Delirio di una coscienza infelice

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M'è impossibile sapere
se quella che arde e incendia
lentamente come fiamme
su di una grande quercia,
sia una semplice bruciatura
o un grande dolore
che ridurrà il legno in vento.

M'è impossibile sapere
se il vento verrà mosso
dalle fresche nuvole
o la cenere verrà seppellita
ignobilmente sotto la dolce terra.

Mi interessa tuttavia sapere
se quel che vuol un cuore infelice
sarà una semplice tristezza
o l'abisso più profondo.

Mi interessa ancor sapere
le ragioni di tal indefinito
e perché mai non saremo
tuoni nella notte che danzano
e colibrì riposanti nei morbidi petali,
ma siamo a noi stanti,
non ci riconosceremo
e ci svaluteremo con forza sottile
perché nessun parla.

A nessuno importa saper
perché tutto finirà
nella morbida terra
e un cor dei due sarà
inghiottito dalle onde
e soccomberà nel furore.

Un profondo grido venne zittito senza alcuna pietà da un getto d'acqua salmastra, la qual con potenza riempì il vuoto strappando la disperazione. Le onde di quel mare grigio come le nuvole invernali spingevano la morbida spuma sulle dita tese, mentre l'aria scoppiava dolcemente, e le grida continuavano, e continuavano a venir sommerse dalla tragicità del mare, che altro non eseguiva che il suo mestiere, guardando il cielo e chiedendo pietà dal freddo pungente di chiodi che sfregiava l'acqua la mattina dell'undici novembre. I capelli unti di pena graffiavano senza dolore il viso pallido urlante, che si reggeva il petto, lo stringeva tra le dita con esasperazione, e sperava di calmare il suo duro cuore a unghiate, macchiandosi di sangue ed inutilità. Voleva aprirsi il petto con una conchiglia, squarciare la pelle come soffocante plastica e lacerarsi le ossa a mani nude, senza sentir dolore o sentirne per assurdo, per afferrare il cuore e sbatterlo sulla sabbia ricolma di lacrime e calpestarlo, con il sangue che zampillava come cioccolato da una fontana, e poi lasciarlo stritolare alle onde, affinché tutto si riempisse di un rosso funereo e tutta la vasta acqua senza corpo sentisse lo strazio di un urlante zittito dalla spuma. Tutta l'acqua doveva sentire il dolore, ma com'è ingiusta la fisica, un cuore è ben piccolo in confronto a un vasto mare colmo di fredda indifferenza, e così il cor si perse, e un corpo rimase inerme sulla sabbia. L'urlante continuava ad urlare, non aveva ancora strappato il petto, e il fuoco vacuo bruciava dalla gola arrancante, alla pari d'un moribondo nel deserto, e contagiava il palato, i denti e la lingua e impediva il grido felice, urlava a gran voce che era arrivato l'attimo di arrendersi al dolore, ma l'urlante urlava, e non trovò mai una conchiglia così grande da distruggere le sue pene, e non trovò mai conforto nel mare indifferente. Camminò invece alcuni passi moribondi, le molli gambe strisciavano vergognosamente e le unghie graffiavano il petto sottile, ma anche gridando, non si trovò mai un'appagamento del dolore, tutto finì in miseria, e il cuore si perse nelle onde, mentre le urla si estinguevano nelle bianche onde del mare, che leggero, dopo una mareggiata, trasportava il corpo vibrante che aspettava di esser disintegrato, per lenire le afflizioni impossibili di un urlante in pena. Così il dolore venne trasportato dall'altra parte della sponda e non se ne andò mai, sedette, come un grumo di sporco sangue, a guardare infido una spoglia perennemente inappagata dalle sofferenze del vivere.

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⏰ Last updated: Nov 11, 2023 ⏰

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