Capitolo 0

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La piccola stanza era illuminata da deboli raggi di sole che superavano quel grande ostacolo che erano le vecchie persiane malandate. Dalla luce venitasi a creare si potevano notare svariati libri sparsi per la stanza, alcuni sul pavimento, altri su delle mensole, alcuni sistemati in colonne ben ordinate ma polverose, altri sistemati in cataste disordinate ma ben pulite.

Si poteva notare un bel parquet, ormai rovinato dal tempo e da qualche stivale un po troppo pesante.

Si poteva notare una grossa scrivania in legno di quercia con sopra strumenti scientifici di ogni tipo, da microscopi, a provette, a grossi distillatori fumanti.

Uno di questi deboli raggi di sole, nel suo invevitabile percorso, incontrava un occhio; l'occhio di Jackson, che, dopo qualche minuto colpito da quel debole raggio di sole decise ad aprirsi.

Come ogni giorno la sua sveglia naturale lo fece alzare dal letto, in quel periodo tra le 7:00 e le 7:30 del mattino.

Una volta in piedi accese la piccola lampadina appesa al muro tirando la fragile cordicina che ci penzolava; la luce era flebile, ma il necessario per vedere quello che gli serviva.

Lanció il suo logoro pigiama nel cesto della biancheria, si infiló una maglietta bianca bucata, dei semplici pantaloncini anch'essi bianchi e prese il suo vecchio mp3 collegato a delle cuffie, se le mise alle orecchie, fece partire la sua playlist di musica classica e uscí dalla stanza.

La musica era una delle poche cose al mondo che riuscivano a rilassarlo.

Uscí dalla camera; il soppalco era illuminato dall'alba attraverso la grande vetrata variopinta della grande sala, che, attualmente, era ben lungi da quel che si puó definire ordinata.

Era presente una vastitá di casse e mobili rotti e strapieni di robaccia, stava facendo ordine; avrebbe utilizzato tale materiale come combustibile, ma attualmente se ne stava tutto lí, in attesa di una sistemazione adeguata.

Era un vero peccato, quella casa nei suoi tempi migliori era stata una lussuosissima villa completa di quadri, tappetti e svariate rifiniture o accessori costosi quali candelabri o capitelli d'orati; tutto rubato, purtoppo.

Scese le scricchiolanti scale e si diresse a passo spedito in cucina evitando con disinvoltura gli ostacoli.

Arrivato in cucina aprí il figro, prese della frutta fresca e la infiló nel frullatore, poi aprí svariati barattoli conteneti diverse sostanze simili a zolette di zucchero, le inserí, e lo avvió; mentre il composto si preparava Jackson inizió a fare esercizi; piegamenti, addominali, solevamenti e anche un po' di corsa sul tapis roulant posizionato lí appositamente nella grande cucina.

Dopo 15 minuti di allenamento la colazione era pronta, estrasse il bicchiere dal frullatore e lo bevette tutto d'un sorso; il sapore non era buono, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.

Uscí dalla cucina e tornó nella sala per dirigersi verso il bagno, il piú piccolo della struttura; si spoglió velocemente, attaccó l'mp3 alle casse stereo e entró in doccia.

L'acqua era un altra tra le poche cose al mondo che riuscivano a rilassarlo, calda e cullante, come l'abbraccio di una madre o le carezze di un'amante, ci stava solo per pochi minuti, ma riusciva a immergerlo in una vortice di pensieri puri e strutturati in maniera talmente complessa, che anche se erano riguardanti la brodaglia che beveva a colazione, riusciva a trarne qualcosa di poetico.

Purtoppo per quei tempi, l'acqua, era una risorsa limitata.

Dopo la veloce doccia ristoratrice si vestí con la sua solita tuta nera tecnica, adatta allo scafandro che doveva indossare per lavorare.

