Capitolo 10 - Il tempo stringe

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Metà Aprile 1780

Buckingham House

I giorni a seguire non furono facili. La notte non dormivo bene: mi tornavano alla mente gli sguardi di Frederick, le risate sguaiate dei soldati e le loro mani ruvide. Ogni piccolo rumore, ogni risata o commento sussurrato mi facevano accapponare la pelle. Dana era pallida quanto me e con gli stessi segni violacei sotto gli occhi, ma il nostro ruolo di dame di corte ci richiamò a palazzo.

Scoprimmo che il rapimento era già sulla bocca di tutti: le donne confabulavano dietro ai ventagli mentre gli uomini, chini su libri o sugli scacchieri, sussurravano tra di loro.

«Che coraggio affrontare quei barbari!» udii un gentiluomo riferire a Edwin. «Fortunatamente sono stati banditi dalla corte anni addietro!»

Subito un altro gli fece eco. «Ora lady Amelie è in debito con voi. Potrete chiederle ciò che volete.»

Il viso di Edwin era indecifrabile, come al solito.

«Cosa dovrete mai chiedere e a chi?» chiese una voce divertita.

"Thomas!"

Mi voltai verso il nuovo arrivato e sentii le guance andare a fuoco ed il respiro farsi più affannoso.

«Vi siete perso molte cose, fratello. Avete ricevuto la mia missiva?»

«Ero molto impegnato» sogghignò. «Ma ragguagliatemi ora.»

«I McGregor hanno rapito le figlie del conte Verseshire. Un'azione proprio meschina devo dire» lo informò un altro uomo.

Thomas impallidì. «Chi le ha liberate?»

«Il nostro esercito» replicò lord Berdyshire.

Potei vedere i suoi occhi spalancarsi e la bocca aprirsi in un'espressione di sbigottimento.

Il discorso fu interrotto dalla donna coi capelli rossi che avevo già veduto in compagnia di Edwin. Gli si avvicinò e, appendendosi al suo braccio, lo allontanò.

«Ancora lei?» mormorò Dana, avvicinandosi. «Che assurdità portarla a corte! Rovinerà la reputazione di entrambi voi.»

Non feci in tempo a chiedere maggiori spiegazioni che il cerimoniere alzò le braccia e, con tono teatrale, batté a terra il suo bastone per tre volte. «Prego prendete posto, miei lords e mie dame. A breve sarà servita la cena.»

I sovrani ci guidarono verso tre tavoli sistemati a ferro di cavallo: al centro vi era il tavolo reale dove le Maestà andarono a sedersi insieme all'ambasciatore francese mentre noi e il resto del corteo ci dividemmo tra i due tavoli ai rispettivi lati.

Presi posto tra Dana e Thomas e, con mio sgomento, vidi che il mio promesso e la sua compagna si sedettero ai posti di fronte. Per tutta la cena sentii lo sguardo della donna sulla mia persona mentre conversavo con mia sorella e cercavo di ridere alle battute dell'uomo accanto. Grazie al cielo la cena non durò molto e potemmo alzarci, accompagnati dai musici per danzare. Prima che potessi ricevere un qualsiasi invito, Edwin mi raggiunse e mi ordinò: «Balliamo.»

Dovetti limitarmi ad arricciare il naso poiché vi erano troppi occhi puntati su di noi per potergli rispondere a dovere.

«Vedo che state bene.»

«Non è indispensabile fare conversazione, milord» replicai, fredda.

«Questo dunque è il ringraziamento che mi spetta?»

«Dovrei»

«Dovreste eccome. Guardatemi per Dio!» esclamò.

Non so se sia stato il suo tono incredibilmente aggressivo o la stretta che si era fatta più forte, fatto sta che lo assecondai.

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