• Capitolo I || Sordomuto o maleducato?

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Porco carciofo.
Sì, porco carciofo. Sono chiusa in una macchina nera con i finestrini oscurati il cui autista ha un viso estremamente inquietante. Somiglia in maniera alquanto surreale a quelle guardie del corpo mastodontiche di dimensioni che farebbero invidia anche al Minotauro e che portano gli occhiali da sole anche quando nevica. Oppure a Voldemort, solo con il naso.
Mi hanno appena sbattuta fuori di casa contro la mia stessa volontà, lasciandomi a malapena il tempo di infilare un po' di vestiti comodi e qualche libro in un vecchio e ormai consunto borsone di mia madre, ed ora sono in viaggio da circa due ore, poco più o poco meno, verso un luogo di cui, ad essere sincera, non co-nosco nemmeno il nome. L'autista, dal canto suo – estremamente gentile e affabile, il tipo – sembra essere sordomuto. Oppure semplicemente maleducato, non ne sono ancora del tutto sicura, ma spero che la mia prima ipotesi sia quella corretta: insomma, nel mondo abbiamo un talmente tanto alto tasso di maleducazione che se mi venisse dato un dollaro per tutti gli atti scortesi attuati nei miei confronti nel corso dell'ultima settimana ora sarei su uno yacht e non qui. La mia giornata potrebbe andare meglio, ecco.