Era una tuta nera che comprendeva anche piedi e mani, simile ad una muta, prodotto in un materiale tecnico estremamente traspirante, termico e idrorepellente; era inoltre provvisto di attacchi magnetici sul punto delle giunture del corpo, quali ginocchia, spalle, gomiti; uno molto grosso a livello dello sterno e molti, ma piú piccoli, nel percorso di tutta la colonna vertebrale. Il risultato era un abbigliamento molto protettivo, leggero e comodo, normalmente lo teneva anche in casa, era anche molto semplice da lavare.

Fatto ció, spense l'mp3 e si diresse verso l'uscita dell'abitazione, aprí la grossa porta a doppia anta ed entró nella fredda e metallica anticamera.

Inizió a indossare il giá mezionato grosso scafandro; una grossa tuta metalica divisa in piú parti, da assemblare ogni volta sul proprio corpo con l'ausilio degli attacchi magnetici.

Collegó ogni pezzo accuratamente, depresurizó i vari pezzi in modo che facessero perfettamente contatto con il proprio corpo, utilizzando una piccola pompa idraulica, indossó la maschera antigas formata da pezzi plastici, gommosi e metalici combinati tra loro con due buchi adibiti ai tubi per l'ossigeno e un visiera integrale in vetro che forniva un ottima visuale esterna, anch'essa ben agganciata.

Tiró su da terra la vecchia bombola gialla dell'ossigeno e se la mise sulle spalle come zaino, collegó i vari tubi e dopo qualche rapido test di collaudo era pronto.

Ora era di sicuro molto meno agile e leggero.

Abbassó una pesante leva che chiuse ermeticamente le guarnizioni della porta dietro di se; con un sordo *clock* ebbe la conferma che il blocco ermetico era chiuso.

Si giró dalla parte opposta verso la porticina metallica dell'anticamera; presse un grosso bottone verde e attese a braccia alzate; dopo 4 ticchiettii di timer, degli erogatori posti in tutta la stanzetta spruzzarono una miscela gassosa che si depositó sulla tuta e, in meno di 2 secondi, evaporó.

Quindi si avvicinó alla fatidica porticina; alzó una grossa leva uguale a quella posta di fianco alla porta d'entrata della casa.

Dopo un sonoro tonfo provocato dal movimento verticale della leva la porticina metallica inizió a sfiatare facendo entrare l'aria esterna; una forte luce colpí Jackson che alzó il braccio per non accecarsi.

A passi lenti e pesanti uscí dalla stanzetta; sentiva benissimo il suo respiro mentre il mondo intorno a se sembrava distante, distaccato; malgrado ció si fermó su quel remoto altopiano come ogni mattino per qualche minuto; a osservare il paesaggio.

Ogni giorni ammirare quel paesaggio lo riempiva di stupore.

Vedeva distese di verde fin dove l'occhio poteva arrivare, che, insieme a boschi e colline, grazie alla leggera brezza mattutina, davano l'illusione dell'impetuoso movimento che era la vita.

Maestose montagne lontane troneggiavano su quell'incredibile paesaggio; mentre in basso i fiumicciattoli correvano spediti, piú veloci di una mandria di cavalli verso quella mastodotica distesa blu che era il mare; quello stesso mare che aveva un colore tanto limpido e chiaro che a tratti si confodeva con l'imponenza del cielo.

E lí, ovviamenre c'erano anche loro, quelle creature; alcune gigantesche come palazzi, che lentamente si muovevano mangiando interi alberi; altre piú piccole, come volpi, che furbe correvano dando la caccia a qualche piccolo animaletto e poi di colpo spiccavano il volo quasi come per magia.

Erano creature comparse durante l'Apocalisse.

Erano belle, donavano armonia al paesaggio; era come se fossero nate, con il solo scopo di dare completezza all'intero creato.

Chissá, magari avrebbero dovuto avere un nome, se lo sarebbero meritato; ma Jackson di sicuro non aveva il tempo di pensare a ció, e oltre a lui ormai, sulla terra, non c'era piú nessuno.


Fece un ultimo lungo compassionevole sospiro.

Si giró; e proseguendo a passi lenti e pesanti, si accinse a lavorare, nella piccola serra fredda e metallica.

Una solita mattinataWhere stories live. Discover now