Capitolo 9 - Libertà-2 parte

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Non fu la luce del mattino a svegliarmi, né il suono degli uccelli o il freddo pungente di un ambiente umido e privo di calore. No. Furono dei rumori provenienti dal cortile, oltre la finestra, come di zoccoli prima e di metallo contro metallo poi.

Un forte boato mi fece saltare sul letto e, subito dopo, Dana venne gettata di malomodo all'interno della stanza seguita da Frederick e Duncan.

«Che succede?» domandai.

«Hanno abbattuto il portone centrale» rispose il barbuto, controllando che le imposte della finestra fossero ben chiuse.

«Non ci caleremo dabbasso» ironizzai.

«Silenzio» ordinò Frederick. Prese posto sulla sedia da pranzo e tolse la spada dal fodero per posarla sul tavolo. «Duncan vai a controllare la situazione. Io sto qui. Se passi per le cucine portami qualcosa da mettere sotto i denti.»

Il clangore delle spade che si scontravano si stava facendo sempre più vicino, mescolandosi alle urla di incoraggiamento degli uomini. Tra quel baccano udii varie volte urlare il nostro nome. "Kendall? Possibile che...?"

Una nuova speranza crebbe dentro di me poiché ero certa che se il capitano fosse realmente libero ci avrebbe cercato ovunque.

Afferrai la mano di mia sorella, stringendola forte per richiamare la sua attenzione. Guardai la porta, poi lei. Lo ripetei di nuovo finché ella non mosse leggermente la testa per farmi comprendere.

Quando Duncan tornò riferì al fratello come procedeva la battaglia. «Stanno salendo.»

«E il mio cibo?» rispose l'altro.

«Hanno preso le cucine e tutti i servitori.»

I due uomini erano così impegnati a discutere tra loro che ci avevano levato gli occhi di dosso. Ecco il nostro momento. Alzammo le gonne e ci fiondammo sulla porta lasciata aperta, ma non fummo silenziose e neppure troppo veloci poiché ci ripresero subito.

«Dannazione. Sedetevi. Subito» ordinò Frederick.

Questa volta sentimmo chiaramente due spade scontrarsi proprio nel corridoio adiacente. Frederick si alzò immediatamente e si affacciò. «Denis!»

Un energumeno grosso e barbuto entrò nella stanza, riempiendola completamente.

«Stai qui con le prigioniere. Se necessario, legale» disse, prendendo la spada dal tavolo e precipitandosi fuori.

Io e Dana eravamo immobili, paralizzate dalla paura. L'alcova del baldacchino fungeva come una bolla da dove udivamo il rumore delle spade che si scontravano come fossimo lontane e le urla dei soldati che si incoraggiavano tra loro o le loro grida sofferenti.

Mi parve persino di vedere la porta aprirsi senza avvertire alcun rumore, e una luce azzurrina balenare alle spalle di Denis.

«Le ho trovate!» esclamò una voce familiare.

Quando misi a fuoco l'uomo, sentii lacrime agli occhi dalla felicità. Avevo cercato di mostrarmi coraggiosa, con successo fino a quel momento, ma ora mi sentivo tremante.

Denis si fiondò su Kendall con la spada sguainata ma era pronto e ricambiò con prontezza all'attacco. Nella stanza fu un susseguirsi di clangori metallici e scintille che scaturivano da ogni colpo ben assestato. In breve tempo il duello cessò, l'energumeno non poteva competere con l'agilità e la determinazione di Kendall e così finì legato e imbavagliato.

Rumori di stivali alla porta mi fecero rabbrividire ancora ma, con sgomento e incredulità, osservai i soldati di mio padre fare capolino.

Gli occhi del capitano incontrarono i miei e pensai che dovessi sembrargli una pazza. Avevo occhi sgranati, la bocca lievemente aperta e non riuscivo a muovere nemmeno una parte del corpo. Solo gli occhi avevano la forza di muoversi e passarono in rassegna il suo corpo ferito. Aveva tagli su braccia e gambe, botte violacee sul viso sporco ma nonostante questo sembrava essere un eroe, un baluardo di forza e determinazione, e il mio cuore si riempì di gratitudine.