Quella mattina ero stata bruscamente svegliata dai violenti e scandalizzati singhiozzi di mia madre provenienti dal piano inferiore. Mi ero messa a sedere stropicciandomi gli occhi infastidita, cercando di captare, per quanto le mie orecchie ancora intontite dal sonno lo permettessero, sprazzi della conversazione che stava avendo luogo di sotto.
– Ma... è ancora una bambina! La mia bambina.
La voce di mia madre, roca e rotta dal pianto, dopo una sola frase mi aveva ormai già svegliata del tutto. Cercando invano di capire l'argomento del discorso, avevo aggrottato le sopracciglia, avvicinandomi alle scale mentre la voce di mio fratello rompeva il silenzio.
– Mamma, è giusto che vada. Non ti rendi conto del fatto che non fai che peggiorare la situazione, trattenendola qui? È grande, saprà cavarsela. Ha bisogno di andarci.
Nella voce di Daniel non c'era traccia di esitazione, ma era evidente che stesse cercando di mantenere la calma di fronte ad una situazione a quanto pare complicata.
– Se partisse, imparerebbe a sfruttare appieno le sue... potenzialità, mamma. Tenendola qui rischiamo solo che perda il controllo, e sarebbe troppo rischioso per tutti noi.
La sua voce profonda e calda era appena udibile, tanto da ritrovarmi costretta ad avvicinarmi ancora di più per sentire meglio.
Stavo per entrare in cucina quando una voce a me sconosciuta cominciò a parlare, convincendomi a rimanere ferma in ascolto un altro po', piena di inquietudine.
– Daniel ha ragione, Grace. Se sua figlia fosse realmente ciò che io suppongo che sia tenerla qui potrebbe mettere in pericolo non solo la sua vita, ma anche la vostra. Deve imparare a controllare l'immenso potenziale che le è stato donato, e può farlo solamente in questo modo.
La voce, rauca e potente, appartenente quasi sicuramente ad un uomo di una certa età, si sentiva anche da diversi metri di distanza. Avevo indugiato, nervosa, cercando di spiegarmi quanto più possibile mentre mi aggiustavo distrattamente i capelli con una mano.
– Ma magari non è così! Non può... non può essersi semplicemente sbagliato?
Quella voce, così impaurita e provata, non era quella che ero solita associare a mia madre, la donna che mi aveva sempre insegnato la determinazione, la forza, il coraggio.
– Sai bene che non è così, Grace, non possiamo più negare l'evidenza. È sempre stata diversa, e sai quanto questo la turbasse. Ora non sarà più così. Avrà modo di essere totalmente se stessa, senza alcun tipo di costrizione. Non possiamo imprigionare il suo vero io obbligandola a rimanere qui, sopprimendo una parte troppo importante di lei. Deve andarci.
La voce di mio padre mi aveva fatta tornare alla realtà, e, senza più riuscire a trattenermi, ero entrata in cucina a grandi falcate.
– Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?
Tutti gli sguardi si erano posati su di me. Quello di mia madre, velato di una tristezza infinita, quello di mio fratello, carico di quel calore fraterno che solo lui sa infondermi mescolato ad una malinconia che raramente avevo visto nei suoi occhi, e quello di papà, che mi guardava con aria fiera.
Lo sconosciuto mi fissava con aria meravigliata, neanche avesse davanti un dinosauro o non so che altro. Il mio primo istinto fu quello di chiedergli se mi fosse magicamente spuntato un terzo occhio o se magari mi fossi improvvisamente trasformata in un unicorno.
Il secondo quello di tirargli un pugno sul naso.
– Si può sapere chi è lei? E mamma, perché piangi? Cosa significa tutto questo?
– Evelyn!
La mamma si è alzata lentamente dalla sedia su cui era raggomitolata, venendomi vicino e appoggiandomi una mano sulla spalla.
– Eve, lui è il signor Clark, il preside dell'accademia americana per Lucenti, che permette loro di sviluppare e accrescere le loro doti grazie a lezioni con insegnanti di altissimo livello...
Lucenti.
Sui telegiornali non si faceva che parlare di loro. Sempre più avvenimenti erano legati a questi esseri umani con talenti soprannaturali: gente che sa governare l'acqua, l'aria, il fuoco, la terra. Gente con una memoria fuori dal comune, con una forza straordinaria. Gente che controlla le menti.
Mi ero resa conto troppo tardi di essermi, ancora una volta, persa nei miei pen-sieri, finendo con l'estraniarmi dalla realtà e, cosa al momento più importante, dal discorso di mia madre.
– Uhm... scusa, mamma, mi sono distratta. Che hai detto che ci fa qui il signor Clark? – avevo domandato, scoccandogli un'occhiata scettica.
– Quello che tu madre stava cercando di dirti, Evelyn, è che mi è stato raccontato dell'increscioso fatto avvenuto la settimana scorsa, e sono qui per chiederti di seguirmi all'Accademia, dove avremo modo di capire la natura di quanto accaduto.
Quindi, lui sa.
– Eve, so che tutto questo ti sembra strano, ma secondo me dovresti andare con lui. Scoprire la verità non può che farti bene, devi imparare a gestire tutto questo.
Daniel si è avvicinato a me, tendendo una mano che non ho esitato a rifiutare. Ho iniziato a scuotere la testa, indietreggiando. – Ci... ci deve essere un errore, non è possibile – ho balbettato, per poi girarmi verso mio padre – Non voglio andarmene, ho una vita, qui, degli amici, e poi la scuola...
– Lo so, Eve, lo so. Ma devi capire che è la cosa migliore per te. Non vogliamo obbligarti a fare come ti stiamo dicendo, ma vorrei davvero che pensassi alle conseguenze, se decidessi di rimanere qui. Sai bene che anche questa è una parte di te, e merita di venire fuori.
Papà si era avvicinato a me e mi aveva stretta in quell'abbraccio che mi aveva sempre fatta sentire a casa.
– Qualunque scelta tu prenda, noi ti appoggeremo.
Ho alzato lo sguardo, puntando i miei occhi in quelli verdi del signor Clark.
–Io non sono una Lucente.
Lui ha sollevato le sopracciglia, evidentemente sorpreso.
– Questo non lo puoi sapere.
Daniel mi ha stretto la mano, cercando evidentemente di tranquillizzarmi, per poi bisbigliarmi all'orecchio: – Eve, non possiamo essere certi che quanto successo la settimana scorsa non si ripeta. È rischioso, troppo.
Mi sono quindi voltata verso Mr. Clark, guardandolo dritto negli occhi. – Potrò tornare a casa quando voglio?
– Ma certo, Evelyn. La mia è una scuola, non una prigione. Potrai chiedere un permesso per tornare a casa ogni volta che lo desideri, è normale avere nostalgia della propria famiglia, lo capisco.
Un sorriso si fa largo sul suo volto, senza però riuscire realmente a tranquillizzarmi. Ho annuito, senza dire una parola.
– Bene, prepara le tue cose. Partirai tra poco.

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⏰ Last updated: Jul 18, 2019 ⏰

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