La mia vita è una inferno senza te

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Questo è il seguito di "Angolo di Paradiso", contiene citazioni ad essa, quindi è preferibile leggerla per prima.
Grazie mille e buona lettura!

"Ti amo"La sua voce rimbombava nella testa, come un eco, rimbalzava, non gli dava pace

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"Ti amo"
La sua voce rimbombava nella testa, come un eco, rimbalzava, non gli dava pace.
Marco abbandonò la piuma malamente sul tavolo, accanto ai fogli che stava compilando, scartoffie, lasciando sul legno una scia di inchiostro.
Non riusciva a concentrarsi, pensava al suo amore, lontano e sempre in pericolo, con quei mostri che desiderano solo distruggere.
L'ennesima partenza fu più dolorosa di quanto Marco stesso si aspettasse, soffrendo come la prima volta che si erano detti arrivederci, nonostante fosse chiaro a entrambi che prima o poi sarebbe diventato un addio.
Ma non voleva neanche lontanamente soffermarsi su questo, lo impauriva e cacciava via questo pensiero dalla sua mente, prepotente.
Poggiò una mano sulla fronte, coprendosi anche le palpebre, semichiuse; il gomito poggiato a bordo del tavolo, con le spalle chine su di esso.
Erano passati mesi dal loro ultimo incontro, dove, nella penombra del tramonto, si erano amati, con la stessa urgenza di chi vive l'ultimo giorno della propria vita. Come se ci fosse stata l'incertezza che il sole sarebbe sorto, l'indomani.
Ma con la stessa premura e dolcezza di chi vuole farlo durare in eterno, perché era il loro paradiso, senza fine.
Nei momenti più bui dell'attesa, Marco li rammentava, per darsi forza e andare avanti, perché sapeva che Jean gli aveva fatto una promessa.
Sarebbe tornato, nonostante tutto, da lui.
Ma quanto ancora doveva aspettare?
Giorni, settimane, mesi, anni?
Si sentiva logorato a ogni minuto che passava, sapendo di essere sempre più fragile. Un asse che scricchiola sotto un peso troppo grande.
Jean lontano e in pericolo era davvero un masso immenso per il suo cuore.
Un singhiozzo scappò involontario e la mano che sorreggeva la testa tremò.
Non si è mai vergognato di piangere, sapeva che solo così poteva sfogarsi dallo stress che quella situazione procurava.
Era così che Marco Bodt tirava avanti, tra le lacrime e la speranza di rivedere il suo amato tornare a casa, da lui, al sicuro.

