Parte 1

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13 Marzo, venerdì. 04:00 A.M. Baker street, metropolitana. Edward.

Edward era stanchissimo quella notte. Stava, letteralmente, dormendo in piedi: poggiato con la schiena ad un muro della metropolitana.

Non riusciva a capire come era finito in quella situazione. La sua vita era colata a picco in troppo poco tempo. Era passato dall'essere uno dei ragazzi più ricchi d'Inghilterra, ad essere un semplice lavapiatti.

Iniziò tutto il precedente mese. Edward aveva appena compiuto ventidue anni e, durante il giorno del suo compleanno, la madre iniziò a punzecchiarlo. La donna voleva assicurare un buon futuro al figlio e, per ottenere ciò, voleva farlo entrare in politica per lavorare con suo padre. Ad Edward l'idea di diventare politico non piaceva neanche un po'. Il ragazzo non aveva il senso del dovere ed aveva sempre paragonato la politica alle menzogne. Quel lavoro non faceva per lui!

Fu proprio questo argomento a far uscire di senno sua madre. Iniziò a gridargli contro cose insensate e pesanti (arrivò addirittura a dirgli che esso era la rovina della famiglia). Edward, essendo un ragazzo molto sensibile, scoppiò a piangere difronte a tutti gli invitati (che erano davvero molti) e disse l'ultima cosa che avrebbe voluto dire: "non considerarmi più tuo figlio. Io per te non esisto più!"

Quella frase zittì momentaneamente sua madre, che lo guardò con un'espressione inizialmente delusa. Purtroppo quell'espressione delusa, nel passare dei minuti, si trasformò in un'espressione schifata. "Esci da questa casa e non tornare mai più" gli disse la donna, indicando la porta. Il ragazzo non poté fare altro che raccogliere le proprie cose ed uscire di casa.

Passò una settimana a casa del suo migliore amico James, dopodiché (usando i suoi ultimi risparmi sulla carta di credito) prese un appartamentino in affitto, proprio al fianco di quello dell'amico. Da quel giorno sembravano essere passati secoli, ma in realtà era passato poco più di un mese.

Edward si svegliò si scatto, spostando il capo all'indietro con un gesto fulmineo. Finì per colpire il muro con la nuca e si diede automaticamente del deficiente per essersi addormentato. Il povero ragazzo era perseguitato dalla sfortuna e quel giorno era uno dei peggiori. Il venerdì tredici era considerato un giorno sfortunato dall'intera popolazione del globo terrestre, ma cosa succederebbe se si unisse quel giorno all'essere imbranati? Il caos.

Questa era la principale parola che usava Edward per descrivere la sua vita: caos. E lui era un un semplice ragazzo imbranato e perseguitato dalla sfortuna. Non poteva chiedere di meglio, giusto?

Portò una mano alla nuca (che precedentemente aveva sbattuto al muro) e la massaggiò. Sfregò velocemente gli occhi verdi, provando a riacquistare il completo controllo della sua vista e, con un gesto fulmineo, ravvivò i suoi capelli ricci, smuovendoli e scompigliandoli velocemente.

Il precedente giorno fu una vera e propria tortura per il ragazzo: aveva lavorato davvero molto. Era un semplice lavapiatti, vero, ma era ugualmente stressante. Vi era stato un matrimonio nell'hotel dove lavorava e i piatti da lavare erano sempre di più. Per qualche minuto aveva pensato di non potercela fare, ma infine aveva terminato il suo lavoro.

Non aveva mai realmente desiderato di diventare un lavapiatti. Il suo sogno era sempre stata la fotografia, ma senza risparmi da parte, non poteva realizzarlo.

In quel momento, alle quattro di mattina, il giovane ragazzo aspettava la metropolitana che l'avrebbe portato a casa.

13 Marzo, venerdì. 04:00 A.M. Baker street, metropolitana. Dylan.

Dylan era emozionatissimo quel giorno. Stava organizzando la sua ennesima mostra d'arte.

Erano appena le quattro di mattina e Dylan era già sveglio e felice. Il suo migliore amico William lo paragonava spesso ad un "Mostro della precisione", ed era vero. Dylan ci si rivedeva molto in quella figura. Poteva considerarsi un maniaco dell'ordine, della precisione e, in più, era molto fortunato.

