguardo intenso prima di saltare giù dalla piccola finestra da cui filtravano i raggi di luna.

Il rumore della radio che si accendeva mi ridestò e automaticamente guardai l'orlogio sul comodino. Le quattro e mezzo. Riuscivo a sentire l'alitare del lupo che se ne stava accucciato nell'angolo della stanza, il mento contro il pavimento. La bava gli colava dalla bocca quando i nostri occhi s'incontrarono ed io gli sorrisi dolcemente, invitandolo a starmi vicino con un movimento della mano.

Si spostò flemmamente. Più lo guardavo e più mi sembrava stanco, gli occhi a malapena aperti. Cos'hai?, si limitò a rivolgermi un sorriso spento.

Tu ascolta, Jimin. Ascolta. E si accucciò di nuovo vicino a me, il muso sulla mia gamba.

Nella stanza la radio prese a gracchiare, il segnale a spostarsi su stazioni diverse ed io mi limitai ad osservare i numeri che scorrevano veloci sul display. Quando udii la prima voce, però, la mano con cui stavo accarezzando il pelo del lupo sotto si fermò. La mia testa scattò di lato, gli occhi sbarrati sull'antenna d'acciaio che adesso risplendeva nella luce fioca dell'abat-jour. È uno scherzo?

Non lo è, Jimin. L'universo attrae ciò che toglie, a volte. È necessario soffrire.

E allora Jimin ascoltò la radio con il cuore che gli batteva nel petto, lo sguardo fisso nel vuoto. La sua voce era calda come la ricordava e mentre l'uomo alla radio si presentava con il nome di Tae, Jimin si chiese per un attimo se stesse fumando. E se da una parte Jimin desiderava che Taehyung fosse talmente cambiato da far schifo, da essere l'uomo più brutale e malvagio sul pianeta terra, dall'altra sperava fosse rimasto lo stesso, il sorriso che come una scatola si apriva ogni qualvolta si rivolgesse a qualcuno.

la morte si ascolta come una radio di notte.Where stories live. Discover now