IL MONDO DI RASHID

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Erano solo le 3 di mattina quando fummo svegliati da un gruppo di soldati impazienti.

Continuavano a ripetere:" Dovete andarvene da qua, se non abbandonate lo stato nel giro di un giorno sarete condannati a morte".

Non riuscii a capire il perché di quelle terrificanti parole, a quei tempi avevo solo dieci anni, ero troppo piccolo per comprendere determinati concetti.

Mio padre cercò di tranquillizzarmi in tutti i modi possibili, ad esempio mi disse che dovevamo raggiungere una città incantata, serena e prospera, a differenza del paese nel quale abitavamo, in Africa occidentale, povero e arretrato.

Incuriosito e affascinato preparai le valigie insieme ai miei genitori e mi affrettai ad uscire dalla porta.

Mia madre, una signora sulla trentina, era quieta e gioiosa, lavorava presso la scuola superiore del nostro paese ed insegnava filosofia, una materia alquanto complessa.

Appena uscimmo fuori, dei funzionari del governo presero mio padre per il braccio e gli dissero a bassa voce:" Se entro domani, all'alba, non sarete fuori dal confine taglieremo la testa a tutta la vostra famiglia, compreso suo figlio" impaurito rispose-" E va bene, ce ne andremo".

Mio padre si caricò entrambe le valigie sulle spalle e partimmo per un lungo e spaventoso viaggio. Proveniva da una famiglia povera, contadina, che per sfamare i figli doveva lavorare tutto il giorno; mi raccontava spesso che amava studiare e leggere ma purtroppo, molte volte, doveva trascurare queste abitudini per coltivare il grano; nonostante ciò aveva continuato la sua carriera scolastica deciso e risoluto.

La notte raggiungemmo il confine, setacciato da dei soldati muniti di fucili; tentammo il tutto e per tutto e lo passammo senza essere intravisti.

Appena fuori dal nostro paese, ci ritrovammo in un'immensa distesa di sabbia, il deserto; pian piano le temperature aumentavano e cominciammo a sentire le gocce di sudore colare nel corpo.

Con noi avevamo poche bottiglie d'acqua e riserve di cibo che non bastavano a soddisfare le nostre esigenze.

Arrivammo in Waganda, un piccolo stato disperso nell'africa centro-occidentale.

I miei genitori, atterriti e angosciati chiesero aiuto alla gente locale, ma come di consuetudine nessuno ci diede retta e ci arrangiammo da soli.

Era ormai da più giorni che camminavamo senza sosta, senza cibo e acqua.

Cominciammo a sentire la stanchezza ma eravamo consapevoli che se ci fossimo fermati sarebbe stato ancora peggio.

Raggiungemmo ben presto Ridja, la capitale; là abitava Asad, un amico di famiglia, quindi decidemmo di andare a trovarlo, principalmente per chiedergli aiuto

Una volta arrivati a casa di Asad chiedemmo dove fosse il miglior posto per emigrare e stanziarsi, Ci rispose così:" Miei cari parenti, vi sconsiglio vivamente di rimanere qua, in Africa, se volete che il vostro figliolo studi e si realizzi nella vita andatevene, ad esempio in Italia, là non sono né razzisti né discriminatori".

Demmo retta alle sue parole e preoccupati da cosa ci potesse succedere, partimmo per una meta ben precisa, L'Italia.

Prima di tutto decidemmo di abbandonare il piccolo stato e recarci in un altro posto sicuro; purtroppo non fu così, poiché dei poliziotti ci fermarono ben prima e ci chiesero i documenti.

Non avendoli ci portarono in un luogo tetro e buio, il carcere di Saint Andrea.

I miei genitori erano preoccupati, angosciati e furono rinchiusi in una cella apposita divisi da me.

Mia mamma scoppiò in lacrime ed urlò:" Lasciate stare mio figlio, non fategli del male", quella fu l'ultima vota che sentii la sua voce dolce.

Mi ritrovai in una stanza buia, vi era solo una piccola finestra da cui faceva capolino una flebile luce solare.

Le ore passarono e cominciai a sentire la mancanza dei miei.

Verso le nove di mattina un signore dalla folta barba mi prese per il braccio e mi portò in una stanza completamente oscura.

Sentii una mano che toccò il mio viso ma subito quella lieve carezza si trasformò in un violento schiaffo che mi fece soffrire.

In testa avevo solo il pensiero di andarmene, fuggire da quelle torture e realizzare il sogno dei miei genitori, emigrare in Italia.

Appena tornato in cella notai un piccolo buco scavato nel muro dove si intravedeva l'azzurro del mare.

Il giorno seguente, un carcerato, attuò un piano; voleva evadere, come realmente volevo io, reclutò tutti gli ignoti martiri del carcere e scavammo insieme un piccolo tunnel che ci portò al di fuori di quel terribile mondo.

Finalmente eravamo liberi, notammo in lontananza uno scafista che, con un gesto, ci invitò a prendere il suo barcone e ci promise che in pochi giorni saremmo arrivati in Italia, il mio sogno.

Appena arrivati, però, ci chiese di dargli tutti i nostri risparmi.

Non esitai a dire di sì e, consegnandogli 50 monete locali, mi buttai in quella nave sporca e malridotta.

Dopo poche ore finalmente partimmo e piangendo salutai la mia terra di origine e i miei genitori, oramai scomparsi.

D'un tratto il cielo divenne scuro e il mare si agitò, cominciai a provare terrore ed inquietudine, Avevo freddo, accanto a me vi era una signora sulla trentina che piangeva e con una mano tremante teneva suo figlio di circa un anno.

Purtroppo successe una cosa agghiacciante: quando la zattera si mosse la donna, ansiosa e debole, inconsapevolmente, lasciò cadere in mare il suo bambino che fu inghiottito da quelle mostruose onde.

La mamma provava un dolore fortissimo, come se qualcuno la pugnalasse all'infinito senza darle il momento di respirare, scoppiò in lacrime ed urlò al cielo:" Riportatemi mio figlio!", da quel momento regnò il panico.

Nel frattempo si fece notte fonda e dal nostro piccolo gommone intravedemmo la costa siciliana spiccare nello scuro colore del mare.

La mattina seguente lo scafista ci disse che oramai il nostro viaggio stava volgendo al termine e che saremmo approdati nel giro di poche ore.

Fortunatamente non ci furono complicazioni, dopo giorni e giorni passati come se fossero i nostri ultimi e dopo sacrifici e sacrifici arrivammo finalmente in "Italia".

Ci divisero in due gruppi: i più piccoli, dall'età di 2 ai 10 anni, e i più grandi, dall'età di 11 ai 99 anni.

Fui portato in un centro di accoglienza immenso, là trovai tutti i miei compaesani ma non vi era traccia dei miei genitori, nonostante ciò continuai a cercarli.

Da quel giorno passai il resto della mia adolescenza chiuso in me stesso, nessuno mi voleva adottare e dovetti abbandonare ogni giorno tutti i miei coetanei.

Ma nel lontano 1999, a circa 16 anni, una famiglia in cerca di un ragazzo scelse proprio me, mi ospitarono nella loro meravigliosa villa e fin da subito mi considerarono come se fossi un figlio da accudire.

Mi pagarono da mangiare e da vestire, potei andare in una scuola normale a studiare, mi impegnai e realizzai il sogno di mio padre , quello di laurearmi e trovare un lavoro.

La mattina dell' 8 agosto 2003 notai una signora matura che zoppicava per le strade di Messina, le offrii il mio aiuto.

C'era qualcosa che la contraddistingueva, mi fissava con uno sguardo pacato e sereno, guardandomi sorrise e disse :"Figliolo mi sei mancato".

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⏰ Last updated: Jun 25, 2019 ⏰

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