Capitolo 1

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Inghilterra, 1714

L'alba in questa valle incantata sembra arrivare prima del previsto. Scosto le pesanti coperte per vedere il nuovo giorno. Il sole splende fra le nuvole di zucchero e fa capolino fra gli alberi all'orizzonte. Oggi è proprio un buon giorno per una cavalcata nei terreni che ci circondano. Da quando sono venuta a vivere con la mia famiglia lontano da Londra, in questo posto dimenticato da Dio, ho trovato la libertà che tanto cercavo. Con il mio destriero nero, Hermes, ho apprezzato la vera purezza dell'aria ed è qualcosa che mai in passato, nella società londinese, avevo potuto ammirare; in realtà di molte cose mi ero privata: stretta dentro stretti corpetti, attillata come uno struzzo, acconciata come una bambola, vezzeggiata e lusingata da una serie di gentiluomini e nobili signore, sono stata quasi soffocata dalla realtà londinese. Qua è tutto così diverso. Roseville è un villaggio a est dello Yorkshire: poche case, persone cordiali, qualche locanda per i bisogni primari e poi tutti terreni incolti e liberi. Non so esattamente il motivo per cui la mia famiglia, una volta finito il mio ennesimo - e ultimo - debutto in società, abbia deciso di venire a vivere nella casa in campagna ereditata dalla mia defunta nonna, ma non è una cosa che voglio scoprire. Ho venticinque anni, e so perfettamente di essere in età avanzata per sposarmi. Ormai sono una zitella a tutti gli effetti e non me ne rammarico. Danno la colpa ai miei modi di fare, al mio linguaggio, al mio modo di pormi, alla mia figura, persino ai miei capelli! Diciamo le cose come stanno: non sono adatta a fare la moglie, a governare una casa e a badare a dei marmocchi ma, soprattutto, non sono adatta a sottostare alle regole che un marito vuole imporre. Non sono nata per essere accondiscendete e dominata da un uomo. Mi appresto a vestirmi nel modo più veloce possibile, un paio di calzoni rubati dall'armadio di mio fratello e una camicia pesante ben abbottonata. Apro l'uscio della mia camera e mi assicuro che non ci sia nessuno nei paraggi. Essere colta in flagrante non è una soluzione per correre fuori a svolazzare tranquilla. Sono quasi arrivata, quando una porta alle mie spalle sbatte e la voce che esce fuori mi fa rizzare i capelli che ho in testa. «Artemisia Connor! Fermatevi, subito!» urla una voce molto familiare. «Dove credete di andare conciata in quel modo?» Sbuffo pesantemente. Possibile essere scoperta un giorno sì, e uno sempre? Mi volto e scruto la bellissima donna che mi guarda furente e con un diavolo per capello.

«Buongiorno, madre.»

Eccola, pronta e avvinghiata in uno dei suoi soliti abiti dai colori tenui, con gli orecchini ai lobi e i capelli perfettamente acconciati.

«Buongiorno?» mi chiede schizzinosa. «E ditemi, dove stareste andando vestita come un vaccaro e con i capelli di una zingara?»

Prendo una ciocca dei miei lunghi capelli e la tocco. «Sono puliti.»

«Sapete perfettamente che non è il modo consono per varcare quella porta! State cercando uno scandalo, forse?»

«Uno scandalo per non aver pettinato i capelli?» chiedo con sarcasmo.

«Con i vostri capelli ribelli, i vostri calzoni vergognosi, il vostro caratterino e la lingua lunga che vi ritrovate, siamo già fortunati se non siamo finiti sulla forca! Vi si vede tutto, e siete scandalosa! Andate a cambiarvi! Lo sapete che non è consono! Ma come pensate di trovare marito, se non rispettate voi stessa? Chi mai vorrebbe una donna che va a cavallo vestita da uomo?»

Quello che non capisco è: perché noi donne non possiamo vestirci come vogliamo? L'uomo può persino stare senza camicia, e a quasi nessuno importerebbe! Le donne rimarrebbero a guardare paralizzate, a schiamazzare come delle oche per dei muscoli! Ridicole! Semplicemente ridicole! Perché noi donne dobbiamo per forza indossare un gran numero di gonne che rendono persino difficile camminare? E se poi indossiamo qualcosa di diverso, siamo solo scandalose? Tutte le donne pensano a cercare un marito, imparano ad assecondare i capricci di un uomo e a compiacere un marito, ma questo non è un ruolo fatto per me; sono disubbidente, anticonformista, un'idealista, amo la libertà, adoro dire quello che ritengo più opportuno e scelgo di vivere con le mie regole. Non ho nemmeno le intenzioni di cercare marito, figuriamoci di trovarlo. Sono fatta così e alla mia famiglia non sto bene. Sono indomabile, e non accetto d'assecondare i capricci di nessuno. «Svergognata» conclude il discorso guardandomi come se fossi un topo. Mia madre farebbe scappare la pazienza anche a un santo! E anche la mia cavalcata è scemata, per il momento. Mi convinco a entrare in biblioteca, vestita adeguatamente, e, mentre sto finendo di leggere un libro sulla storia francese, entra mio padre. Edward Connor non è più un uomo tanto giovane e lo dimostrano le rughe e i capelli bianchi. Ha la mascella squadrata, occhi verdi e dei lineamenti che ricordano molto i miei. Purtroppo anche lui ha un carattere molto forte e mal sopporta le persone che, come me, vanno contro i suoi ordini. Credo di aver ereditato il carattere da lui, ma la lingua non si sa. Mio padre cammina svelto verso mia madre e le dà un bacio sulla fronte. «Buongiorno signore» ci saluta. «Julie, vi avverto che sto andando con Mattew a provvedere ad alcune faccende. Non aspettateci,» dice rivolgendosi a mia madre con un tono autoritario. Ultimamente, fra mio padre e mio fratello, scorre un'aria a dir poco pesante. Stanno giornate, intere a discutere di "faccende importanti", ma non appena mi azzardo a chiedere qualcosa a riguardo, nessuno dei due proferisce parola.

Amarti oltre ogni confineWhere stories live. Discover now