La scacchiera

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ovvero la storia del mio primo amore

Per imparare a muovere i pezzi degli scacchi, occorrono circa trenta minuti. O, almeno, così le disse.

I pedoni si muovono in avanti, ma catturano in diagonale; i cavalli si muovono ad "L" (ma lei ha capito più tardi cosa significhi); l'alfiere può muoversi dove vuole, avanti o indietro, ma solo in diagonale (ed è il suo preferito); la torre può muoversi in avanti, indietro, destra o sinistra; la regina si muove come le pare (un'ironia, le raccontava, che la donna fosse il pezzo più forte in un gioco dalla grande tradizione misogina); il re è il pezzo più importante, ma anche il più debole, e si muove una casa alla volta. 

Nel suo salotto, lei ha sempre avuto un tavolo con un'enorme scacchiera incastonata dentro. Ma né lei, né i suoi familiari, hanno mai giocato a scacchi insieme. Il tavolo-scacchiera ha sempre funto da comò: sopra c'è una lampada, delle foto, e spesso il telecomando della tv. È posizionato all'angolo fra il sofà e il divano e passa inosservato.

È stato lui a insegnarle a giocare. O meglio: ci ha provato, ma – come si accennava sopra – lei non ha mai capito bene cosa volesse dire che il cavallo si muove ad "L" e, soprattutto, non si è mai applicata sul serio nelle strategie. Ironico, dato che è sempre stata una persona paranoica che tenta di calcolare ogni mossa in modo che nessuno si ferisca troppo. Lui diceva che era sprecato non impegnarsi per vincere; ma a lei piaceva solo giocarci insieme, vedere quanto lui fosse entusiasta, osservare le sue lunghe dita che, in tensione, rimanevano sospese sui pezzi prima che ne muovessero uno. Poi alzava lo sguardo e vedeva quel suo grande sorriso sornione, sinonimo sia che era vicino allo scacco matto, sia che era davvero contento di star insegnandole qualcosa, dato che lei, coi suoi modi da maestrina, lo correggeva su tante piccole minuzie che alla fine dei conti non portavano a nulla, se non stuzzicarlo e ridacchiare sotto i baffi. Era la sua piccola dolce rivincita.

La scacchiera che aveva sempre avuto in casa, ignorandola, era come erano loro: sempre lì, ma lasciata da parte. Ogni giorno per almeno quattro anni e mezzo si sono seduti nella stessa aula, considerandosi poco e nulla.

I pedoni

I pedoni, dunque, si muovono in avanti e catturano in diagonale. I pedoni sono i piccoli approcci l'uno all'altra compiuti in quegli anni. Lui le crea un segnalibro in cartoncino: il pedone bianco si sposta da E2 a E4. Lei lo accetta e gli dà un bacio sulla guancia (il suo pedone nero si sposta da E7 a E5). Ma i pedoni qui hanno quattordici anni e sono schivi entrambi, e così il pedone bianco (di lui) si sposta da E4 a E5, in diagonale, scomparendo.

Questa dinamica si ripete altre volte nel corso del tempo. Uno dei due fa uno o due passi avanti: i pedoni neri (di lei) si spostano in avanti durante le assemblee di classe, per chiacchierare del più o del meno, e poi si rispostano in diagonale, lasciando libero il pedone bianco di andare avanti.

Gli alfieri

Gli alfieri si muovono in diagonale e fin dove le caselle lo permettono, avanti e indietro. L'alfiere nero di lei si è mosso la prima volta, in uno slancio di coraggio, quando, in quinto superiore, gli ha mandato una canzone, perché l'ascoltasse se ne avesse avuto voglia. Per un po' l'alfiere nero è rimasto fermo.

Poche settimane dopo, l'alfiere bianco si è mosso all'improvviso: «Ehi, se vuoi guarda questo film, potrebbe piacerti». Quel film non lo ha visto, ma nel frattempo i quattro alfieri, i due neri e i due bianchi, si sono mossi ogni giorno di continuo, avanti e indietro, avvicinandosi e scontrandosi.

Gli alfieri bianchi, di lui, erano più irruenti, sfacciati, si muovevano in fretta e con poca avvedutezza, spaventando quelli neri, che rispondevano con sarcasmo, ironia e tentavano di non farsi indietro nuovamente.

La scacchieraWhere stories live. Discover now