Parte I

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Era tutto assurdo.

Louis credeva che la sua vita facesse già abbastanza schifo, quindi gli sembrava incredibile che a questa potesse aggiungersi altro schifo.

Era maledettamente tutto assurdo.

Assurdo il trasferimento, assurdo vivere in un nuovo paesino ancora più sperduto di quello precedente e assurdo tutto ciò che lo circondava, iniziando dai suoi genitori.

Era qualcosa a cui non sapeva darsi una spiegazione, come se la sua esistenza non avesse importanza e fosse ridicola rispetto a quella degli altri.

Era a malapena calcolato dalla gente, tutti lo evitavano come se avesse la peste e lo guardavano in quel modo colmo di odio, che spesso lo faceva star male senza averne una minima colpa.

Era quello il problema: non aveva fatto nulla di grave, ma tutti lo evitavano.

Spesso, rintanato sotto le coperte con il cellulare fra le mani e la musica a palla nelle orecchie, iniziava a fantasticare su una vita non sua, piena di popolarità, buoni amici e felicità. Poi, quando si sfilava le cuffiette e ritornava con i piedi per terra e alle solite chiacchiere di sua madre, era consapevole che quelli fossero solo sogni, per giunta ad occhi aperti.

Quando scoprivi di essere gay e tuo padre ti sbatteva fuori casa, considerandoti un mostro e un verme viscido, guardandoti con tale odio da farti bruciare la pelle e distruggerti il cuore in mille pezzi, non era facile iniziare tutto da zero.

Così Louis, alzandosi di malumore, con i capelli tutti spettinati e due occhiaie profonde, sbuffò spazientito dai pensieri troppo deprimenti già di primo mattino e afferrò svogliatamente i vestiti che avrebbe dovuto indossare il primo giorno di scuola.

Già, il primo giorno di scuola in una nuova scuola, per giunta all'ultimo anno.

Non sapeva come lì si comportassero con i nuovi arrivati, ma scommettendoci sarebbe stata la stessa storia, insomma, niente di nuovo.

Il primo giorno, in teoria, se quello nuovo avesse voluto essere popolare e ammirato da tutti avrebbe dovuto indossare vestiti fighi e firmati dalla testa ai piedi, cosa che, anche se avesse potuto, non avrebbe fatto perché odiava seguire la massa e arrivare con una dannata macchina di lusso che aveva, ma non usava perché preferiva farsi lunghe passeggiate o prendere l'autobus.

Se il suo gioiellino si fosse graffiato per uno stupido imbecille che non sapeva guidare, beh, quello si sarebbe potuto considerare morto e sepolto, quindi era meglio evitare tragici incidenti.

Dopo essersi lavato velocemente e aver indossato un paio di jeans scolorito con una felpa rossa, quella che in teoria avrebbe dovuto portargli buona fortuna, scese a due a due gli scalini che lo portarono dritto nel salone al piano di sotto. Nell'aria c'era un buon odore di frittelle e uova. In qualche modo, forse, sua madre si voleva scusare per il cambiamento drastico che da tre settimane aveva apportato alle loro vite.

Cercò di stamparsi un sorriso sereno, anche se dentro di sé la rabbia e la tristezza ribollivano nel sangue e a passo svelto, con la cartella sulle spalle e gli occhiali da vista afferrati al volo sulla mensola più vicino, si avvicinò all'unica donna della sua vita e le posò un leggero bacio sulla guancia.

-Buongiorno, mamma-

-Giorno, Louis- sorrise dolcemente Jay, appoggiando sulla tavola un bel bicchiere di succo fresco. -Su, siediti e fai colazione visto che oggi è una giornata piuttosto importante-

Obbedì alle sue richieste senza borbottare ad alta voce visto che era già in ritardo (in realtà non gli importava entrare cinque minuti dopo, tanto nessuno se ne sarebbe accorto) e si sedette, iniziando a spazzolare tutto ciò che c'era sulla tavola, partendo dalle uova e finendo con fette biscottate e Nutella. Dio, come le amava!

Get It RightWhere stories live. Discover now