Una mirabolante fantastica scoperta

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È la prima volta che vado in soffitta da sola, e la cosa mi fa un po' paura. Ma la paura mi elettrizza, perché ciò che fa paura nasconde mistero, e io sono una bambina dalla spiccata curiosità. Mi faccio coraggio stringendo i pugni, e piano, un passo alla volta, salgo la scala che porta dal corridoio alla soffitta. Penso che con me ci sia zia Ortensia, come tutte le altre volte in cui sono salita in soffitta, e questo mi fa coraggio. Le parlo anche, anche se so che non mi sente, perché lei non è veramente con me: «Zia, cosa cerchi oggi? Posso vedere se c'è qualcosa che mi interessa, magari nel grande armadio che non apriamo quasi mai? Magari ci trovo un set da disegno completo, o dei palloncini sgonfi che poi posso divertirmi a gonfiare con le gemelle. O, ancora, potrei trovare qualcosa di magnificamente bello, come una grossa tanica di vernice arcobaleno. Mi piacciono gli arcobaleni, sai zia? Perché mi piacciono i colori.» 

La mia voce è eccitata, sputo fuori una parola dietro l'altra, e ciò mi fa aumentare il passo al ritmo delle mie stesse parole. In breve tempo sto aprendo la porta della soffitta. 

Ho aperto la porta della soffitta, e una ragnatela mi cade addosso. Urlacchio, perché non me lo aspettavo, ma poi rido. Non me la tolgo di dosso, perché poi la metterò nel mio album, e invece mi chiedo se è una ragnatela di polvere o se è una ragnatela di ragno. O forse è una ragnatela di ragno che il ragno proprietario ha abbandonato, e quindi è rimasta lì appesa a prendere polvere, e ora è una ragnatela di ragno piena di polvere. Mi dico che devo farla vedere a Pervinca, il mio album sulle ragnatele, quando l'avrò finito. So che le piacerà, perché lei ha un ragno che si chiama Rex.

Comunque, mi guardo intorno, come tutte le volte. Ma questa volta il mio obiettivo è il grande armadio di legno scuro – è di mogano, è ovvio che sia scuro – dall'altra parte della stanza. Sono proprio sotto il grande armadio, e mi rendo conto che è veramente molto grande. Ci potrebbero essere tante Flox di otto anni lì dentro, che appena apro l'armadio saltano fuori in tanti saltelli, contando e cantando i cento colori della professoressa Lilliflora. Adesso che ci penso bene, però, non vorrei che altre Flox uscissero dall'armadio. Quindi ci penso un minuto buono prima di aprirlo, ma poi lo apro, perché è per lui che sono venuta. 

Apro la prima anta, e mi basta per vedere che dentro ci sono solo tante pellicce. Ma armadi antichi come questo hanno sempre dei cassetti segreti, così mi arrampico dentro. Gattono sulla superficie legnosa fin quando non incontro una corda. È bianca come la vaniglia, è corta, ma me la metto in tasca: non si sa mai che mi potrebbe servire in qualche modo, in uno dei miei lavoretti di arte. Poco più avanti c'è una pallina di gomma carminio. La prendo, e me la metto in tasca. Io dico che ci posso giocare, con una pallina di gomma. Ci sono tanti giochi che si possono fare e inventare con una pallina di gomma color carminio. E poi vedo una luce bianca, accecante e proprio bianca, e penso che è il paradiso, anche se non sono morta e non dovrei vedere nessuna luce bianca, accecante e al contempo bellissima. Mi incuriosisce, quindi mi avvicino. Scopro di affacciarmi ad una finestra che dà su un paesaggio innevato. Mi dico che è strano, perché non ho mai visto la neve in piena estate, ma non mi pongo così tante domande. Mi tiro su, in piedi, e recupero con un po' di fatica una pelliccia – perché l'armadio è molto alto anche se ci sono dentro e io sono piccolina, e perché le pellicce, mi rendo conto, sono pesanti. È il triplo di me, quella pelliccia beige, ma me la infilo lo stesso: associo la neve al freddo, e quindi penso che se esco dalla finestra faccia freddo.

Quando metto le scarpe fuori, toccano la neve e mi guardo intorno, scopro che è come se fossi uscita da un lampione. Sono in un bosco ed è tutto così silenzioso. Nevica. È buio e nevica. E c'è un sentiero. Sono spaventata, ma anche curiosa, e così mi spingo piano piano lungo il sentiero. Mi dico che se qualcosa non va, tornerò subito indietro, e cercherò di entrare di nuovo dentro il lampione, e così sarò di nuovo nell'armadio, e quindi uscirò dall'armadio, e sarò di nuovo a casa. Faccio i primi passi lungo il sentiero, che sento uno scalpiccio: qualcuno sta venendo dalla mia parte. Noto, dalla figura in avvicinamento, che è più alto di me, ma di poco, che cammina in modo buffo, quasi saltellando. E quando si avvicina, noto che le sue gambe sono pelose e che terminano con una grossa unghia... uno zoccolo. Porta un maglione arancione a maniche lunghe, e una sciarpa blu arrotolata attorno al collo. E sulla testa ha due piccole corna arrotolate nei capelli ricci e scuri. Non riesco a capire di che creatura si tratti, ma lo saluto: «Buonasera.»

Lui è sorpreso, ma ricambia il mio saluto. «Buonasera, fanciulla.»

«Mi chiamo Flox» mi presento.

«Lietissimo di fare la tua conoscenza, Flox. Io sono Momus.»

Nello stesso momento in cui lui si presenta, capisco che mi trovo davanti ad un satiro. Lo so perché ricordo la figura di un libro che mi ha prestato zia Ortensia.

«Felice di conoscerti, Momus» gli sorrido.

«Posso offrirti una cioccolata calda? Qui fuori fa freddo, non trovi?»

Annuisco, e al pensiero di una buona, calda, cioccolata fumante mi viene l'acquolina in bocca. «Ne sarei offesa se non lo facessi.»

E così Momus mi fa strada verso casa sua, che si rivela essere all'interno di un albero ed è più grande di come mi aspettassi fosse l'interno di un albero. Mi fa accomodare su un morbido divano verde come il prato primaverile, puntellato degli stessi fiori che troverei se mi incamminassi in un prato in primavera.

«Hai una casina carina, Momus» gli dico, mentre mi guardo intorno. Non riesco a fermarmi su un oggetto in particolare che già il mio sguardo cade sull'oggetto successivo.

«Grazie, gentile Flox» questa volta è lui a sorridermi, mentre si avvicina ai fornelli per preparare la cioccolata. «Ma, carissima la mia piccola ospite, come sei arrivata fin qui?»

La domanda non mi sorprende, perché mi ha sorpreso il fatto di essermi trovata in un bosco semplicemente passando per un armadio che diventa un lampione. E gli racconto di come sono arrivata lì. Lui mi dice solo che capisce, ma io non capisco. E glielo sto per chiedere, che non capisco cosa lui capisce, quando lui porta a tavola due tazze fumanti di cioccolata calda e densa e dolce dicendo: «Godiamoci la cioccolata!» e mi racconta storie buffe mentre io sorseggio il mio liquido marrone e denso e dolce e fumante perché caldo. E anche se ho finito la mia cioccolata, mi tengo la tazza stretta fra le mani, ascoltando le storie che il satiro Momus ha da raccontarmi, fin quando non è lui a rompere il gioco delle storie con un: «Oh, caspita, è tardi, tardissimo!» e mi dice che è meglio se mi riaccompagna verso il lampione.

Prima di salutarmi, mi fa promettere che non dirò mai niente a nessuno di averlo trovato, e mi fa promettere anche che non cercherò mai più di tornare qui, in questo posto, e mi dice che, un giorno, Momus ed io ci rivedremo, ma che fino a quel giorno devo vivere la mia vita come ciò che è avvenuto oggi fosse stato uno splendido sogno. E anche se io non capisco, prometto. E ci credo davvero, che è stato tutto uno splendido sogno.  

Una mirabolante fantastica scopertaWhere stories live. Discover now