Prologo. L'Argo II

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Prologo. L'Argo II.

Somigliava alla versione sudamericana di un elfo di Babbo Natale, con i capelli ricci e neri, le orecchie a punta e una faccia allegra da monello [1]. Quello era Leo Valdez. In realtà era di Houston, Texas, ma del texano non aveva granché. A meno che non fosse caratteristica comune dei texani avere cinture magiche da meccanico, amici draghi di bronzo e mani in fiamme. Letteralmente in fiamme. Perché essere figlio di Efesto, dio del fuoco, a quanto sembrava non era abbastanza per decostruire tutte le relazioni sociali possibilmente instaurabili da un adolescente, nossignori! Per essere completamente emarginato serviva qualcosa di più, una chicca, una vera e propria ciliegina sulla torta. E la ciliegina di Leo era la rara capacità di creare il fuoco dal nulla. Anche quando non voleva. Anche quando era la cosa meno opportuna da fare sul momento. Era come avere una miccia perennemente accesa tra le dita. Non poteva avere la straordinaria capacità di creare coriandoli o Kellogg's Coco Pops - no! Leo doveva essere una griglia da barbecue vivente. E gli era bastato poco per capire che se mai qualche ragazza gli avesse detto che era un tipo hot, sarebbe stato da intendersi in senso letterale. Forse era per questo suo lato, emh, caliente che la sua cotta per Chione, la dea della neve, non era bastata a sciogliere il cuore di ghiaccio della ragazza in questione. Perché anche lì si trattava di ghiaccio letterale e non metaforico. Quindi con Chione era finita ancora prima di iniziare per uhm, incompatibilità divine. Nel panorama degli dei dell'antica Grecia tutti prendevano tutto così alla lettera che Leo da quando il suo amico Jason gli aveva suggerito di pensare due volte pensava veramente due volte. I suoi pensieri erano dotati di delay, come i suoni di una chitarra elettrica. "Devo chiedere questa cosa a Piper 1", elaborava il suo cervello, e poi: "Devo chiedere questa cosa a Piper 2". Era come vedere un film ed il suo sequel tutti in una volta. Leo era convinto che prima o poi gli sarebbero uscite fiamme anche dalle orecchie. E anche se il Bunker 9 a suo dire era un bel posto per morire carbonizzato, Leo avrebbe di gran lunga preferito vivere.

Il Bunker 9, nonostante il nome inquietante, era effettivamente un rifugio fantastico per chi come Leo pensava esclusivamente in termini meccanici. A parte lo stendardo logoro con su scritto a caratteri cubitali BUNKER NOVE, c'erano macchinari giganteschi addossati alle pareti, banconi da lavoro affollati da viti e bulloni di ogni forma e dimensione, vecchie mappe logore sparpagliate dappertutto come carta straccia e schemi elaborati con le intuizioni più moderne. E poi c'era la testa di Festo. Certo, non era più malconcia e annerita come subito dopo lo schianto a Omaha, ma era pur sempre priva di corpo. E priva di vita. Ogni volta che Leo spostava distrattamente lo sguardo in quella direzione gli veniva l'amaro in bocca. Era stato suo padre, Efesto, a riportargli la testa del drago di bronzo. Leo aveva capito subito che non c'era niente da fare. Era un bravo meccanico, certo, per di più era un semidio... Ma c'erano guasti irreparabili contro i quali nemmeno il sangue divino poteva qualcosa. Le meccaniche della vita, Leo stava cominciando a capirlo, erano più complicate del previsto. Avrebbe tanto voluto trovare nella sua cintuara magica tutto il necessario per poterle affrontare. Ma temeva non fosse possibile. Come non era stato possibile impedire a Era di togliere la memoria a Jason, scambiarlo con quel famoso Percy Jackson e spedirlo nel Campo Mezzosangue con il rischio di farlo trucidare. Fortuna che i semidei greci erano gente apposto. Se non si teneva in considerazione la casata di Ares.

Leo passava la maggior parte del suo tempo chiuso dentro il Bunker 9 per colpa di un disegno che aveva fatto quando aveva cinque anni. Detto così, sarebbe sembrato assurdo. E lo era davvero. Il piccolo e geniale Leo Valdez, alla stessa età in cui Mozart scriveva composizioni che sarebbero passate alla storia, aveva disegnato con i suoi meravigliosi e comunissimi pastelli una meravigliosa e comunissima barca. Quando aveva messo piede per la prima volta nel Bunker 9, quella stessa identica barca era rappresentata su un progetto steso per bene e appeso sulla bacheca sopra il principale bancone da lavoro. E non era una barca. Era una trireme greca volante. Sulla prua, era ben visibile nel progetto, svettava trionfante la testa di un drago di bronzo. Ed era per quello che Leo aveva tirato a lucido ciò che restava del suo amico Festo. Il suo destino era costruire quella trireme per intraprendere un folle viaggio dall'altra parte del mondo per affrontare Porfirio, il re dei giganti. E per fermare Gea, la Madre Terra intenzionata a distruggere il monte Olimpo, quello vero e non quello di Manhattan, e poi il mondo intero. Questo almeno era quello che diceva la profezia di Rachel, l'Oracolo di Delfi - in realtà una rossa niente male. E se proprio Leo doveva fare una cosa tanto assurda come il giro suicida del mondo su una nave volante, come minimo si sarebbe portato appresso Festo.

Le cose quindi erano andate così. Leo aveva parlato con Chirone, con i suoi amici e tutti i ragazzi del campo. Avrebbe costruito quella nave. Balista rotante, balestre, cromatura in bronzo celeste... Sarebbe stata la macchina da guerra più figa della storia umana e divina: l'Argo II. In onore della prima Argo, quella di Giasone e dei suoi Argonauti. La scadenza per la costruzione era stata fissata in sei mesi, entro il solstizio d'estate. Dal momento che era chiaro a tutti che Leo era l'unico in grado di compiere l'impresa, i suoi fratelli divini della casa di Efesto lo avevano nominato capogruppo. Era chiaro a tutti tranne che a Leo stesso. Nonostante l'entusiasmo di un progetto così fantastico, Leo non credeva fosse una buona idea avere sulle spalle una responsabilità tanto grande. Se lui avesse fallito, la serie di conseguenze che ne sarebbe derivata avrebbe portato alla distruzione del mondo. Non era come decidere con coscienza di non studiare per il compito di biologia. Era qualcosa di molto più terrificante.

Doveva dire però che l'aiuto non gli mancava. I componenti della casa di Efesto si erano dati da fare dal primo momento per iniziare e completare il prima possibile l'Argo II. Nyssa, Jake Mason, Shane, Harley, Christopher... Tutti si erano impegnati e avevano dato il proprio contributo all'impresa. E l'Argo II prendeva forma. Mentre Annabeth assillava Leo praticamente 24 ore su 24 per accelerare i lavori, la trireme cresceva. Il fatto era che la certezza di trovare quel famoso Percy nel Campo Giove aveva praticamente fatto perdere il cervello alla figlia di Atena. E Leo sentiva una strana oppressione al petto quando incontrava gli occhi grigi di Annabeth. Ovviamente anche lei si era messa a lavorare all'Argo II, ma non era un granché nelle attività meccaniche. Però come deterrente per le distrazioni sul lavoro funzionava. Appena qualcuno alzava la testa dal bronzo celeste al quale stava lavorando, Annabeth se lo mangiava con gli occhi. Era anche grazie a quelle occhiate fulminanti che il progetto stava andando avanti a gonfie vele. O almeno questo era quello che tutti credevano.

Leo non ne aveva parlato con nessuno, perché non voleva rovinare la meravigliosa atmosfera e l'entusiasmo che aleggiava intorno alla costruzione della nave. Ma quando l'Argo II sarebbe stato completato si sarebbe messo in moto solo ad una condizione. Era stato Efesto a parlarne a Leo di persona. ― Un cuore, figliolo ― gli aveva detto il dio. ― Sai bene che ogni cosa che si muove ha un cuore ― E neanche a dirlo, Efesto subito dopo aveva specificato che il cuore che avrebbe messo in moto l'Argo II sarebbe stato quello di Leo. Ma grazie agli dei, per una volta, non si trattava di una questione letterale. ― Non devi strappartelo dal petto ― aveva detto Efesto. ― Devi solo consacrarlo alla nave, come se fosse il più grande amore della tua vita ― E a Leo la cosa aveva ricordato tanto quella storia del capitano del Titanic che affonda con il Titanic. Gli sembrava così eroico come gesto che se avesse potuto imitarlo l'avrebbe fatto. In più stava mettendo veramente l'anima nella costruzione dell'Argo II, e quella nave era quanto di più straordinario le sue mani da meccanico avessero mai creato. Se avesse potuto dare anche il suo cuore a quella trireme, glielo avrebbe dato. Ed era per questo che aveva un grande problema, un enorme problema, il problema dei problemi, la summa maxima dei problemi: Leo Valdez era innamorato. E non della sua nave, ma di una ragazza. Per dare il proprio cuore all'Argo II, avrebbe dovuto davvero strapparselo dal petto.

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[1] L'eroe perduto, Rick Riordan, Mondadori Editore

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N.d.A.: Inizia una nuova avventura, piccoli semidei! Spero vi appassioni come "Annabeth Chase e il flagello di Ade". Però per non annoiarvi ho deciso di non risultare ripetitiva. Perciò stavolta niente profezie e niente flagelli divini! In ogni caso, non mancheranno azione e colpi di scena! La vicenda di questa fan fiction si colloca tra L'eroe perduto e Il figlio di Nettuno, primo e secondo libro della serie Gli eroi dell'Olimpo. Non mi resta che augurarvi buona lettura e... che zio Rick mi perdoni anche stavolta! XD

Cuore a motoreWhere stories live. Discover now