Aveva realizzato ogni suo sogno: era diventato un famoso artista all'età di venti anni; aveva degli amici stupendi, quali William e Neil, era di bell'aspetto e la sua famiglia lo amava.

Con il passare degli anni nulla era cambiato e in quel momento (all'età di trent'anni), poteva realmente considerarsi un'uomo fortunato.

Ovviamente anche lui aveva i giorni "no", ma non lasciava che questi prendessero il sopravvento sulla sua vita. Dylan amava la sua vita, la considerava perfetta, anche se in alcuni momenti si ritrovava a sperare di avere una persona al suo fianco. Voleva semplicemente trovare l'amore. Il vero amore.

Il venerdì tredici era in assoluto il suo giorno preferito. Era il giorno in cui aveva conosciuto Neil (dieci anni prima) ed era il giorno in cui tutti sembravano più sfortunati di lui. Dylan non capiva su quali presupposti la gente paragonava il venerdì tredici alla sfortuna. Non ci aveva mai capito nulla e lui non credeva nelle superstizioni.

Era comodamente seduto su una panchina della metropolitana. Aveva la patente dell'auto, ma non aveva mai voluto comprare quest'ultima, non perché non poteva permetterselo, semplicemente perché non voleva. Una strana scelta di vita, come quasi tutto ciò ce riguardava il ragazzo. Dopotutto aveva sempre a disposizione l'auto di Neil.

Si guardò un po' intorno, provando a capire i pensieri delle persone che vi erano intorno. Era una cosa che faceva spesso: amava vedere come ogni essere umano era particolare a suo modo. Amava le differenze e da buon artista qual'era, intrappolava nella sua mente ogni minimo particolare.

Notò che tutti i presenti avevano un'espressione triste, stanca e qualcuno era addirittura cupo. Dylan, forse, era l'unico ad essere felice. Erano le quattro di mattina, era una cosa abbastanza normale essere stanchi, ma non per Dylan. Poteva essere svegliato anche alle due di notte, dopo aver passato ventiquattr'ore senza dormire, ma era ugualmente sorridente.

Sorrise ad una donna incinta che lo fissava intensamente e raccolse i suoi lunghi capelli corvino in una semi-coda bassa. Doveva tagliarli assolutamente. Erano diventati ingestibili e non amava perdere tempo con loro.

Mentre raccoglieva un ciuffo ribelle, pensò a tutti i programmi che aveva per quella giornata: dopo aver organizzato le ultime cose per la sua mostra pomeridiana, doveva andare in un hotel, ad un'asta di beneficenza. Il moro amava quelle aste, soprattutto quando si trattava di beneficenza o quando venivano venduti oggetti antichi o rari. Ne era un collezionista.

Si alzò nel momento in cui vide arrivare la vettura che l'avrebbe portato fino al suo "ufficio" e si stiracchiò leggermente, senza mai perdere il sorriso. La donna incinta continuava a fissarlo e in quel momento anche lei si era alzata. Quando i suoi occhi color caramello incontrarono gli occhi azzurri della giovane donna, costei abbassò lo sguardo e le guance le si imporporarono.

Si avvicinarono entrambi alle porte e solo in quel momento Dylan parlò. "C'è qualche problema?" chiese alla giovane, con voce calma e pacata, com'era solito fare. Essa scosse la testa, facendo oscillare i suoi lunghi capelli biondi ed abbassò nuovamente lo sguardo.

"Nulla" sussurrò lei. "Mi chiedevo soltanto come fa ad essere così felice a quest'ora del mattino" aggiunse sorridendo e guardandolo nuovamente. Dylan ridacchiò appena e si stinse nelle spalle.

"Sono un'artista" rispose, usando il suo lavoro (nonché passione) come scusa. Era una cosa che faceva ogni qualvolta veniva colto in momenti strani. Come l'essere sorridente alle quattro di mattina, ad esempio. Le porte scorrevoli si aprirono e il moro si spostò ad un lato, permettendo così alla giovane donna di entrare per prima.

Lucky Man in a Bad Day.Where stories live. Discover now