Angolo di Paradiso

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Era passato molto tempo da quando aveva visto il biondo uscire dalle mura indifese, violate.
Da allora ogni giorno passava con la paura e l'ansia di non rivederlo più.
Lo stomaco si contorceva e il cuore perdeva una miriade di battiti quando il suo pensiero volava lontano dal posto protetto in cui si trovava, oltre al Wall Sina e Wall Rose.
Un brivido lo percorreva inorridito quando occasionalmente si fermava su qualcosa di negativo.
Se i suoi compagni fossero tornati con un corpo mozzato e senza vita, sentiva già gli occhi pizzicargli e riempirsi di lacrime, o peggio: solo con brutte notizie e nulla su cui piangere se non su una bara vuota.
Ne sarebbe rimasto lacerato, distrutto, già lo sapeva: non poteva vivere senza di lui, non avrebbe avuto senso.
Voleva, doveva, essere positivo, ma il mondo in cui vivevano non lo permetteva: il giorno prima c'eri e quello successivo non più. Stradicato, come un'erbaccia fastidiosa.
E allora, rammentava -malinconicamente- l'ultima volta che l'aveva visto, quando il cuore si sollevò nel trovarlo che respirava e sano e salvo; ringraziando ogni divinità esistente, per avergli ancora lasciato la possibilità al suo amore di tornare a casa.
Sapeva che non avrebbe resistito a lungo, tra il paradiso e l'inferno, dove quest'ultimo durava molto più del primo: il tempo in cui restava e permetteva al ragazzo di stare insieme, baciarsi, rinnovarsi la promessa che di non lasciarsi mai era sempre troppo breve; sfuggiva ogni volta dalle mani come una saponetta dispettosa.
Marco si sentiva continuamente tirato in ballo tra la disperazione e preoccupazione quando Jean partiva con la Legione.
Quanto aveva sperato, che entrasse in Gendarmeria come aveva asserito il biondo all'inizio dell'addestramento -immaturo e con il desiderio di essere lontano da quei mostri!- Ma quest'ultimo non voleva ignorare che per poco lui stava morendo. Marco aveva rischiato seriamente la propria vita a Trost, e voleva che nessun'altro dovesse temere lo stesso.
Sapeva che l'aveva fatto per lui.
Non era mai stato egoista, ma per una volta desiderava che Jean tornasse pauroso, da essere al sicuro assieme. Forse ora era Marco il codardo.
Ma certo, non era facile aspettare come una pricipessa che sventola il fazzoletto, sapendo che partivano per missioni suicide, con l'incertezza che quello potesse essere l'ultimo incontro da ricordare tra le lacrime, sulla sua lapide.
Era veramente insopportabile ogni maledetta volta, ed incredibile che nonostante gli anni, non ci avesse fatto il callo: quando tornava, non resisteva all'impulso di corrergli incontro e versare lacrime dalla gioia nel poterlo di nuovo toccare, guardare, sentire il suo odore e provare la sua pelle ogni volta sempre più vissuta, segnata dalle cinghie che per molto tempo tenevano stretto il suo corpo.

