Il premio della disperazione

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Ysh-bal marciava con la schiena china nell'erba alta dei verdi campi delle terre degli uomini. La sua pelle verdastra era solo leggermente più scura dei lunghi steli che inondavano la piana come un mare, e la sua tunica di pelle consunta, ricavata dai resti di una povera bestia dimenticata dagli dei, era ormai madida di sudore. La marcia durava ormai da molte ore e molti giorni, scandita solo dagli sbuffi delle centinaia di disgraziate creature che si affannavano accanto a lui e dal tintinnio delle rozze armi che pendevano dalle loro cinture.

Pensò al suo accampamento nelle Terre Ardenti, alle decine, centinaia di storie che aveva udito dalla Grande Madre, quando da piccolo si riuniva accanto ai grandi guerrieri del clan. Insieme ai suoi coetanei ascoltava estasiato le gesta leggendarie degli antenati, descritte dall'anziana orchessa sciamana con un ardore grande solo come quello del fuoco che illuminava la sera.

Adesso era proprio lui uno di quei grandi guerrieri cantati nelle storie, solo che la gloria nonera ancora arrivata. La strada per la gloria era ostacolata dalla fame, dalla stanchezza, dal dolore, dalle notti insonni. Centinaia di chilometri sotto le suole dei suoi pesanti stivali, settimane intere sotto il calore del sole che bruciava la sua schiena, cibo misero e razionato, consumato in piedi per non rallentare la lunga marcia.

Era una povera creatura affamata, diretta verso le terre dei deboli umani per razziare animali e carri di cibo. Tutto per allontanare per qualche mese dal suo accampamento lo spettro della fame, sempre presente nell'arido deserto roccioso che chiamava casa.

Quegli stupidi e deboli umani; nonostante fossero gracili e malaticci avevano occupato una terra fertile e verde, scacciando i suoi simili nelle polveri asfissianti e sulle pietre brucianti, a combattere con enormi bestie affamate quanto loro in una lotta per la sopravvivenza nella quale il predatore e la preda si invertivano continuamente di ruolo.

Ysh-bal non riusciva a capire come quegli esseri insignificanti avessero potuto scacciare e respingere i forti guerrieri da quelle terre verdi, coperte di un'erba dal colore tanto vivido quanto quello della loro pelle.Persino gli odiati elfi dai terribili occhi luminosi, ugualmente spregevoli ma perlomeno valorosi, non ci erano riusciti. Com'era possibile che quei vermi pallidi malaticci ci fossero riusciti?

Solo fortuna.

Non era giusto.

Non poteva essere giusto.

Forse era solo volere divino, la volontà di un dio incollerito con gli orchi.

Sentì un'ondata di rabbia invadergli il corpo, gli occhi iniettarsi di sangue e aumentare la salivazione. Represse tutto, non era ancora arrivato il momento di liberare tutto quel risentimento. Presto si sarebbe dimostrato valoroso agli occhi di quel dio, e con la sua benevolenza sarebbe arrivato il cibo e la gloria, e con essa la felicità del suo accampamento.

Passarono i giorni, ancora caldo torrido e sole bruciante di giorno, ancora notti di sonni brevi e agitati, altri chilometri sotto i piedi doloranti.

Dopo una notte nera senza luna, l'umore delle derelitte e affamate creature stava calando. Il cibo era finito da un paio di giorni, e con esso se ne andavano anche le ultime energie nelle stanche membra. Ma i villaggi degli umani erano vicini.

Molto vicini.

Una sera, al tramonto, un ruggito annunciò la vista del fumo dei falò di un villaggio. Tutte le creature lanciarono un poderoso grido di gioia e di soddisfazione.Presto la loro fame sarebbe stata saziata, le loro fatiche ripagate,presto sarebbero ritornati vittoriosi alle loro tende con il cibo per nutrire i loro piccoli. Aumentarono l'andatura, pregustando già il momento della vittoria. I più impazienti slacciarono le loro asce,le loro clave, le loro mazze dalle cinture.

Ysh-bal era tra loro. Era stanco, ma era felice. La stanchezza sembrava lontana, il suo corpo era sostenuto dall'energia dell'eccitazione, da un'adrenalina che si sarebbe placata solo con l'odore del sangue della sua ultima vittima.

Muggendo come tori,sbucarono in un campo di erba improvvisamente bassa, appena falciata.L'erba alta non li nascondeva più e d'un tratto si sentì nudo e vulnerabile, come se le sue vesti si fossero dissolte in fumo.

C'era distanza tra lui e il drappello di quegli stupidi uomini in lontananza, troppo grande per la sua ascia. Li vedeva tutti là, in fila, con quei ridicoli tessuti verdi che coprivano la loro debolezza e la loro viltà.

Lui la sua veste di pelle se l'era guadagnata uccidendo una bestia più grande di lui, che aveva affrontato con coraggio e abilità. La pelle che copriva la sua testimoniava il suo valore, cosa poteva mai testimoniare un'assurda stoffa verdastra?

Un grido solitario, un ordine impartito in lontananza.

Centinaia di schiocchi,centinaia di sibili nell'aria.

Ysh-bal vide il suo destino venirgli incontro.

Niente più storie intorno al fuoco, niente più grida festose dei piccoli, niente più il ricordo del viso della Grande Madre, così fiera e saggia.

Solo una fitta dolorante al petto, un'asta piumata che si conficcava, le sue mani sporche del suo sangue nel disperato gesto istintivo di estrarla.

Maledisse quel dio ingrato che tramava contro di lui e contro il suo popolo. Quale dio, seppur adirato, nega persino la redenzione?


Le sue forze scemarono in pochi istanti, l'ardore della sua frenesia si tramutò in freddo; il buio invase i suoi occhi, e la terra lo reclamò a sé.

Il premio della disperazioneWhere stories live. Discover now