Era giunta abbastanza rapidamente notizia che la squadra di Ricognizione sarebbe tornata.
Per la precisione, i soldati della Guarnigione che erano appostati sopra le mura, avevano avvistato la carovana di soldati avanzare lenta.
Erano passati 7 mesi e due settimane, da quando erano partiti.
Solo quattordici giorni dopo che Marco aveva sperato incessantemente in un loro ritorno.
Infatti quando la notizia giunse anche alla capitale, Marco non ci pensò due volte: chiese un permesso ai suoi superiori, prese il cavallo, lo sellò e partì verso il wall Rose.
Quel giorno però sembrava stranamente uggioso.
Non che fosse inusuale che si addensassero nubi, anzi, spesso pioveva; ma era come queste nuvole dessero un aspetto tetro, negativo.
Ma Marco non voleva badarci, guardava davanti a se, incoraggiando ulteriormente l'andatura del cavallo.
Si sentiva diviso, con una pesante sensazione sempre sul petto, che si sarebbe rimossa solo quando avrebbe abbracciato Jean.
Fino ad allora il cuore balzava ansioso, desideroso di rincontrarlo, ma con una paura inspiegabile che lo inseguiva ogni volta.
Corse più velocemente che poteva, mentre la distesa verde attorno a se era sfocata.
Scorreva, semplicemente.
Quando finalmente arrivò a Trost, la carovana era già entrata.
Lo capì dalle molte persone che si stavano eclissando, in lacrime.
Un groppo gli si formò in gola.
Il fatto di vederli tornare dava una certezza immediata, mentre ora, sentiva un brivido lungo la schiena.
Si diresse verso il quartier generale della legione, dove i soldati si aggregavano poco dopo le missioni.
Smontò da cavallo rapidamente, legandolo a una sbarra di legno, posta davanti all'entrata, per farlo riposare.
E entrò.
Mai come allora Marco si sentì male: le espressioni buie e tristi dei suoi ex commilitoni valevano più di mille parole.
Come quando, Eren, scorgendolo lo guardò incapace di agire, forse per la prima volta nella sua vita.
Il suo viso ormai maturo sembrava magro e gli occhi -ancora smeraldo come li ricordava- leggermente scavati.
Armin e Mikasa indicarono Marco con un cenno del viso, come a rammendargli la sua presenza.
Anche Sasha e Connie lo guardarono con occhi malinconici e vuoti.
《Ragazzi, cosa succede?》
E dentro di se ebbe la sensazione che non avrebbe dovuto chiederlo.
《Dov'è Jean...? cosa succede?》
Chiese nuovamente incalzante e non si accorse che stava già singhiozzando.
Armin abbassò lo sguardo e Sasha si appoggiò sulla spalla di Connie, al suo fianco.
《No...》 sussurrò, incredulo e a malapena si sentiva.
Non voleva crederci, non voleva neanche immaginare che il momento tanto inatteso e indesidrato fosse giunto.
Eren fece un paio di passi a testa china, con la morte nel cuore per essere messaggero di una tanto triste notizia.
In fondo era stato anche suo amico, nonostante tutto.
Si fece forza con un ultimo sguardo dei suoi compagni, Mikasa gli poggiò una mano sulla spalla destra, stringendola delicatamente.
《Marco...》
Prende un respiro, alzò lo sguardo e glielo disse.
Il suo cuore smise di battere. In quel momento vide le labbra muoversi, ma la voce arrivò fioca, soffocata dal suo dolore.
"...Jean è morto" rimbombò nella sua testa, in un eco sempre più assordante.
Iniziò a tremare, si portò una mano sulle labbra e vorrebbe solamente dare sfogo a tutta la sua rabbia, tristezza, dolore che aveva dentro.
Era incommensurabile, il vuoto che provò, non ci sono parole per descrivere lo sbigottimento di un uomo che si sente perduto.
Crollò a terra in ginocchio, chinato sul pavimento, cominciando a versare tutte le sue lacrime.
Eren rimase fermo, non sapendo cosa dire o fare. Avrebbe voluto dirgli una cosa importante, riguardo il defunto soldato, ma Armin lo fermò, poggiando la mano sulla spalla sinistra facendolo voltare, mentre si sentivano nel silenzio i singhiozzi prepotenti che mozzavano i respiri di Marco.
Il biondo fece un cenno di dissenso: non era il momento per parlargli e che comunque non l'avrebbe risollevato dal suo profondo dolore.
Tremava come un foglia, ai loro piedi, disperato.
Non importava quanto patetico potesse sembrare, aveva appena perso l'amore della sua vita.
Marco si sentì distrutto completamente, non trovando più la forza e motivazione a ogni giorno.
Fu straziante per i suoi amici quella scena, tanto che Armin lo aiutò ad alzarsi per portarlo in un luogo più solitario.
Era un peso morto, defunto come la gioia.
Trovò una stanza, al piano superiore, aprì con fatica la porta richiudendola alle loro spalle, conducendolo al letto, dove lo fece sedere.
Gli occhi erano gonfi e rossi, curvato su se stesso, intorno a loro un inusuale silenzio.
Armin si mise accanto a lui, il moro tirò su con il naso.
《Come...come è morto?》 Le lettere sbiascicate, la frase terminata a fatica.
Non aveva ancora la forza per realizzare tutto questo, avrebbe voluto tanto svegliarsi da questo incubo.
