Capitolo 1

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La peste era giunta a Wartstand in un gelido giorno d'inverno. Gli abitanti del villaggio non ne rimasero poi così sorpresi, considerando che la peste aveva già annientato villaggi poco distanti. Tutto ciò che si poteva fare era pregare, pregare per la propria anima e per quella dei propri cari, perché non risparmiava nessuno, la peste, e non faceva distinzioni fra la gente. Poveri, ricchi, buoni, codardi, bambini, uomini, donne... Prendeva tutti, senza uno schema, senza un ordine preciso. E tutto ciò faceva dannatamente paura. Vedevo morire le persone dinanzi ai miei occhi, una per una, come marionette. La cosa più difficile da sopportare non era la sofferenza che attanagliava i loro volti, ma la completa perdita di speranza. Non appena le madri vedevano i primi sintomi sui corpi dei loro figli si abbandonavano a un pianto senza fine, consapevoli che tra appena pochi giorni avrebbero dovuto seppellire i corpi emaciati dei loro bambini. I più piccoli erano i primi a morire. Il loro metabolismo giovane, ancora debole e in fase di sviluppo non riusciva a sostenere tutto quel male che la peste provocava. Alcuni genitori preferivano soffocarli nel sonno piuttosto che farli continuare a soffrire inutilmente. Lacrime di colpa bagnavano i loro volti ogni giorno. «Il mondo intero ha peccato e adesso nostro Signore vuole punirci tutti», diceva la gente. Probabilmente era vero. Un flagello simile, capace di sterminare intere città, non poteva che essere mandato da Dio. Eppure mi chiedevo perché mai Dio volesse far soffrire persone innocenti.

«Signora Altman» sussurrai alla donna che stava al capezzale di un bambino di sette anni. «A questo punto penso proprio che dovremmo incidere»

«Incidere?» esclamò lei, con il tono di voce spezzato. Rivolse lo sguardo verso la mia parte e mi guardò, terrorizzata. «Non si potrebbe aspettare, ancora un po'?»

«Aspettare non è una buona idea. Bisogna agire subito, mi capisce? È l'unica possibilità che il piccolo Albert ha per sopravvivere»

«Ma...»

«Charys» ci interruppe mio fratello.

Eldric se ne stava in disparte, attento a ogni mia mossa e ogni mia parola. Lasciò correre lo sguardo sul bimbo completamente madido di sudore e con il corpo coperto da bubboni. Sospirò e fece un passo verso di me, come rassegnato.

«Posso parlarti in privato?» mi chiese.

«Questo non è un buon momento»

«E invece lo è. Vieni, avanti»

Lanciai un'ultima occhiata alla signora Altman e mi scusai prima di seguire mio fratello nell'altra stanza. Era la camera da letto dei signori Altman, dalla mobilia spartana e di scarsa qualità. Una luce fioca penetrava nella stanza attraverso la finestra. Fuori cadeva la neve, silenziosa e spessa, e andava ricoprire il suolo arido e fangoso. Il freddo si faceva sentire anche dentro casa, sebbene il fuoco del caminetto fosse acceso. Era tremendamente difficile riscaldare le stanze con quel gelo. Eldric socchiuse la porta, piano, e dopodiché mi fissò in silenzio per qualche secondo.

«Cosa c'è?» feci, con calma, e mi strinsi nel mio scialle.

«Non dare ulteriori sofferenze a quel bambino, te ne prego»

Corrugai la fronte, scioccata, e allontanai gli occhi da lui. «Non vuoi fare niente? Vuoi lasciarlo morire?»

«Sai bene anche tu che ormai è perduto. Non si riprenderà»

«Accidenti, Eldric, è la sua unica speranza e lo sai! Non posso non fare niente!»

«Evita di incidere. Fallo per lui, fallo per me»

«E che cosa dico alla madre, eh? Non accetterà mai che lo lascio morire così. Io non lo accetto!»

«Hai fatto del tuo meglio, Charys, come sempre»

A quelle parole mi salirono le lacrime agli occhi e sbuffai con un sarcasmo che non mi si addiceva per niente. «Il mio meglio, eh? Questa settimana sono morte quattordici persone, Eldric! Quattordici! Nostri amici, nostri compaesani! Non ho salvato nessuno! Nessuno!» gridai, fuori di me dalla disperazione. Mi presi la testa nelle mani e mi lasciai cadere sul letto, con il corpo che mi fremeva dal nervosismo.

Restammo in silenzio per un attimo, un silenzio di quelli che non si sopportava neanche, così carichi di tensione che opprimevano il petto quasi soffocandoti. Eldric, quando ne ebbe abbastanza, mi raggiunse e mi posò le mani sulle spalle.

«Guardami» mi ordinò, severo.

Obbedii.

«Hai tentato e questo basta» continuò lui.

«No, non basta, non per me. Nostra madre era molto più brava come guaritrice. Io non valgo niente»

«Non parlare così» mi ammonì Eldric. «Nostra madre ti ha insegnato tutto ciò che sapeva e tu, mia dolce sorella, sei capace quanto lo era lei»

«Eppure...eppure la morte vince sempre»

«Vero. La morte vince sempre, prima o poi. Ma la morte non è tua nemica, non è nemica di nessuno. Tu però sei in grado di rallentarla, alcune volte, e la gente non ti ringrazierà mai abbastanza per aver concesso loro più tempo. Hai curato il signor Keller, no? E suo nipote. E non dimenticare la giovane Julia, colei che grazie a te è riuscita a sposarsi e farsi una famiglia. Non incolparti per gli insuccessi, perché tu non hai nessuna colpa»

«Julia aveva soltanto un'influenza»

«Sei stata l'unica a riuscire ad abbassarle la febbre alta, però»

«Non importa»

«E invece importa!»

«Smettila! Non ho tempo per questo! Nell'altra stanza Albert sta morendo di peste e io non ho nessuna voglia di starmene qui a starti a sentire!»

«Charys, ragiona, per l'amor del cielo! Quel bambino patirà solamente nei suoi ultimi giorni di vita se incidi!»

«Sta già soffrendo, lo vuoi capire o no!?»

«Ma soffrirà ancor di più se procedi con l'incisione. Non permetterlo, ti scongiuro»

«Mi dispiace, ma io non mi arrenderò»

Mezz'ora più tardi avevo spedito la signora Altman fuori dalla stanza, per evitare che assistesse. Eldric stava tenendo fermo Albert e gli aveva ficcato uno straccio in bocca perché non si mordesse la lingua durante la procedura. Non appena la punta del coltello penetrò in uno dei numerosi bubboni che invadeva il corpicino del giovane, un odore di sangue putrefatto e pus si sprigionò nell'aria. Sebbene negli ultimi tempi l'avevo sentita tantissime volte, non mi ero ancora abituata a quella puzza. Storsi il naso e feci una smorfia, cercando di non perdere la concentrazione. Ben presto il bambino si destò per il dolore, spalancò gli occhi e si guardò attorno, allucinato. Pareva come non vederci, ma cercò ugualmente di dimenarsi dalla presa di Eldric. Cacciò un urlo, soffocato dallo straccio che aveva in bocca, e dai suoi occhi scesero lacrime bollenti. 

The dark pathWhere stories live. Discover now