Le campane suonarono e Marco accorse all'entrata del Wall Rose: il giorno era programmato e aveva chiesto di essere sollevato dagli inarichi, da poter partire in viaggio verso il muro che avrebbe segnato per la legione il ritorno all'umanità.
Lo aspettava con ansia e intrepidazione, perennemente teso, consapevole che avrebbe potuto ricevere anche brutte notizie.
Però il pensiero di parole di morte e condoglianze da qualcuno che conosceva vennero subito cancellate con repulsione, quasi volesse imporsi di lasciarle lontane dalla sua mente.
C'era molto caos, e delle persone si erano messe ai lati della strada, aspettando il ritorno della carovana dimezzata. Certamente non un accalcamento di festa, ma più come un canto funebre: molti familiari erano li, e certamente non tutti i soldati che attendevano erano vivi, purtroppo.
Marco si sentiva sempre molto distrutto: non solo per l'estenuante attesa, ma anche al pensiero di quelle madri, fratelli, sorelle e mogli che attendevano con la stessa agitazione.
Piangeva dentro di sé, immaginando il dolore alla notizia che la persona che ami non ci sia più. Semplicemente il mondo che cade addosso, ed era ancora più addolorato del fatto che nonostante il loro impegno da soldati, non sarebbero mai tornati in vita.
Chiese permesso a diverse persone, riuscendo ad arrivare alla prima fila, direttamente sulla strada.
Salmodiò il nome di Jean, chiudendo gli occhi e strizzandoli, cercando di resistere alla tentazione di piangere.
Il primo che fece la sua comparsa fu Erwin. Nonostante la vecchiaia che avanzava, si teneva bene ed era un uomo rinomato e rispettato; lo stesso per Levi che è sempre più sembrato più giovane dei suoi anni.
Poté leggere nel primo una incomparabile tristezza, lì percepì che avevano perso molti uomini, ed Erwin Smith ne era distrutto.
Combattevano una guerra che gli umani spesso perdevano.
Levi sembrava impassibile come sempre, ma sapeva che in realtà, quei occhi grigi nascondevano molto bene la turbolenza interiore che lo perquoteva, i fantasmi del passato che mai avrebbero lasciato il suo animo.
Poi, Eren, -visibilmente stanco- leggermente chino sulla sella e gli occhi smeraldi incorniciati da delle occhiaie scure: da quando si sapeva che poteva trasformarsi, era diventato una speranza e unica arma per la fazione unana; quindi adoperato per scoprirne le potenzialità e possibilità. Lo facevano faticare, invitandolo a dare il massimo o altrimenti l'umanità sarebbe stata destinata alla distruzione.
Gli occhi scorrevano su tutti i membri che passavano davanti a suoi occhi trattenendo quasi il respiro e lasciò completamente perdere i particolari.
Certo, era felice che la maggior parte delle persone che conosceva fossero vive, ma lui non aveva ancora visto Jean ed era in ansia ogni secondo di più, respirando velocemente.
Strinse i pugni sentendo solo il cuore battere nel petto furioso, agitato, trovandosi come una barca in balia delle onde nella tempesta.
I suoi occhi marroni scorsero ogni uomo a cavallo, cercando il suo viso.
Era in una piena crisi di nervi. Sarebbe esploso, scoppiato a piangere da un momento all'altro: fino ad ora nessuno aveva quei capelli biondo scuro, né gli occhi ambrati.
"Ti prego, ti prego, non sono pronto a perderti, non ora" si ritrovò a pensare, chiudendo le palpebre tremanti, il tempo di quella preghiera, a chissà chi.
Non era nemmeno tanto certo che si sarebbe esaudita.
Pensò davvero che sarebbe crollato, non avendolo ancora scorto tra i rumori di zoccoli e pianti di donne nella sua stessa situazione.
Il suo sguardo passò tra un viso silenzioso e l'altro, scorgendo qualche piccolo dettaglio che potesse alimentare la ormai sua vana speranza, non ancora spenta.
E poi, si fermò all'improvviso.
Il suo cuore si alleggerì e davvero delle lacrime solcarono le sue guance lentigginose come credeva sarebbe successo.
Ma non per disperazione nell'averlo perso per sempre, ma felicità.
Dopo minuti che sembrarono un' eternità fu consapevole dell'aria che tornò a riempire i suoi polmoni, ed ebbe la sensazione che arrivasse dritto al cuore.
Singhiozzò leggermente alzando gli occhi, incontrando i suoi, impegnati nella stessa ricerca.
Gli sorrise appena, rassicurante: lui era lì, non doveva più temere per la sua vita.
Il moro non poté che continuare a piangere, ringraziando che ancora una volta qualcuno aveva ascoltato il suo desiderio più grande.
La carovana avanzava e Marco chiese nuovamente permesso, eclissandosi da li.
Era diretto verso il posto in cui lui e Jean si rincontravano abitualmente, coronando finalmente il suo ritorno.
Al pensiero Marco era agitato ma felice, impaziente di prendersi cura della persona che tanto aveva aspettato tra mille ansie e preoccupazioni.

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