«Milady, vi riportiamo a casa.» mormorò a poche spanne da me.

Con un gesto lento, m'invitò ad afferrare la sua mano. Nel momento in cui la presi e sentii il suo calore mi convinsi che tutto era finito.

«Siamo...siamo libere ora?» mormorò Dana, cercando di alzandosi.

Ad un cenno del loro capitano, alcuni soldati si fecero avanti e ci affiancarono per aiutarci ad uscire. Le loro torce illuminavano lo stretto corridoio buio e umido e inizialmente le benedii. Non durò molto.

Scendemmo al piano di sotto, verso il salone d'ingresso, e nascosi il singulto che mi stava per uscire dalle labbra alla vista di quei corpi distesi a terra, in modo scomposto, insanguinati e mutilati.

Voltai la testa verso il portone principale e notai come la stanza fosse un turbinio di colori: azzurro, oro e cremisi.

«A chi apparteranno quei blasoni?» chiesi indicando un soldato dalla divisa color rosso.

«Al tuo futuro marito» rispose mia sorella.

Notai come Kendall, passando accanto ad un uomo con una fascia dorata al braccio mostrò i suoi saluti chinando il capo. «Capitano Schinter.»

Uscimmo nel cortile e mi riparai gli occhi dalla luce folgorante del giorno.

Sentii Dana esclamare con sollievo: «Li avete presi!»

Con un occhio aperto ed uno chiuso vidi i tre McGregor addossati alla parete della loro residenza. Il viso era rivolto al muro e le mani erano state legate dietro la schiena. Non ci potevano vedere ma noi sì.

La testa rasata di Frederick mostrava dei tagli profondi, la massa di capelli di Duncan era del tutto scomposta e sembrava mancargli delle ciocche. Anche Herbert mostrava le braccia ferite e i calzoni strappati alla coscia.

Il capitano fece una smorfia: «Sfortunatamente il capofamiglia non si trova.»

«Dove li porterete ora?» chiese Dana, voltando lo sguardo verso la carrozza in arrivo.

«Il capitano Schinter li porterà a Dowen House. Altro non so.»

Come mosso da una forza celeste, Herbert incontrò il mio sguardo e non potei che implorare Kendall di essere gentili con lui. «Vi chiedo di intercedere, capitano. Lui è diverso dal resto dei fratelli.»

Con la sua risposta affermativa, potemmo salire nell'abitacolo della vettura e, al sicuro dopo giorni di paura e timore per la nostra vita, potei finalmente rilassarmi. Sentii le spalle tornare leggere come se un peso si fosse sollevato, lo stomaco smettere di stringersi in una morsa e anche il respiro tornare normale. Anzi, sentii un leggero ma prolungato sospiro uscire dalle mie labbra semi aperte e mi ritrovai tremante.

«Prendi la coperta» mi sorrise Dana, porgendomela.

Mi ci rifugiai sotto e il calore mi cullò per il resto del viaggio.

Giunte a casa, la prima persona che vedemmo fu madama Anna che ci corse incontro e ci abbracciò forte.

«Siete salve! Siete salve!» singhiozzava la donna, tenendoci strette.

«Se non fosse stato per voi saremmo ancora nelle loro mani» le sussurrai.

«Dana! Amelie!» vidi mia madre correre verso di noi con l'abito che le svolazzava attorno. A mano a mano che si avvicinava notai come il viso fosse una maschera di lacrime come non le vedevo da anni, e ci abbracciò all'unisono.

«Benedetta Anne, benedetta! Non metterò più in dubbio la vostra parola, lo prometto.»

«Ho fatto preparare il tè nella stanza di vostro padre. Ne abbiamo bisogno tutti» disse nostra madre, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto lilla.  

Intrigo a CorteWhere stories live. Discover now