Ricordare

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Quella notte, al Campo Mezzosangue, una ragazza stava infrangendo una delle regole più importanti del Campo.

Erano le tre del mattino, quando Annabeth Chase aprì silenziosamente la porta della Cabina Sei e uscì.
Il berretto degli Yankees -aveva ripreso a funzionare dopo la sconfitta di Gea- poteva renderla invisibile, ma non annullare i suoni, e le arpie avevano un udito abbastanza fine.

Se qualcuno avesse potuto vederla, avrebbe capito subito che c'era qualcosa che non andava.
Gli occhi grigi erano gonfi di pianto e cerchiati di viola dalle notte insonni.
Le prime notti dopo la sua morte non dormiva, era troppo distrutta per farlo. Voleva solo piangere. Piangere, piangere, piangere e piangere con Piper che l'abbracciava e le passava fazzoletti. Dopo un po', invece, esaurite le lacrime, non dormiva a causa dei ricordi. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva il suo corpo esanime, a terra in una pozza di sangue, con gli occhi verdi che fissavano il vuoto. Il sangue così scuro, e la sua pelle così bianca.
Basta, disse a sè stessa.

Camminava a spalle basse, come controvoglia.
Si stava dirigendo verso la sua prima tappa: il laghetto delle canoe. Si fermò esattamente davanti al punto in cui, due anni prima, Clarisse, i fratelli Stoll ed altri amici del Campo -molti dei quali non c'erano più- l'avevano buttata insieme a Percy in acqua.
Davanti al luogo dove Annabeth e Percy si erano dati uno dei loro primi baci, il miglior bacio subacqueo di tutti i tempi.

Lei e Percy.
Percy... Oh, Percy.

Era passato un anno. Un lunghissimo e interminabile anno senza di lui.
Come ho fatto ha sopravvivere? Si chiese. Come farò a sopravvivere ancora?

Continuò la sua passeggiata, fino ad arrivare alla baia di Long Island.
Il mare, ovviamente, le ricordava Percy.
Si sedette sulla sabbia, le braccia che stringevano le ginocchia al petto, e la testa appoggiata su di esse.
Dopo che se n'era andato, Annabeth non riusciva ad andare in quel luogo. Troppi ricordi.
Ma da quando si era ripresa -o, meglio, da quando si sentiva un po' meno distrutta- e aveva trovato la forza per ricordare, ci andava praticamente ogni giorno.

I suoi occhi erano dello stesso colore dell'oceano, e anche il profumo era lo stesso. Se chiudeva gli occhi, poteva immaginare che Percy fosse seduto proprio lì, accanto a lei; i capelli corvini scompigliati dalla leggere brezza marina, il capo reclinato ad osservare le costellazioni che Annabeth gli descriveva, come aveva fatto centinaia di volte. I suoi occhi, che illuminati dalla luce della luna erano di un blu profondo, fissavano un punto in lontananza. Con le labbra sottili leggermente dischiuse e i lineamenti rilassati Annabeth si ricordò di aver pensato che, in quel momento, Percy era il ritratto della tranquillità. Dopotutto avevano appena vinto una guerra e loro erano ancora vivi: fino a qualche mese prima, questa era solo una vaga speranza.

Riaprì gli occhi, con la vista appannata dalle lacrime, che rotolarono giù per le guance fino al mento, mentre ricordava.

Ricordò i baci, gli abbracci e le risate...
Ricordò il giorno in cui Percy venne a bussare alla sua cabina, la mattina presto, mentre Annabeth stava lavorando ad un progetto sul computer di Dedalo. Percy aveva in mano un sacchettino azzurro legato con un cordoncino. Dentro c'era il ciondolo rosso di corallo che ora portava appeso alla collana con le perle del Campo.

Ricordò le giornate a Central Park, passate a parlare e ridere sotto l'ombra di un albero, con la testa di Percy appoggiata sul suo grembo.
Percy che reggeva il cielo per lei.
Che la salvava dalle Sirene.
Che la baciava ad Atene.
Ricordò i "ti amo" sussurrati in momenti decisamente intimi nella Cabina Tre, quella di Poseidone, nel mezzo della notte.

E poi ricordò i momenti peggiori.
La caduta nel Tartaro.
La paura e il terrore che aveva provato con lui.
Quando credeva fosse morto, dopo l'esplosione del Monte Sant'Elena.
I pianti con Sally.
I sei lunghi mesi passati a cercarlo.
Adesso si sentiva come allora, se non peggio. L'unica differenza era che adesso aveva la certezza che non l'avrebbe ritrovato. Non l'avrebbe più rivisto.

Non era per niente giusto. Il tempo che avevano passato insieme le sembrava pochissimo, adesso.
Dopo tutto quello che avevano passato insieme... La guerra, il Tartaro, le profezie, gli amici persi... Questo era il ringraziamento? Gli dei la ripagavano così?

Prese a singhiozzare rumorosamente.
Stai zitta, si ordinò, o le arpie ti scoveranno, e non voglio passare tutta la settimana a lavare i piatti.
Ma non ci riuscì, e alla fine si rese conto che non le importava se le arpie la trovassero o meno.
Non le importava, non in quel giorno.
Il dolore era come le onde, implacabile.

Si tolse le infradito e si avvicinò alla battigia, sedendosi con le gambe distese, i piedi che toccavano l'acqua tiepida.
Si portò una mano al ciondolo e guardò le stelle.
La costellazione di Zöe Nightshade stava incoccando una freccia, su in cielo. Si ricordò di Bob, e di quando lei e Percy, sull'Argo II, gli avevano salutato le stelle.
Altre lacrime scesero sul suo viso.

"Ti amo, Testa D'Alghe." disse all'oceano.

Dopo un po' raccolse le scarpe posate accanto a lei e si rimise in piedi per tornare alla Cabina di Atena prima dell'alba. Fissò le onde ai suoi piedi.
Ad un certo punto, comparve una scritta sulla sabbia, al ritirarsi di un'onda, che la fece sobbalzare.

"Ti amo anch'io, Sapientona."

Nonostante tutto, nonostante il dolore, sorrise. Il suo Percy, il suo Testa D'Alghe dolce, divertente, premuroso e a volte un po' idiota sarebbe stato sempre lì con lei.

-spazio autrice-

Ehi, semidei!
Innanzitutto, grazie per aver letto la storia. :3
È stata la prima che ho scritto quindi vi chiedo di essere pazienti.
Fatemi piacere se vi è piaciuta... Accetto tutte le critiche, purché siano costruttive!
-Alice

Sarebbe stato sempre lì con lei. -PercabethWhere stories live. Discover now