Ma la cosa che faceva più male era che non poteva farlo.
《Non credo che tu sei pronto per saperl-!》
Ma Marco lo interruppe all'improvviso《Io ho diritto di saperlo!》singhiozzò e il biondo sospirò. Continuava a essere convinto che non fosse una buona idea, ma davanti a quella supplica, con il viso stravolto dal dolore, non poteva fare altrimenti.
Marco lo riteneva importante, in fondo riguardava Jean, e il biondo stesso sapeva quanto si fossero amati.
《Durante la missione eravamo accampati nella foresta e sono apparsi dei giganti anomali, che ci hanno attaccato.
Jean ne aveva evitato uno usando la manovra, ma un'altro con una manata lo prese.
Si è difeso fino all'ultimo come un vero guerriero.
Abbiamo fatto tutto il possibile per salvarlo...Ma...》
Si fermò dalla narrazione rabbrividendo. Era stato un trauma vederlo morire davanti ai suoi occhi.
Ancora non si era liberato dell'alone che quell'esperienza gli aveva lasciato.
《Dimmelo, Armin》
《Marco io non-!》
《Armin, voglio saperlo.》ripeté.
Si fermò un attimo e respirò profondamente.
《Gli spezzò la schiena》
Armin aveva ancora nella testa il "crack" delle ossa mentre si frantumavano e forse non se lo sarebbe mai dimenticato.
《Eren si è trasformato e li ha fatti fuori tutti, facendo mollare la presa al gigante.
Jean è caduto a terra ed è morto dissanguato per via dei traumi interni gravi procuratogli》
Marco fissò il pavimento, chissà cosa avrà pensato, quanto dolore mentre sentiva la vita scivolargli via, inesorabilmente.
Altre lacrime scesero, silenziose.
Non chiese nulla di tutto questo, sapeva che Armin non avrebbe potuto rispondergli.
《È morto lentamente?》mugolò, quasi senza voce.
《Abbastanza, è stato terribile. È rimasto cosciente per un pò.
Ci siamo messi attorno a lui, cercando di capire se potevamo fare qualcosa, io ero al suo fianco. Mi ha guardato e ha sussurrando: "voglio tornare a casa, mi sta aspettando" e poi ha aggiunto "promessa" i suoi respiri erano sempre più distanziati e faticosi. Poi ha detto "Marco" prima di dare il suo ultimo alito di vita》
Il moro si sentì strappato dentro, come se gli avessero portato via un pezzo cuore.
Lo aveva pensato, magari in quei uttimi minuti gli era passata tutta la sua vita davanti, sia i momenti belli che quelli brutti, questo lo fece sentire anche peggio.
Egoisticamente non avrebbe dovuto farlo partire e poter rimanere insieme, felici.
Ma Jean non sarebbe stato lo stesso, non dopo quello che era diventato dopo la battaglia di Trost.
Risoluto, combattivo e un grande leader.
Era arrabbiato, accecato dal male che provava. Perché allora, se ci teneva non ha lottato per rimanere vivo? Perché ha deciso di abbandonarlo, sapendo quanto per lui fosse importante? Di quanto Marco aveva bisogno del suo lieve sorriso? O bacio tenero appena sveglio? Di tutte quelle cose piccole ma preziose, che rendono il mondo -per quanto grigio e sanguinoso- un pò più bello? Come avrebbe fatto ora, senza il suo paradiso?
Stringe i pugni, digrignando i denti《Mi manca...》trattenne malamente le lacrime, ispirando rumorosamente l'aria su, per le narici.《Come farò a vivere senza di lui? Era tutto per me》Adesso era così disperso, solo.
Per quanto gli amici potessero stargli vicino, non avrebbero mai capito il significato di perdere una persona così vicina e cara.
《È dura, ma la ferita si cicatrizzerà con il tempo》
《Niente e nessuno potrà chiudere questa 'ferita', Armin》si sentiva stanco e debilitato nel profondo, ogni cosa aveva perso colore.
Avrebbe voluto solo affogare nell'alcol o addormentarsi per secoli.
《Fatti Forza, Marco, posso immaginare come ci si sente, io ho perso la mia famiglia a cui ero legato, ma ho cercato di andare avanti, pensandoli nei momenti più bui》
《Grazie Armin...》sospirò 《Ma ora, vorrei restare solo.》
Armin si sentì in colpa, chiedendosi se aveva detto qualcosa che non andava, forse non aveva scelto le parole giuste per un momento così delicato 《So che vuoi aiutarmi ma ora...devo cercare di... elaborare tutto questo》
《Si ho capito. Ti lascio riposare》
Si alzò titubante e si diresse verso la porta. Stava per aprirla ma si fermò e si voltò appena dicendo: 《È stata una perdita per tutti noi. Jean era una persona meravigliosa, in fondo, e tu l'avevi capito per primo. Ci manca.》
Poi la chiuse dietro a sé.
Marco si sdraiò affondando il viso nel cuscino, desidoroso quasi di asfissiarsi, per soffcare l'immensa disperazione, come un rumore continuo che man mano si estendeva, eccheggiava.
Si raggomitolò come un bambino, in posizione fetale, chiuse gli occhi cercando di non pensare a niente, ritrovandosi a cadere, stremato, in un sonno profondo.
Almeno nei sogni, forse, avrebbe potuto rincontrarlo.

La mia vita è un inferno senza te [JeanMarco]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora