Semilascinonvale - Parte 1

156 6 0
                                    


Le triglie le ho odiate da quella volta che a mia madre era rimasta una lisca in gola. Sin dallo svezzamento mi aveva ingozzato di merluzzi bolliti o fritti, perché le piacevano molto e perché il pesce fa bene. Ne preparava uno grosso, poi lo spellava, staccava la carne dalla spina dorsale e la ispezionava, perché fosse libera da pericolose impurità. Con le dita ne faceva una poltiglia bianca e cremosa, che poi mi spingeva in bocca, amorevole.

Detestavo il sapore del pesce e non mi piaceva neanche che mi si infilasse in bocca una polpetta fatta con le mani sul momento, ma ancora non lo sapevo.

I bambini le cose non le sanno, le apprendono vivendole per la prima volta. O per le prime volte. E per le prime volte è tutto normale: avviene, è possibile dunque è. E va bene.

Poi però inizia il disagio rimasto latente, viene fuori inaspettato, sotto forma di mal di pancia, e io di mal di pancia, qualche anno più tardi, ne ho avuti tanti.

Quand'ero bambina, ma anche dopo, da adolescente, si correva spesso al pronto soccorso e con una facilità che solo dopo anni sono riuscita a definire come patologica, anormale. Uno sbalzo di pressione, un capogiro, un mal di pancia, e si correva a far la fila al San Giovanni di Dio. Non esisteva ancora il Triage, dunque entravamo in ordine di arrivo. Il sabato sera era molto affollato, ma durante la settimana si faceva presto. C'era sempre una flebo di mezzo, e mille preghiere di aver fatta una TAC o un'ecografia, solitamente inutili per inconsistenza di prove che facessero pensare il contrario. Stavolta il motivo c'era: mia madre, mangiando del pesce, non ne aveva ispezionato le carni come faceva sistematicamente con me, e aveva ingoiato una sciabola di una decina di centimetri. Quando andavamo in ospedale, per un motivo o per un altro, io assistevo sempre alle visite dei medici e ascoltavo i loro discorsi sul nulla, riguardo alla sua salute, che si traducevano spesso in: nervosismo. Quella volta della lisca però il nervosismo c'entrava ben poco. Il dottore aveva preso una lunga pinza e gliel'aveva ficcata in gola, causandole diversi conati di vomito, finiti i quali era riuscito ad estrarre la lisca, liberandole la trachea. Quand'è così, si consiglia di mangiare la mollica del pane, che è morbida e spinge giù, ma la spina le si era bloccata in gola orizzontalmente, come il piolo di una scala, e il pane non aveva risolto nulla.

Avevo sui tre anni, non ricordo, e mi era sembrato tutto normale. Avevo solo provato fastidio per le urla di mamma, in un misto di compassione e desiderio che smettesse subito.

Questa sensazione, di desiderare il silenzio, non me la sono più scrollata di dosso, e adesso che l'ho conquistato, lo difendo come una coppa, un premio meritato per aver sopportato troppe parole.

A casa di un dottore amico di famiglia, c'era un quadro di Guttuso. Un vero Guttuso, che sovrastava una pila di La repubblica poggiata sul pavimento. Ritraeva dei carusi in un vicolo, che si facevano la guerra con le pietre o giocavano a nascondino, mi pare. Uno di loro aveva dei calzoncini gialli corti e una maglia grigia a maniche lunghe sopra; aveva una gamba piegata in avanti e una stesa dietro, scelta anatomica che rendeva perfettamente l'idea di un lancio imminente. Era fermo eppure in movimento, pronto ad esplodere con rabbia o divertente crudeltà verso un compagno di giochi; un'energia potenziale che mi attraeva e nella quale mi riconoscevo totalmente: ero io quel bambino pronto a scoppiare. E' uno dei miei primi ricordi, avrò avuto quattro anni, e la sera a casa, col ciuccio ancora in bocca, avevo tirato fuori dall'armadio invernale un golfino di lana pesante grigio, per poterlo indossare. Era l'inizio dell'estate e, quando mia madre ebbe il suo primo vero memorabile attacco di panico, lo indossai senza pensarci due volte, mettendoci sotto dei ciclisti al ginocchio giallo canarino. Nessuno si accorse di com'ero vestita, nella corsa numero mille al Pronto Soccorso. Solo dopo ci fecero caso, quando arrivammo e ci indirizzarono nel reparto nella cui sala d'attesa avrei imparato le tabelline, la narrativa, e che i pazzi sono solo gente stanca, che nessuno ha saputo ascoltare fino in fondo.

Adesso che sto per diventare madre, continuo a chiedermi insistentemente come sarò con mio figlio. Riesco a rispondermi solo con una lista di cose che vorrò risparmiargli.  

Ai ajuns la finalul capitolelor publicate.

⏰ Ultima actualizare: Aug 15, 2018 ⏰

Adaugă această povestire la Biblioteca ta pentru a primi notificări despre capitolele noi!

SemilascinonvaleUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum