Capitolo 7 - Incontri in carrozza

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Aprile, 1780

Verseshire house, Rutland

Passò una settimana e nostro padre non sembrava migliorare: era ancora pallido e debole tanto da non riuscire ad alzarsi dal letto. Ero preoccupata e, seppur avessi il desiderio di andare a trovarlo, il raggiro di cui si era fatto complice mi tornava sempre in mente e con esso anche la rabbia che mi impediva di recarmi da lui.

Provavo a distrarmi da quel sentimento di angoscia e tradimento tenendomi occupata in ogni mansione: passeggiavo, ricamavo per gli orfani di Mahoran, leggevo e a volte mi dedicavo alla tenuta. Per lo meno quando mastro John non era presente perché non voleva angustiarmi, come diceva lui, con queste preoccupazioni.

Anche il tempo non era clemente, pioveva molto spesso e le giornate di sole erano sempre più rare e con esse anche le mie amate cavalcate. Desideravo così tanto rivivere quella sensazione di libertà e di benessere che mi prendeva quando galoppavo tra i campi e tra i boschi della proprietà, il vento tra i capelli e il brivido di eccitazione che faceva accelerare i battiti del mio cuore. A volte ero tentata di uscire anche se fuori tempestava o pioveva talmente forte da non vedere l'orizzonte, ma poi tornavo a ragionare e mi dicevo che l'essere immobilizzata a letto per giorni e giorni non era una bella prospettiva. La vita al castello era divenuta dunque monotona.

"Di certo gli unici che non mi mancheranno sono i Dowen". Dopo quella sera erano tornati a Londra e non si erano più visti.

Dana quel pomeriggio entrò nel salone della caccia dove ero presa nel ricamare spighe di grano intrecciate su una camiciola. Quel giorno, infatti, il tempo non prometteva nulla di buono con il vento gelido che soffiava per il paesino.

«Preparati che usciamo, sorella. Faylin ci attende» disse chiudendosi il mantello pesante.

«La guaritrice?»

«Chi meglio di lei può illuminarci su Enrichetta e il bambino?»

Mi ritrovai ad abbracciarla.

Avevo dimenticato cosa significasse averla accanto.

"Averla qui vicino è un po' come tornare ai vecchi tempi."

Eravamo cresciute insieme, così affiatate e libere, ma poi fu chiamata a corte ed io rimasi sola, senza una vera e sincera confidente. Le scrissi parecchie lettere, soprattutto durante l'infatuazione per il capitano, che però non inviai mai per timore di essere fraintesa o di darle noia; la corte, per una bambina di undici anni, era un luogo sfarzoso e irraggiungibile.

Uscimmo nel cortile principale dove trovammo già la carrozza. Accettai il gomito del lacchè che mi aiutò a salire. Partimmo e, oltrepassati gli imponenti cancelli di ferro, voltammo a sinistra per raggiungere le mura cittadine. Oltrepassammo la fila di case del centro, la fontana, e uscimmo verso l'aperta campagna. Le colture stavano maturando ed erano una gioia agli occhi, se solo il tempo non mutasse così rapidamente.

Dana diede voce ai miei pensieri. «Questo gelo non giova al raccolto.»

Giunti presso il grande salice, alla curva nord tra Mahoran e Ashwell, lasciammo la strada principale e percorremmo un sentiero di ghiaia che si inerpicava su una piccola collina di erba verde. Al di là, racchiusa da una bassa recinzione a secco che lo proteggeva, vi era il cottage di Faylin.

La donna stava seduta su un tronco, proprio davanti all'uscio aperto, come se ci aspettasse. Era avvolta da uno scialle scuro, fatto a maglia, e i lunghi capelli lisci chiusi in una crocchia scomposta. Il viso pallido era spesso illuminato da un sorriso gentile.

Scendemmo dalla carrozza e ci venne incontro.

«Care le mie bambine! Ho riconosciuto il vostro stemma.»

Intrigo a CorteWhere stories live. Discover now